L’Inter accelera per Jonathan David: i dettagli dell’offerta. Ma c’è un ostacolo

L’attaccante canadese si libera a parametro zero dal Lilla il prossimo 30 giugno: Marotta e Ausilio hanno già spedito la proposta nerazzurra.

La proposta dell’Inter è lì, sul tavolo di Jonathan David e del suo entourage. La dirigenza nerazzurra monitora da mesi la situazione dell’attaccante canadese, che proprio ieri ha confermato l’addio al Lilla.

Saluterà a parametro zero, senza prolungare il contratto in scadenza il prossimo 30 giugno: “Volevo annunciarvelo io: qui ho passato cinque stagioni magnifiche – ha scritto David sul suo profilo Instagram -, non sempre è stato facile, ma spero di avervi fatto felici con i miei gol, il titolo di campione di Francia e la Supercoppa. Ringrazio tutti: compagni, allenatori, staff tecnici, medici e chiunque ho incontrato qui. Ringrazio voi tifosi che mi siete stati di supporto anche nei momenti difficili. Siete nel mio cuore”.

Dicevamo: storicamente Beppe Marotta osserva con attenzione i parametri zero del calcio italiano e non, e alla lista dei grandi “free agent” conquistati dal presidente nerazzurro potrebbe aggiungersi il nome di Jonathan David. Perché il club la sua proposta al giocatore l’ha già fatta tempo fa e oggi è in attesa di una risposta. Certamente non resterà a guardare a lungo, ma la deadline è ancora distante.

Forte del costo zero per il cartellino, però, David ha una richiesta di ingaggio molto elevata – circa 5 milioni netti a stagione – e la proposta nerazzurra è leggermente inferiore rispetto ad altre piovute sul tavolo del procuratore Nick Mavromaras dell’agenzia Axia Sports Management. L’attaccante è seguito da Napoli, Barcellona, Liverpool, Chelsea, Bayern Monaco, Real Madrid. Insomma, la concorrenza non manca. Ma in questo senso potrebbe rivelarsi decisiva la dimensione raggiunta anche dall’Inter negli ultimi anni, oltre che dallo stesso David: due finali di Champions negli ultimi 3 anni attirerebbero chiunque.

Real Madrid vendte til seier på overtid – utsatte Barcelonas gullfest

Martin Valjent holdt på å gjøre Barcelona til spansk seriemester med sitt mål for Mallorca mot Real Madrid onsdag, men hjemmelaget vendte til 2-1-seier.

Kylian Mbappé utlignet midtveis i 2. omgang, og etter mange store sjanser scoret midtstopper Jacobo Ramón vinnermålet i det femte tilleggsminuttet.

Det betyr at Barcelona må vinne byderbyet mot Espanyol torsdag for å være seriemester to hele runder før slutt i La Liga.

Mallorca-stopper Valjent ga Mallorca ledelsen i det 11. minutt på Santiago Bernabéu. Han spilte en veggpasning og startet inn i feltet. Dani Ceballos tok mye av farten av ballen, men Valjent bremset og sendte i vei et skudd mot lengste hjørne som overrumplet keeper Thibaut Courtois.

Med hjemmetap for Real Madrid ville Barcelona vært mester allerede onsdag.

Real Madrid presset voldsomt, men måtte vente til midt i 2. omgang på utligningen. Mbappé ble spilt fram av Luka Modric og smatt ved hjelp av sine dribleferdigheter mellom Mateu Morey og Valjent før han skjøt i mål før Antonio Raillo nådde fram.

I sluttminuttene hadde Real Madrid noen eventyrlige muligheter til å sikre seieren. I det 86. minutt reddet Valjent på streken med hodet da Mbappé skjøt på en keeperretur, og på overtid skjøt innbytter Goncalo Garcia utenfor på åpent mål. Til slutt kom målet, som ble godkjent etter VAR-sjekk for mulig offside.

Barcelona sikret i praksis seriegullet med helgens 4–3-seier i El Clásico, men Real Madrid vil gjerne holde liv i spenningen så lenge som mulig. Mest sannsynlig utløses den torsdag.

Milan e Bologna, non solo per la Coppa Italia: tutto quello che c’è in palio in questa finale

Dal pass per l’Europa alle strategie di mercato, la sfida di stasera avrà forti ripercussioni per i due club.

