Juve senza Bremer: Motta prepara un nuovo muro

Il tecnico bianconero senza il brasiliano vuole confermarsi con Danilo e Gatti. Danilo, Savona e Cabal le alternative ai due centrali titolari

Una foto dal letto d’ospedale, sofferente ma ugualmente sorridente: “Questo è il primissimo passo verso il rientro!”. Così Gleison Bremer sui social dopo l’intervento al crociato a cui si è sottoposto a Lione. I tifosi bianconeri si sono ormai rassegnati all’idea di fare a meno del totem brasiliano almeno per tutta la stagione (previsti 6-8 mesi di stop), mentre a Thiago Motta toccherà trovare la soluzione giusta per mantenere lo stesso equilibrio.

La difesa finora è stata il punto di forza della Juventus: una sola rete subita in campionato (tra l’altro su rigore), miglior risultato della Serie A, e porta inviolata per 6 giornate di fila (record per la Signora). Tutto questo con Bremer titolare fisso, almeno fino all’infortunio di Lipsia (8 partite su 8 dall’inizio). La squadra però in Germania ha superato in fretta lo shock per l’inaspettata uscita di scena del difensore, riuscendo a vincere una partita incredibile nonostante i due gol incassati.

Le indicazioni arrivate finora sono positive: Pierre Kalulu, promosso già prima del forfait di Gleison, si sta dimostrando un ottimo acquisto, perfetto per il gioco del nuovo allenatore, che chiede ai suoi difensori di salire e di impostare. L’ex milanista formerà con Federico Gatti il nuovo tandem della retroguardia, ma in rosa non mancano le alternative. Di ruolo o adattati da Motta, che già in passato ha messo in evidenza ottime doti da trasformista. 

Kalulu ha iniziato la stagione in bianconero da terzino destro per poi passare a fare il centrale quando Gatti ha avuto un problema alla caviglia. Si è preso il posto, diventando la spalla di Bremer, e adesso si è spostato sul centro sinistra per lasciare il lato destro all’ex Frosinone.

Theo-Milan, il grande gelo: multato e squalificato ma chiede 8 milioni. E il club dice no

Il francese, fermato per due giornate dopo il rosso di Firenze e sanzionato dalla società, ha il contratto in scadenza nel 2026 e vuole un super stipendio. Per la dirigenza rossonera deve però dimostrare di meritare l’aumento

Il cartellino rosso dopo il triplice fischio finale al Franchi è costato a Theo Hernandez due giornate di squalifica. Niente temuta mazzata, ovvero un turno in più e conseguente addio al big match contro il Napoli, perché non ci sono state offese ma “una critica gravemente irriguardosa e più volte ripetuta nei confronti del direttore di gara”. A essere in dubbio però è il futuro (a lungo termine) del francese in rossonero perché l’esterno sinistro in questo inizio di 2024-25 ha avuto più bassi che alti, non sta guidando i compagni come dovrebbe fare un vero (vice) capitano e (soprattutto) ha pretese per il rinnovo di contratto in scadenza nel 2026 molto al di sopra dei parametri del club di via Aldo Rossi.

La richiesta iniziale dell’agente del calciatore è stata superiore agli otto milioni netti più bonus, quasi il doppio dello stipendio attuale (quattro milioni e mezzo). Anche se ci sarebbero i vantaggi del Decreto Crescita, attivato nel 2019 al momento del suo sbarco a Milano, si tratta comunque di tanti soldi. Considerando che il più pagato della squadra è Leao (sette milioni netti), il messaggio recapitato dall’entourage del calciatore può avere solo due interpretazioni: la prima, più buonista, è che Theo non ha fretta di arrivare alla fumata bianca; la seconda, meno buonista, è che intende cambiare aria. Un concetto quest’ultimo che era filtrato dalle sue dichiarazioni durante l’Europeo (“Se resto a Milano? Lo vedremo più avanti”) e che era stato corretto qualche giorno fa, dopo il gol al Lecce (“Sono molto felice qua. La gente e la squadra mi vogliono bene. Per me è la cosa più importante”) e un’estate senza proposte allettanti. 

Douglas Luiz, solo danni! Doveva cambiare la Juve: tra panchine e rigori per ora è un flop

Il centrocampista ex Aston Villa causa un altro rigore dopo quello di Lipsia e non incide. Thiago Motta lo aspetta ma serve un cambio di passo e di testa.

