Juve, senti Kolo Muani: “Qui sto bene, voglio restare”

Dopo la doppietta all’esordio mondiale, arriva la dichiarazione d’amore dell’attaccante francese alla Signora. Tudor sul 5-0: “Ho avuto la sensazione che i ragazzi ci tenessero e fossero motivati”. Una doppietta al debutto nel Mondiale per Club è il modo migliore per festeggiare la permanenza alla Juventus, almeno fino alla fine della competizione, poi per la prossima stagione si vedrà.

Randal Kolo Muani è stato l’Mvp del match contro l’Al Ain. “Abbiamo giocato molto bene e iniziato benissimo il torneo – ha detto in conferenza – sono molto felice per la vittoria e per il gol, ora però pensiamo alla prossima partita. Tudor ha fiducia in me, mi piace giocare per i miei compagni e sacrificarmi. Oggi eravamo partiti per vincere, questa gara ci dà fiducia ma a dove possiamo arrivare non ci pensiamo. Se voglio restare qui? Sì, sto molto bene, riesco a giocare bene e fare gol, quindi spero di restare”.

Igor Tudor non può non essere soddisfatto, del risultato e pure della prestazione: “Il nostro approccio è sempre uguale – ha spiegato il tecnico – ci prepariamo al meglio, dobbiamo recuperare perché abbiamo speso tanto. Questa partita ci dà fiducia per il futuro, ma quella che conta è solo la prossima”.

Tornando alla partita, Tudor si è fermato anche sui pochi aspetti negativi: “Possiamo migliorare tanto sulle preventive, dobbiamo subire meno sui contropiede, però mi è piaciuto il coraggio di andare a fare gol. È una bella partenza che ci aiuterà a proseguire al meglio. La direzione è quella giusta, poi c’è sempre da migliorare, però la strada è corretta. C’è voglia di fare, con il tempo si aggiungono sempre i pezzettini. La squadra è un organismo vivo che non è mai la stessa. Dalla panchina ho avuto la sensazione che i ragazzi ci tenessero e fossero motivati e sul pezzo, c’erano una bella energia e spirito di sacrificio.

Juve, ultimo sprint per la Champions: Tudor punta su Kolo Muani per il match point

Il tecnico vuole il quarto posto anche se sa che non resterà: “Questa squadra vale di più, la mia testa è solo alla partita”

Manca solo l’ultimo step. Igor Tudor lo aveva detto dopo la salvifica vittoria sull’Udinese e lo ripete nella conferenza stampa pre Venezia, l’ultima in campionato per il 2024-25.

Non sappiamo se ci sarà ancora lui al timone della Juventus la prossima stagione — ipotesi improbabile, ai limiti dell’impossibile —, la certezza è che l’ex difensore vuole lasciare la sua Signora nella coppa che più conta, la Champions League. Non importa se il quarto posto non gli garantirà un futuro in bianconero, sebbene il suo contratto preveda il rinnovo automatico fino al 2026 in caso di raggiungimento della qualificazione, conta solo portare a termine la missione per cui è stato chiamato. 

“Sono felice del lavoro svolto finora e voglio completarlo — racconta Tudor —, manca l’ultimo step. Io guardo solo al presente, a come stanno i giocatori, a come aiutarli a battere il Venezia. Tutta la mia vita è nella partita, il resto non conta nulla. Dentro di me c’è un po’ di tutto, ma soprattutto aspettative e concentrazione per fare bene il mio lavoro. Dobbiamo capire dove possiamo far male. Da quando sono arrivato alla Juventus tutte le partite sono state fondamentali e non ne ho viste di sbagliate, anzi non abbiamo sbagliato quasi niente. Sono fiducioso, vedo una squadra che vuole andare a prendersi ciò che si merita e ciò che vale”.

A proposito del valore della rosa, il tecnico è convinto che lascerà un gruppo con ampi margini di crescita: “I numeri non sono mai stati parte del mio modo di pensare, non so se 70 sarebbero pochi o giusti per questa Juventus, però il potenziale della rosa è molto più grande di quello che si può vedere ora”. Tradotto, Igor lascerà al suo successore una buona base da cui ripartire. Se sarà Conte o no lo scopriremo nelle prossime settimane, intanto il tecnico bianconero gli ha reso omaggio per lo scudetto appena conquistato, pur senza mai nominarlo: “Faccio i complimenti al Napoli per il tricolore, in campionato, che è una competizione lunga, vince sempre la squadra che lo ha meritato di più”.

