Via Jovic e la 9 del Milan è senza padrone: non era mai successo in più di 100 anni

Quest’anno nessuno indosserà il numero del centravanti. Il serbo, per ora, resterà l’ultimo. La storia è fatta di grandi punte e tanti abbagli

Negli ultimi anni la maglia numero 9 del Milan si è trasformata da simbolo di gloria a vessillo maledetto. Un numero che un tempo apparteneva ai grandi cannonieri della storia rossonera, ma che oggi porta più ombre che luci.

Tra aspettative brucianti e avventure lampo, indossarla a San Siro è diventato un fardello più che un privilegio. Con l’addio estivo di Luka Jovic, il Diavolo si è ritrovato senza padrone della “9”: non è mai successo in oltre cento anni di storia. Se un tempo c’era la corsa a conquistarla, adesso sembra esserci la paura di doverne reggere il peso.

La maglia numero 9 del Milan è stata a lungo emblema di potenza e orgoglio. Glorificava chiunque la indossasse. Storicamente i numeri nel calcio nascevano per distinguere i giocatori in campo: dall’1 all’11 i titolari, con la 9 destinata al centravanti, l’eroe chiamato a trascinare la squadra con i suoi gol. Ogni epoca ha avuto i suoi interpreti. Dai Cinquanta fino alla fine dei Novanta, la maglia numero 9 è stata onorata da grandi campioni: Nordahl, Altafini, Sormani, Van Basten sono alcuni di questi. Giocatori che hanno elevato il peso della 9 rossonera a un livello talmente alto da renderla un’istituzione.

Avanzando lungo la linea del tempo troviamo lo “squalo” Joe Jordan, lo scozzese senza denti che nel suo biennio milanista visse sia la retrocessione in Serie B sia la promozione immediata col Milan. A incarnare il prototipo dell’attaccante doc arrivò Mark Hateley, che con la 9 sulle spalle decise un derby storico contro l’Inter con un colpo di testa, spezzando un tabù che durava da sei anni. La metà Ottanta segna la nascita del grande Milan di Berlusconi e Sacchi: in quegli anni, uomini come Virdis e Van Basten trasformano la numero 9 in un’icona assoluta, firmando gol decisivi per scudetti e trionfi internazionali.

Milan, equilibri sulle punte: Jovic gioca un terzo di Leao e segna gli stessi gol

Il serbo ha raggiunto Rafa nei gol stagionali (6) superandolo in campionato nonostante un minutaggio molto inferiore

È sicuramente vero ciò che sostiene Pioli (“Leao segna poco? Quando lui non è incisivo comunque ci porta via avversari e crea spazi, e poi abbiamo cambiato modo di condurre le partite: per lui gli spazi a volte sono minori”) ed è altrettanto vero che Rafa non è un giocatore che vive per il gol come succede ai centravanti. Il portoghese esibisce i suoi sorrisi migliori anche quando mette a punto un assist vincente. Però, c’è un però. Come spesso accade la verità sta nel mezzo. E allora, se è vero che a Rafa non vengono richieste grandinate di reti, è altrettanto vero che qualcosa in più sottoporta sarebbe lecito e logico attenderselo. Numeri troppo esigui che nelle ultime settimane sono finiti sotto la lente di ingrandimento anche a causa… di alcuni compagni.

Per esempio Loftus-Cheek, che in campionato ha raggiunto la stessa quota gol del portoghese (3). Ma è soprattutto Luka Jovic ad aver cambiato marcia radicalmente, con una media gol di alto profilo. Rapporto minutaggio-reti: un piccolo capolavoro, se consideriamo che – coppe comprese – il serbo ha eguagliato Rafa (6 gol), mentre in campionato lo ha superato (4 gol a 3). Fin qui, nulla di eccessivamente strano dal momento che Luka è un centravanti e Leao un esterno. L’angolo di osservazione però cambia, appunto, considerando la media gol. Già, perché mentre il numero 10 è – giustamente – una delle colonne imprescindibili, Jovic si deve accontentare delle volte in cui Giroud ha bisogno di tirare il fiato. Oppure di quando la necessità è tale – come a Udine – da obbligare Pioli a schierare il doppio centravanti. E qui l’impatto è decisamente differente. I numeri stagionali: 6 gol in 682 minuti per Jovic, 6 in 1.872 per Leao. Ovvero uno ogni 113 minuti contro uno ogni 312. I numeri in campionato: 4 gol ogni 470′ per Jovic, 3 in 1.321 per Leao.