Due indizi non fanno ancora una prova, però rendono bene l’idea del momento. Douglas Luiz a Lipsia è entrato nel secondo tempo e poco dopo ha provocato il rigore del 2-1 (fallo di mano in area). 

Ieri col Cagliari deve avere avuto la classica sensazione di deja vu quando ha visto l’arbitro indicare il dischetto. Colpa, questa volta, di un intervento su Piccoli: cercava il pallone e invece ha trovato la gamba dell’attaccante avversario. Solo che, al contrario di quanto era successo in Germania (vittoria in rimonta per 3-2 con l’uomo in meno), il penalty trasformato da Marin è costato ai bianconeri due punti preziosissimi.

Così Douglas Luiz, il secondo acquisto più costoso del mercato estivo della Signora, è finito sul banco degli imputati, nonostante la difesa d’ufficio del suo allenatore. “Io alla sfortuna non ci credo, però non bisogna puntare il dito contro un giocatore piuttosto che un altro, vinciamo, pareggiamo e perdiamo tutti insieme. Non sono il tipo che dice ‘vinco io, perdono gli altri’. È il momento di dare tutti qualcosa in più. Douglas Luiz ha la mia fiducia come tutti”: così Thiago Motta ha commentato nel post partita l’episodio incriminato. In sintesi, il pari non è responsabilità di un singolo, però certe cose non succedono per caso, c’è sempre un perché. La sensazione è che il brasiliano arrivato dall’Aston Villa non stia vivendo un momento di grande serenità e questo lo porta a commettere errori che possono costare molto cari. Eppure stavolta, al contrario di quanto era successo in Champions League, era entrato bene in partita, concentrato e con la voglia di fare bene, come testimonia il bel tiro in porta sulla cui respinta del portiere c’è stata la grossa occasione sprecata da Vlahovic. Nel calcio però la differenza la fanno i particolari e a volte basta un attimo per vanificare tutto. In 28 minuti ha fatto 35 passaggi positivi, un lancio, una sponda e un’occasione creata, ma ha perso anche 4 palloni e 5 duelli su 5.

Uragano Pedro! Entra, segna e la Lazio ribalta l’Empoli

Nel primo tempo ospiti avanti con Esposito pareggia Zaccagni e nel finale lo spagnolo, entrato al posto di Isaksen, trova la rete del vantaggio

La Lazio salta al terzo posto agganciando Juventus e Udinese in attesa del risultato del Milan di questa sera contro la Fiorentina. Contro l’Empoli arriva la quarta vittoria di fila per i biancocelesti tra campionato ed Europa League. Tre punti quanto mai sofferti dalla squadra di Baroni che si impone in rimonta. Toscani subito in vantaggio con Esposito, pareggia Zaccagni prima dell’intervallo. A inizio ripresa Vasquez respinge un rigore di Castellanos.

Al 39’ risolve la gara Pedro, al secondo gol di fila dopo quello di giovedì al Nizza. Il 37enne spagnolo con un sua perla regala i tre punti alla Lazio. Prima sconfitta stagionale per l’Empoli, che anche all’Olimpico si è fatto apprezzare non solo per l’impostazione tattica. 

Baroni prosegue sulla via di un corposo turnover tra campionato ed Europa League. Rispetto alla gara di giovedì col Nizza sono otto le novità: solo Gila, Guendouzi e Castellanos ancora titolari. D’Aversa ritocca lo schieramento opposto alla Fiorentina con gli innesti dal 1’ di Solbakken e Fazzini mentre partono dalla panchina Colombo ed Henderson. Toscani molto coperti in fase di avvio. A lato un colpo di testa di Zaccagni. Ma la squadra di D’Aversa sfrutta la prima chance per colpire: al 9’ Esposito svetta tra i difensori biancocelesti e infila di testa Provedel che scivola sul cross di Pezzella dalla sinistra.