Douglas Luiz attacca: “In panchina anche quando in salute. E questi infortuni non erano normali”

Il brasiliano risponde sui social a un tifoso: “Non sono venuto qui solo per pubblicare foto. Non sono mai stato un giocatore che si infortuna, ma ci sono così tante cose che potrebbero aver causato questo che preferirei non commentare”

“Gli infortuni mi hanno ostacolato, sì. Ma per quanto tempo sono rimasto in panchina mentre ero in salute? Molto. Questi infortuni non erano normali”. È solo la parte più significativa di una risposta più ampia che Douglas Luiz ha dato per mezzo social a un tifoso, che sotto al suo ultimo post aveva attaccato frontalmente il centrocampista brasiliano.

“Ma sei venuto a Torino per giocare o per mettere i post su Instagram?”, la provocazione dell’utente, di fronte al quale il calciatore non è voluto rimanere in silenzio rilanciando con una lunga e strutturata risposta che riaccende i riflettori su una sua dichiarazione di qualche mese fa: “A inizio stagione ci sono stati dei malintesi, ma voglio dimostrare il mio valore alla Juventus“.

La risposta di Douglas Luiz è molto diretta, a difesa del suo coinvolgimento nel club: “Non sono venuto qui solo per pubblicare foto, nessun altro l’ha fatto, e voglio che le cose siano diverse. Sono venuto qui con uno scopo. Ho ascoltato il mio cuore quando sono arrivato e ho deciso di firmare. Ora voglio che mi rispondiate: perché un acquisto come il mio non ha giocato due partite consecutive con questa maglia? Potete dire quello che volete alla stampa più tardi: “Oh, Douglas non è in forma”. Non sono forse in forma io? Ho fatto tutta la preseason e ho giocato ogni partita. Avevo appena avuto una delle migliori stagioni della mia carriera, uno dei migliori centrocampisti della Premier League”. E ancora: “Gli infortuni mi hanno ostacolato, sì. Ma per quanto tempo sono rimasto in panchina mentre ero in salute? Molto. Questi infortuni non erano normali. Non sono mai stato un giocatore che si infortuna, ma ci sono così tante cose che potrebbero aver causato questo che preferirei non commentare. Continuerò a fare tutto per questo club, anche se a volte è difficile, non è facile, ma potete contare su di me!”.

La Juve nella ripresa contro il Monza ha avuto il 17% di possesso palla. E non è un caso

L’atteggiamento conservativo anche contro l’ultima in classifica è stato frutto di una scelta precisa. “Questa squadra doveva giocare così, altrimenti poteva accadere di tutto”, ha spiegato Tudor. E suona come un allarme per il futuro.

Quattro minuti e 15 secondi. Per così poco i giocatori della Juventus hanno tenuto il pallone nel secondo tempo della partita vinta contro il Monza. È il 17% dei 25 minuti di tempo effettivo rilevati nella ripresa dai dati elaborati dalla Lega Serie A. Un numero troppo piccolo, considerate anche le forze in campo delle due squadre, per non destare scalpore. E il fatto di essere in inferiorità numerica per l’espulsione di Yildiz non può essere un’attenuante.

Quella di Tudor, d’altronde, è stata una scelta ben precisa. Ma davvero la Juve, con in campo calciatori con qualità di palleggio come Renato Veiga, Nico Gonzalez, Locatelli o Cambiaso, non poteva fare diversamente contro l’ultima in classifica?

Secondo l’allenatore juventino no. “La squadra non ha la maturità per gestire la palla diversamente, questo era l’unico modo: stare là, palla lunga e battagliare, l’abbiamo fatta così e organizzata così e si è dimostrata giusta per le caratteristiche dei giocatori – ha confessato ancora Tudor -. Questa squadra doveva giocare così, altrimenti poteva accadere di tutto”. Il riferimento è chiaramente ai 19 punti persi da situazioni di vantaggio in Serie A (peggio hanno fatto solo Empoli con 21, Como con 24 e Venezia con 28) e a una formazione che, anche a causa della bassa età media, ha dimostrato mancanza di leadership e di esperienza nella gestione delle partite.

Ora sì che Yildiz è un vero 10. Gol e linguaccia grazie alla… “nuova energia” di Tudor

Il turco è tornato a segnare, non succedeva da 77 giorni, dal derby dell’11 gennaio. E adesso è davvero al centro del progetto bianconero

Yildiz ritrova il sorriso e lo restituisce alla Signora. Se non è un segno del destino, è qualcosa di molto simile. L’era Thiago Motta si è chiusa a Firenze con Kenan in panchina anche dopo il 3-0 dei viola.