Qualche finale recente di Coppa Italia è stata più che altro una finalina, un lusso per chi aveva già vinto qualcosa di più importante e poteva permettersi di saltare il dolce avendo la pancia piena. Ma non è il caso di Milan-Bologna. Due squadre che, per motivi opposti, hanno disperatamente bisogno di un sigillo d’autore per dare un senso a una stagione ancora senza voto definitivo. Il prof le aspetta per l’ultima interrogazione.

Sicuramente il Bologna sfilerà tra gli applausi dei suoi tifosi anche perdendo: lo spettacolo degli ultimi mesi non può essere cancellato da una sconfitta. La trasformazione di Orsolini e Ndoye, il nuovo ruolo di Ferguson, l’affermazione di Odgaard, i successi con le grandi, l’entusiasmo, il respiro dell’impresa. Resterebbero però tanti rimpianti dopo aver giocato meglio dell’anno scorso, pareva impossibile, e avere accarezzato l’idea della seconda qualificazione in Champions di fila. Stesso discorso, da prospettive diverse, per il Milan il cui futuro è molto più imperscrutabile: un’eventuale Coppa Italia luciderebbe sugli scaffali anche la Supercoppa che a gennaio sembrava un mundialito e poi è stata travolta dalle vicissitudini di campionato e Champions. Fallendo stasera, anche Riad finirebbe sepolta nel cassetto con tanti protagonisti, per primo Sergio Conceiçao.

Al fischio d’inizio, però, Bologna e Milan sono fuori dalle prossime coppe. Per la classifica attuale, Napoli, Inter, Atalanta e Juve hanno un posto in Champions, la Lazio è in Europa League, la Roma deve “accontentarsi” della Conference di cui ha vinto la prima storica edizione. Bologna (settimo) e Milan (ottavo) sono out. Due giornate possono cambiare tutto e non soltanto per lo scudetto. Ma la Coppa Italia offre la strada più immediata per l’Europa League. Non è il massimo, sia per il Milan che ha vinto più Champions di tutti, Real Madrid escluso, sia per il Bologna che, dopo una partenza complicata, ha cominciato a cantare la musichetta e a muoversi al suo ritmo solo con un paio di mesi di ritardo. Ma cambia lo stesso la stagione.

Inter, testa libera e titolari ritrovati: chi torna contro la Lazio

Solamente Lautaro sicuro assente nel prossimo match. Da Thuram a Barella: i big si riprendono il posto.

La prima missione è stata completata. Era quella del “non dobbiamo avere rimpianti”, perfettamente messa in mostra domenica a Torino: Inter praticamente perfetta, sul piano della gestione dell’impegno. Adesso siamo nella fase due. Non solo rimpianti. Qui siamo al “dobbiamo crederci”, che è una sfumatura diversa, un passaggio ulteriore. Tra squadra e dirigenza, ieri, circolava più o meno la stessa battuta. Questa: “Vorrà dire che ci toccherà vincerlo”. Risate a parte, sono sei paroline che rendono bene l’idea di come sia cambiato il mood scudetto, da domenica sera. E il primo a saperlo è Simone Inzaghi, che in carriera da giocatore ha vissuto in prima persona – direttamente o indirettamente – campionati decisi all’ultima giornata, leggi il diluvio di Perugia del 2000 o il 5 maggio 2002.

Quel che non cambia, invece, è l’avvicinamento alla partita di domenica con la Lazio. Perché Inzaghi non ha voluto – giustamente – derogare al piano di concedere 48 ore di puro relax ai suoi giocatori. E così Bastoni, Barella e Correa se ne sono andati a tifare Sinner a Roma, Calhanoglu è volato a Marbella, Lautaro a Ibiza e via così. Adesso no. Adesso tutto il mondo Inter si è sintonizzato su Monaco di Baviera e quel che viene dal campionato è in più. 

Però è giusto crederci. Ed è chiaro che domenica contro la Lazio l’Inter scenderà in campo con una tensione diversa, certamente maggiore. E anche San Siro farà la sua parte. Da domani sarà l’ora della pianificazione, in termini di formazione. Prima di tutto, i quattro infortunati. Inzaghi è stato fin troppo pessimista a Torino: solo Lautaro salterà sicuramente la Lazio, gli altri tre – Pavard, Frattesi e Mkhitaryan – hanno tutti buone chance di recuperare almeno per la panchina.