Empoli in vantaggio. La Lazio si lancia all’assalto. Tocco di Dia: fuori. Vasquez rimedia su Isaksen e Castellanos. Al 23’ il portiere dei toscani devia in angolo una botta dalla distanza di Castellanos. Ripartenza dell’Empoli: tiro a giro di Anjorin che va alto. Provedel para una capocciata di Viti. Lazio imprecisa in fase di impostazione. Pressing intenso da parte della formazione di D’Aversa. Per un risentimento alla coscia sinistra deve uscire Lazzari: al 38’ entra Marusic. Al 44’ diagonale di Isaksen: fuori di poco. Il recupero va oltre i tre minuti iniziali. E al 49’ un cross di Tavares innesca lo stacco di testa vincente di Zaccagni che porta la Lazio al pareggio. Prima rete stagionale su azione per l’attaccante. L’Empoli subisce un gol dopo aver mantenuto inviolata la porta nelle tre gare di campionato precedenti.

“Norme Fifa contrarie alla libera circolazione”: la sentenza su Diarra può rivoluzionare il mercato

La pronuncia della Corte di giustizia UE attesa da 10 anni dopo il ricorso dell’ex nazionale francese: riconosce di fatto la possibilità a un calciatore di lasciare un club indipendentemente dalla durata del contratto

È una sorta di potenziale terremoto, che potrebbe avere gli effetti di una sentenza Bosman bis. La sentenza Diarra, pronunciata stamattina dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, stabilisce infatti che le norme della Fifa che regolano il calciomercato sono incompatibili con la libera circolazione delle persone e quindi anche dei calciatori. Una decisione che potrebbe rivoluzionare la gestione dei trasferimenti del mondo del calcio.

Era una sentenza attesa da 10 anni da Lassana Diarra, ex centrocampista tra gli altri di Real Madrid e Psg che nel 2015 dopo un anno ruppe il suo contratto con il Lokomotiv Mosca dove aveva sottoscritto un triennale. Per il club russo, il giocatore aveva tradito l’accordo senza “giusta causa” e doveva pagare 20 milioni di euro, in solidarietà con i futuri suoi club, come richiesto alla Camera di risoluzione dei litigi della Fifa e al Tas. Diarra allora ha sollevato la questione davanti ai giudici della Corte europea che gli hanno dato ragione. Per la Corte europea, il regolamento Fifa che impone il pagamento solidale da parte di un altro club è considerato “sproporzionato” e il divieto di registrare così un nuovo giocatore svincolatosi unilateralmente “non regolamentare”. Potenzialmente, qualsiasi giocatore potrebbe avere la possibilità di lasciare una squadra senza dover compensare il club di iniziale appartenenza per il resto degli anni previsti dal contratto, come richiedeva il Lokomotiv. Svuotandone così di fatto l’obbligo di restare fino a scadenza, anche in assenza di contropartite da altre società. Si tratta di una nuova forma di liberalizzazione che aprirebbe nuovi orizzonti sul mercato dei giocatori.

Lautaro si è ritrovato, Thuram resta il compagno preferito: Inter, è l’ora della vera ThuLa

Ci siamo, manca poco. E c’è un’immagine che lo dimostra: a Udine Lautaro segna il suo secondo gol, Thuram si inginocchia e fa l’esultanza del Toro. È un antipasto, è la voglia di mangiarsi tutto quel che c’è da mangiare. La ThuLa si riaffaccia sul campionato, dopo la panchina iniziale d’Europa. Con un obiettivo: viaggiare veloce, viaggiare coordinati, in definitiva correre e vincere.

Perché fin qui è andata così: Thuram che volava e Lautaro che sputava veleno per un gol che non arrivava. Ora che si è sbloccato l’argentino, il francese si è inceppato. In soldoni: la coppia non ha ancora festeggiato insieme, non c’è ancora stata una partita con tutti e due a segno.

Ed è un inedito, perché la scorsa stagione l’Inter s’era abituata troppo bene con tutti e due. Ma la curva è in crescendo, del resto non c’era miglior momento per aspettarsi una svolta positiva. Ottobre è un mese chiave per Inzaghi, tra campionato e coppe. È un mese che serve per entrare fisicamente nel G8 in Champions League e per dare uno strappo al campionato. Lautaro c’è, in tutti i sensi. Fisicamente è tornato lui: la settimana che dal derby ha portato a Udine gli ha consentito di guadagnare numeri decisivi, che lo staff di Inzaghi ha apprezzato. Il rendimento dell’argentino è schizzato e non solo per il gol. Qualche piccolo segnale fisico, per la verità, s’era intravisto anche durante la serata negativa del derby. Adesso Lautaro sta come non è mai stato dal 22 aprile, il giorno della seconda stella, neppure durante la Coppa America. E, quel che più conta, sta bene con se stesso. Il gesto di lasciare il rigore a Taremi è il segnale di un giocatore che ha “risolto” la questione con il gol e non sente più il peso addosso di una gioia che non arrivava.