Quella di Igor Tudor si apre con una magia del numero 10 lanciato verso la porta da un rimpallo vincente di Dusan Vlahovic, il manifesto dei bianconeri finiti nell’angolo con la precedente gestione. Il mondo capovolto in meno di una settimana. Merito di Yildiz, rimesso al centro della Juventus. Dieci di nome e di fatto.

Kenan, dopo mesi vissuti con i piedi sulla linea laterale, contro il Genoa è tornato a danzare nelle zone di campo che preferisce. Più trequartista che ala. Meno confini da rispettare e più libertà d’azione per scatenare fantasia e genialità. Il gol è un po’ lo spot del calcio di Yildiz, mix di determinazione tedesca (come la madre) ed estro turco (come il papà).

L’ex Bayern ha puntato l’area con cattiveria e poi l’istinto gli ha suggerito una giocata un po’ da calcio di strada e un po’ da PlayStation: dribbling secco e diagonale di destro sotto l’incrocio. “Uno dei miei gol più belli – sottolinea il numero 10 a fine partita – ma spero di farne anche dei normali. Sì, è stato importante anche Tudor a inizio azione… Ringrazio Motta, ha fatto quello che poteva. Siamo contenti e siamo un bel gruppo, Tudor ha portato molta energia”. Yildiz ha esultato a braccia aperte, sommerso dai compagni, e l’Allianz Stadium è andato in delirio. 

Juve, vendere Cambiaso per ripagare l’esonero di Motta. Ma Giuntoli ha anche un piano B.

La cessione a giugno dell’azzurro (City e Liverpool su di lui) servirebbe a compensare i costi extra per il licenziamento dell’ex tecnico. Altrimenti, ci sono due big che rischiano.

L’esonero di Thiago Motta rischia di pagarlo (per primo) Andrea Cambiaso. Nessun regolamento di conti personale, ma di bilancio. Tutto ha un prezzo, anche nel calcio, e il cambio in corsa del tecnico italo-brasiliano non è indolore per le casse della Signora.

A meno di una nuova ricapitalizzazione di Exor, la cassaforte del club bianconero, la Juventus dovrà trovare sul mercato la spesa extra accantonata a bilancio dopo il divorzio dall’ex allenatore e dal suo staff. Ballano una trentina di milioni tra i 13-14 lordi di Motta (contratto fino al 2027) e la somma analoga che i vertici bianconeri avevano già messo in preventivo di dover incassare per contenere le perdite al 30 giugno intorno ai 32 milioni. In attesa di capire se John Elkann aprirà nuovamente il portafoglio – sono in corso riflessioni – il dt Cristiano Giuntoli è costretto a lavorare sulla strada più complicata: quella di compensare l’addio di Thiago racimolando una trentina di milioni di plusvalenze già a giugno, nella finestra istituita dalla Fifa poco prima dell’inizio del Mondiale per Club. Il maggior indiziato è Cambiaso, già vicinissimo al trasloco nei mesi scorsi e valutato intorno ai 60 milioni. 

A gennaio il terzino jolly è stato a un passo dal Manchester City, a lungo in pressing su precisa indicazione di Pep Guardiola. Alla fine la fumata bianca non è arrivata e Cambiaso è rimasto a Torino. I Citizens avevano messo in preventivo una sessantina di milioni per l’ex genoano e, stando a quanto filtra dai salotti della Premier, non hanno cambiato idea. Stavolta la Juventus sembra obbligata non solo ad aprire la porta, ma a spalancarla proprio. Questione di bilancio e di conti da mettere in ordine. Giuntoli, anche se a fatica visti gli infortuni in difesa, probabilmente non si sarebbe opposto già in inverno.

A giugno l’assegno del City sarebbe “benedetto” e in quel caso Cambiaso rischierebbe di sfidare subito la Juventus nel girone del Mondiale per Club.

Nico fischiato, Vlahovic umiliato e sfottuto: Firenze non perdona

Accoglienza dura per due ex che, anche per colpe non loro, non hanno fatto nulla per farsi rimpiangere

Quella di Fiorentina-Juventus 3-0 è una serata da dimenticare per il mondo che fa il tifo per la Signora, ma probabilmente per Nico Gonzalez e Vlahovic di più. Sono loro i calciatori che escono peggio degli altri dal naufragio in bianco e nero di una squadra che al Franchi ha confermato le lacune dello Stadium contro l’Atalanta aggravando in un colpo solo la posizione in classifica e la situazione di Thiago Motta in panchina.