Kalulu paga di tasca sua: multato dalla Juve. E il suo campionato può essere già finito

Il francese rischia due giornate di squalifica per il rosso con la Lazio e anche il club lo sanziona.

Il conto è salatissimo. Alla Juventus per il momento è costato due punti all’Olimpico, a Pierre Kalulu la quasi certezza di aver finito il campionato in anticipo e la multa della società. Il giorno dopo il gesto di reazione su Castellanos e l’espulsione contro la Lazio che ha compromesso il colpo Champions dei bianconeri, il difensore francese continua a sentirsi in colpa, consapevole di averla combinata grossa. Un bis di quanto successo a fine aprile con il Monza, quando era stato Kenan Yildiz a lasciare la Signora in inferiorità numerica, ma con una differenza non secondaria.

Il numero dieci turco ha sbagliato, ma ha 20 anni ed è alla prima vera stagione da protagonista nella Juventus e a livello di prima squadra, mentre l’ex Milan va per i 25, in rossonero ha già conquistato uno scudetto da primo attore e dello spogliatoio della Continassa è uno dei più esperti. Motivi sufficienti per aspettarsi un maggiore autocontrollo, a maggior ragione in una giornata delicatissima come quella dello “spareggione Champions” in casa della Lazio. Tudor e i compagni hanno difeso pubblicamente Pierre, ma ovviamente il rammarico è grande negli ambienti bianconeri

Al danno di Roma, si aggiungerà la beffa. Il precedente di Yildiz e delle due giornate di squalifica per “condotta violenta” – la stessa motivazione che sabato ha spinto l’arbitro Massa a mostrare il cartellino rosso al francese dopo il controllo al Var – lasciano poche speranze al difensore e alla Juventus per il finale di campionato. Igor Tudor, già in emergenza tra infortuni e squalifiche, dovrà fare a meno di uno dei suoi “soldatini” più fedeli per gli ultimi 180 minuti della volata Champions, quando la Signora sfiderà l’Udinese (domenica all’Allianz Stadium) e il Venezia (in trasferta). Il tecnico croato, in difesa privo anche di Nicolò Savona (squalificato), chiederà a Federico Gatti (rientrato nel finale dell’Olimpico), Andrea Cambiaso e Llyod Kelly di stringere i denti per l’Udinese e in ogni caso dovrà inventarsi qualcosa nei prossimi allenamenti per rialzare il muro.

Corsa Champions: Juve non più padrona del proprio destino. Che peccato perdere Fabregas

A Tudor resta il calendario migliore, ma il cammino si farà difficile se la Roma resisterà a Bergamo. Il tecnico del Como verso il Bayer

La matassa del quarto posto, l’ultimo buono per la Champions, rimane ingarbugliata. L’1-1 tra Lazio e Juve non ha fatto nessuna chiarezza.

Anzi, ha moltiplicato i se e i ma, i conteggi e i ricalcoli. In estrema sintesi, si può dire che oggi la Juve non sia più padrona del proprio destino. Fino a domani notte sarà appesa al risultato di Atalanta-Roma e deve augurarsi che la Dea vinca, per mettersi alle spalle la squadra di Claudio Ranieri, 64 a 63. Se l’attuale parità di classifica con la Lazio, 64 punti a testa, persistesse, sarebbe premiata la Juve per via degli scontri diretti favorevoli. Un ex aequo a tre — Roma, Juve e Lazio tutte insieme — consegnerebbe il pass Champions ai giallorossi, primi nella mini classifica avulsa con bianconeri e biancocelesti. Se domani la Roma perdesse, alla Juve basterebbe vincere le ultime due partite, contro Udinese e Venezia, per essere certa di acciuffare una qualificazione Champions che sul piano tecnico non merita e che però non sarebbe scandalosa, perché bene o male Igor Tudor ha restituito alla Signora una discreta parte della sua identità di squadra tesa al risultato, senza arzigogoli né geroglifici.

La situazione è suggestiva perché Gian Piero Gasperini, allenatore dell’Atalanta, ha l’anima juventina. È nato a Grugliasco, vicino a Torino, è cresciuto nel vivaio della Juve, ha debuttato tra i grandi in bianconero e poi è stato dirottato altrove. Finito di giocare, è ritornato alla casa madre per cominciare lì, nel settore giovanile, la sua scalata di allenatore. Non è un mistero che la sua grande ambizione sia stata e forse sia ancora la panchina della Juve: a Torino, Gasperini chiuderebbe il cerchio. Immaginiamo che milioni di juventini guardino a lui con speranza, per una specie di mozione degli affetti: “Gasp, sei uno di noi e hai l’occasione di fare qualcosa per noi. Fallo e te ne saremo per sempre grati”. A questo si è ridotta la Juve, a mettersi nelle mani degli altri.