Motta a Lipsia cambia ancora la Juve: in difesa torna Gatti, ballottaggio McKennie-Thuram

In attacco confermati Koopmeiners e Yildiz con Vlahovic, probabile la staffetta tra Nico Gonzalez e Conceiçao

La vittoria col Genoa ha dato alla Juventus una bella ricarica d’entusiasmo. Thiago Motta ha raccolto i tre punti e soprattutto delle buone indicazioni per il prosieguo, già a partire dalla prossima trasferta di Lipsia. Se non un vero e proprio turnover, la sensazione è che a Marassi il tecnico abbia aumentato le soluzioni puntando su chi aveva coinvolto meno fin qui: così, adesso, ci sono molti più giocatori che si candidano per una maglia nella prossima sfida di Champions League. 

In porta ci sarà Di Gregorio e non Perin. Mentre in difesa tornerà Gatti, a discapito di Danilo che ha comunque chiuso in crescendo la partita col Genoa. È probabile che il capitano venga coinvolto a gara in corso: difficile in questo momento fare a meno di Kalulu. Che giocherà all’opposto di Cambiaso, strategico per consentire lo sviluppo del gioco in fase di possesso della palla. Davanti alla linea difensiva rientrerà Locatelli, che è diventato fondamentale nello scacchiere juventino. E poi occhio al ballottaggio fra McKennie e Thuram: Thiago Motta ha gestito il minutaggio del primo contro il Genoa e visionato il secondo. Koopmeiners alle spalle di Vlahovic è una certezza, proprio come Yildiz che può garantire al centravanti una sponda di qualità. Sulla fascia destra la staffetta sarà fra Nico Gonzalez e Conceiçao, che è tornato nella migliore condizione.

Lautaro, la doppietta del ritorno: “Gol importanti per me, ma l’Inter deve crescere”

Il capitano nerazzurro era ancora a secco: “Dopo il derby abbiamo parlato meno e lavorato di più”

Dopo 5 giornate di campionato, leggere il numero zero vicino alla voce “gol segnati” da Lautaro Martinez faceva strano. L’argentino ha vissuto un avvio di stagione complicato, ma pure il tramonto di quella passata non era stato al suo livello: ultimo gol il 10 maggio scorso a Frosinone, da lì in poi, in nerazzurro, il buio. Eppure, di scusanti il Toro ne ha parecchie. Alla fine dello scorso campionato dominato dalla squadra di Inzaghi, Lautaro è partito per gli Stati Uniti, dove con la sua Argentina ha vinto – da protagonista e capocannoniere – la Coppa America. Migliaia di km percorsi, enorme stanchezza fisica e mentale. Ha pagato questo e un conseguente piccolo infortunio muscolare, Martinez, che oggi però è tornato alla grande.

L’avvio difficile di Lautaro è stato anche amplificato dal primo derby sugli ultimi 7 perso dall’Inter. Una gara in cui il Toro ha comunque regalato un assist a Dimarco, ma è ugualmente rimasto a secco. “Dopo il derby abbiamo parlato meno e lavorato di più – ha confessato l’argentino a seguito della vittoria di Udine -, ma credo che in campo si sia visto. Il gol sicuramente è importante per me, è chiaro che un attaccante lo cerchi. Io però faccio sempre il contrario: lavoro per la squadra e se riesco a segnare meglio ancora. Bisogna continuare a lavorare e portare l’Inter sempre più in alto. Ci vuole l’atteggiamento giusto, lavorare di più, restare umili e alzare il livello ogni giorno. Perché l’Inter deve crescere”. Parole come sempre di grande responsabilità, che confermano quanto Lautaro – da capitano – si senta al centro del progetto nerazzurro. Come di enorme responsabilità erano state le immediate dichiarazioni post derby.