Ai fischi erano preparati entrambi: Dusan Vlahovic non era la prima volta che tornava a Firenze da avversario e l’argentino poteva facilmente immaginare un’accoglienza non proprio col tappeto rosso. Ma in un ambiente del genere, con bordate di fischi assordanti a ogni tocco di palla (e, ricordiamo, il Franchi è ancora a mezzo servizio per i lavori di restyling), un giocatore già in difficoltà, e che veniva da mesi di partite al di sotto delle aspettative, era complicato potesse dare il suo meglio. E infatti per lui Fiorentina-Juve è stata tutto tranne che la partita della svolta. Anzi, c’è chi si chiede come si possa riabilitare un attaccante crollato così da un club a un altro, e se sia possibile rivederlo ai suoi livelli viola.

Lui non è un valore aggiunto per la Juve, che l’estate scorsa ha speso 33 milioni per strapparlo proprio ai rivali fiorentini, e la Juventus non sembra essere la dimensione adatta a lui. Riflessioni che rischiano di alimentare le perplessità su una sua permanenza a Torino, al di là dell’investimento grosso e del fatto che non sia proprio questa una delle priorità di cui discutere in casa Juve. Mentre il momento di pensare a una Signora senza Vlahovic, di contro, si avvicina sempre più. Il suo Fiorentina-Juve ha assunto i tratti di un congedo quasi umiliante secondo chi prende le difese del giocatore più costoso, più pagato e allo stesso tempo meno considerato della attuale rosa juventina. Dusan è rimasto in panchina per tutti e 90 i minuti di gara, si è alzato per andarsi a scaldare mentre i suoi ex tifosi inveivano contro di lui (da appurare l’eventuale natura razzista di alcuni improperi) e ha sentito il suo nome nel ritornello di cori di scherno che hanno reso ancora più amara una partita che non ha nemmeno potuto giocare.

Juve-Inter è già iniziata: Motta fa gruppo, invita squadra e staff a cena e paga per tutti

La Juventus ha fame e ha cominciato il derby d’Italia a tavola, a due passi da un luogo storico del club: l’ex sede di Corso Galileo Ferraris, distante pochi minuti dal centro di Torino. Thiago Motta, guida della giovane Juve, dal primo giorno insiste sul concetto del “tutti insieme”. E tutti insieme i bianconeri si sono ritrovati a cena giovedì sera al Lève, il ristorante di proprietà dell’ex capitano Leonardo Bonucci. Serata voluta, organizzata e offerta da Motta, che ha “convocato” nel locale non solo i giocatori e lo staff tecnico (dal vice Hugeux al marine Colinet fino ai preparatori dei portieri Yovo e Lozano), ma anche i tanti professionisti che quotidianamente lavorano a contatto con il gruppo ma lontano dai riflettori. Dall’infaticabile Matteo Fabris, molto più che un team manager, ai medici e i fisioterapisti fino ai magazzinieri. Circa una quarantina di persone. Thiago capotavola e sempre più leader. “Debutto” a cena extra ritiro per Kolo Muani, Veiga e per gli ultimi colpi del mercato invernale. 

Motta abita abbastanza vicino al locale di Bonucci, ma a Torino viene descritto tutto Continassa e casa. Al campo dalla mattina presto al tardo pomeriggio. È raro vedere Thiago in giro o ad eventi mondani, se non quando viene raggiunto sotto la Mole dalla moglie e dalle figlie come in occasione delle Atp Finals. Giovedì ha fatto uno strappo alla regola. È la prima volta, infatti, che Motta porta il “gruppo squadra” a cena e probabilmente la scelta non è stata casuale. Un po’ allenatore e un po’ psicologo. Ci sono momenti in cui due risate e un po’ di leggerezza tra una portata di carne e una di pesce contano come una doppia seduta di allenamento. Tempismo perfetto, in mezzo al decisivo playoff di Champions contro il Psv – mercoledì il ritorno ad Eindhoven dopo il 2-1 di Torino – e soprattutto a ridosso della partita più sentita dal popolo bianconero. Quel derby d’Italia già cominciato martedì scorso sulle tribune dell’Allianz Stadium dopo il gol di McKennie contro gli olandesi. 

Juve, segnali da Parigi: il Psg non convoca Kolo Muani. Il punto sulla trattativa

Niente sfida col Saint Etienne per l’attaccante di Luis Enrique, sempre più vicino all’uscita. Bianconeri in pole, ma anche il Tottenham è in agguato

Un segnale forte. E la Juventus può sorridere. Per la partita di stasera contro il Saint Etienne, Luis Enrique non ha convocato Randal Kolo Muani. L’attaccante del Psg quindi è spinto verso l’uscita, dove lo attende il club bianconero interessato a rinforzare il reparto avanzato. Se il giocatore sembra incline a trasferirsi in Serie A non va sottovalutata la pista che conduce in Premier League, dove il Tottenham è un rivale diretto.

Dai convocati è stato escluso anche Milan Skriniar che sta valutando varie offerte. Ma la decisione di rinunciare a Kolo Muani è un’indicazione importante che asseconda i contatti che si sono intensificati tra Parigi e Torino negli ultimi giorni, come riportato anche dai media d’oltralpe. Va trovata una formula che soddisfi tutti, sapendo che il Psg è meno rigido rispetto ai mesi scorsi quando escludeva a priori un prestito per un giocatore pagato 95 milioni di euro, con i bonus, solo un anno e mezzo fa. Ormai, il club dell’emiro è disposto a un prestito ponte con un riscatto senza obbligo, ma da far valere a condizioni determinate, facili da soddisfare.

E più che l’ingaggio, che ammonta a circa 5,5 milioni di euro, resta da stabilire il prezzo di cessione che potrebbe condizionare la Juventus impegnata in una politica di drastica riduzione dei costi. Per questo rimane aperto lo sbocco verso la Premier, dove il Psg vanta rapporti privilegiati con il Tottenham, che ha meno inibizioni di bilancio. La trattativa comunque procede con la spinta di Lucho che attende a braccia aperte l’arrivo di Kvaratskhelia dal Napoli per compensare la rinuncia al nazionale francese.

Vlahovic-Juve, braccio di ferro: non vuole rinnovare, il divorzio è più vicino

Il serbo vuole andarsene a zero nel 2026. In estate sarà addio ma il club vuole cautelarsi già a gennaio: Zirkzee è il preferito di Motta, Kolo Muani e Fullkrug le alternative

Gennaio è il mese di Dusan Vlahovic. Il 28 di questo mese l’attaccante serbo compirà 25 anni e negli stessi giorni ne festeggerà 3 di Juventus, visto che è arrivato nella sessione di mercato invernale del 2022. Eppure mai come in questo momento il numero 9 e la Juventus appaiono lontani, sempre più vicini a un divorzio che, se anche non si consumerà a breve, sembra ormai cosa certa. A dividerli è il contratto in scadenza nel 2026, che il centravanti non è intenzionato a rinnovare alle condizioni economiche del club e costringe i bianconeri a metterlo sul mercato e ad accelerare per l’arrivo di un’altra punta, che consentirebbe a Thiago Motta di avere un’alternativa a un giocatore destinato all’addio.

Difficile che succeda già a gennaio, anche se le vie del mercato sono infinite e se dovesse arrivare un’offerta congrua la Juventus non si metterebbe certo di traverso, più facile che la rottura si consumi in estate, ma nel frattempo Cristiano Giuntoli vuole cautelarsi con un uomo in più nel suo ruolo, anche per spingerlo ad andarsene.

Ieri Vlahovic si è presentato al J|Medical per un controllo dopo aver avvertito un dolorino. Niente di grave, solo un affaticamento muscolare che dovrebbe riuscire a smaltire in fretta. Il serbo però per un paio di giorni s’allenerà a parte e solo intorno a giovedì si capirà se potrà esserci per il derby. La cautela è d’obbligo, anche perché la Juventus è attesa da un ciclo di fuoco tra campionato e Champions (6 partite in 19 giorni dal derby in poi) e Thiago Motta non può permettersi di perdere per un periodo prolungato il suo unico centravanti di ruolo. Di sicuro non è un momento felice per lui, l’intoppo fisico arriva dopo la brutta prestazione in Supercoppa, con conseguente sostituzione e volto scurissimo.

La Juventus è disposta ad allungare ma non alle stesse cifre (Vlahovic attualmente guadagna 10,5 milioni e, avendo un contratto a salire, la prossima stagione arriverà a 12) e il giocatore non intende accettare una decurtazione dello stipendio.