La strana partita di Miretti: domani contro la Juve, ma Motta ha un progetto per lui

Cresciuto nel vivaio bianconero da quando aveva 8 anni, è stato uno dei primi frutti del progetto Next Gen. Ora è in prestito secco al Genoa, ma.

Per la prima volta Fabio Miretti si ritrova ad affrontare la Juve, la squadra in cui ha trascorso tutta la sua vita calcistica. Arrivò sulla sponda bianconera a 8 anni preferendola al Torino perché, in quel periodo, la Juve gli metteva a disposizione un servizio navetta più comodo alle sue esigenze: da quel momento, il classe 2003 è cresciuto passo dopo passo fino a raggiungere la prima squadra. Solo qualche settimana fa, sul finale del mercato, il centrocampista ha chiesto la cessione per andare al Genoa: con l’obiettivo di giocare con maggiore continuità rispetto a quella che avrebbe avuto rimanendo alla Continassa, specie dopo il reintegro in rosa di McKennie.

Per Fabio Miretti sarà molto strano ritrovarsi con colori diversi da quelli bianconeri. Spesso nella sua trafila giovanile si è ritrovato a guidare la sua squadra con la fascia di capitano, in quasi tutte le categorie da sotto età senza far mancare la personalità in campo e fuori. È uno dei primissimi frutti del progetto Next Gen, che ha consentito a diversi ragazzi della Juve negli ultimi anni di vivere un passaggio intermedio fra il settore giovanile e la prima squadra. Miretti si è ritrovato con Allegri dopo aver messo nelle gambe 2 mila e 500 minuti in Serie C, utili a superare ogni tipo di pressione fra gli adulti. Le basi erano solide da prima, evidentemente, ma nella fase più delicata e strategica del passaggio di crescita il giocatore ha avuto il supporto necessario per rimanere in pianta stabile la prima squadra. L’impiego da aggregato del primo anno però non si è evoluto e, dopo l’ultima stagione a minutaggio ridotto, esisteva il rischio di rallentare troppo il percorso quest’anno.

Tra Frattesi e Zielinski, così lo sostituirà Inzaghi

Il centrocampista tornerà soltanto dopo la sosta di ottobre. A Udine ci sarà l’altro azzurro, che però quest’anno da subentrato fa fatica.

I guai, si sa, spesso arrivano tutti insieme. E l’Inter non è esente. La conferma è Nicolò Barella: derby perso e infortunio, distrazione al retto femorale della coscia destra che lo terrà fuori poco meno di un mesetto, fino al rientro dalla sosta nazionali, quando il 20 ottobre i nerazzurri andranno all’Olimpico per la gara contro la Roma. Fino ad allora, quindi con Udinese, Stella Rossa e Torino, niente Nicolò.

Barella, Calhanoglu, Mkhitaryan. Fino a ora, negli anni di Simone Inzaghi sulla panchina dell’Inter, il centrocampo nerazzurro è stato una costante. Sempre loro in campo, con licenza di intervenire dalla panchina per altri. Ma raramente dal 1′ il tecnico piacentino ha rinunciato ai suoi uomini, se non per situazioni di estremo turn-over. Oggi la situazione è ben diversa, perché Barella non c’è e Mkhitaryan (trasferta dell’Etihad contro il City a parte) in questo avvio di stagione è stato tra i peggiori nell’Inter. Soprattutto nel derby. Dalla panchina scalpitano Zielinski e Frattesi, e c’è un dato che incoraggia soprattutto sull’impiego del polacco: a Manchester, nell’unica partita giocata da titolare, l’ex Napoli ha superato brillantemente la prova Champions. Da subentrato, invece, ha spesso faticato: poco apporto contro il Milan, nullo a Monza. Così Zielinski potrebbe far rifiatare Mkhitaryan. Non Barella, perché, per ruolo e posizione in campo, il sostituto naturale di Nicolò è Frattesi. L’ex Sassuolo si è spesso reso decisivo subentrando dalla panchina, con gli inserimenti che lo hanno reso tra i centrocampisti più incisivi della stagione scorsa in rapporto al minutaggio: 1 gol ogni 156′ in campo. Tra cui proprio quello del Bluenergy Stadium della stagione scorsa, che di fatto mise lo scudetto nelle mani dell’Inter.