Derby inglese in Europa League: la finale di Bilbao sarà United-Tottenham

Il Manchester di Amorim liquida 4-1 l’Athletic che era passato in vantaggio, gli Spurs vincono 2-0 in scioltezza in casa del Bodo. Il 21 maggio la partita che assegnerà il trofeo

Niente di nuovo sul fronte inglese. Come suggerivano già i parziali rassicuranti dell’andata, la finale di Europa League sarà a tinte british tra Manchester United e Tottenham. È la squadra di Amorim a staccare il pass per Bilbao, dove il 21 maggio si assegnerà la coppa, e non l’Athletic, uscito sconfitto anche nella gara di ritorno, subendo peraltro la rimonta dei Red Devils e crollando nel secondo tempo. D’altro canto, il Tottenham naviga serenamene nella bufera di Bodø. L’uno-due decisivo arriva poco dopo l’ora di gioco e tanto basta per avere la meglio dei norvegesi.

Com’era prevedibile, la formazione di Amorim non si prodiga eccessivamente per gestire l’inerzia del gioco, lasciandola ai baschi. Berenguer ha subito una palla interessante al 9’, ma da buona posizione in area spara altissimo. Al 31’, però, la squadra di Valverde sblocca l’incontro: Maguire perde un brutto pallone a ridosso dell’area, Djalò calcia ma è ribattuto, raccoglie Jauregizar che pesca l’incrocio dei pali. L’Athletic resta proiettato in avanti e il Manchester United prova ad approfittarne in contropiede. Dorgu verticalizza perfettamente per Garnacho, che davanti ad Agirrezabala tenta uno sbilenco tocco morbido che termina a lato (44’). Un’invenzione di Mount gela le flebili speranze degli spagnoli. Yoro serve l’inglese in area, controllo di tacco a seguire e destro a giro imparabile per pareggiare il risultato al 72’. Sette minuti dopo, Casemiro raddoppia con un’abile torsione di testa per deviare in rete il cross da punizione di Bruno Fernandes. Le vecchie conoscenze della Serie A confezionano il tris dello United: Dorgu serve Diallo, che guadagna il fondo e propone a Hojlund un pallone semplicissimo da spingere in porta (85’). Il punto esclamativo è ancora di Mount che, nel recupero, segna quasi da centrocampo dopo il rinvio sbagliato del portiere basco.

L’accordo, l’iscrizione a scuola a Milano e poi… Quando Donnarumma era dell’Inter

Il retroscena che lega l’infanzia di Gigio all’Inter: il portiere si stava trasferendo dall’ASD Club Napoli in nerazzurro, poi si inserì il procuratore che lo portò al Milan. Le foto

Gigio Donnarumma all’Inter, con tanto di foto in maglia nerazzurra. Uno scherzo? Una grafica montata ad hoc da qualche programma specializzato in intelligenza artificiale? No, semplicemente la pura verità. Perché quando il portiere del Psg era bambino, prima di trasferirsi dall’ASD Club Napoli al Milan, era stato per qualche giorno “di proprietà” dell’Inter. Il virgolettato è d’obbligo, non essendo arrivate all’epoca firme ufficiali su alcun accordo. Ma era davvero tutto fatto. Tutto “apparecchiato” per la nuova vita di Donnarumma a Milano: la trattativa con il padre, il trasferimento organizzato, cinque giorni trascorsi in città e persino l’iscrizione a scuola. Per risalire alla clamorosa storia Gigio-Inter bisogna fare un balzo all’indietro di una quindicina d’anni circa. 

Donnarumma era il portiere del Club Napoli dove giocava e impressionava da sotto età contro i ragazzini di 2, 3 o anche 4 anni più grandi di lui. Già ai tempi, la differenza fisica non si notava nemmeno: il portiere era grosso almeno quanto gli altri. Parava tutto e… segnava pure, perché ogni tanto gli toccava pure il compito di calciare qualche punizione. In una parola, fin da bambino Donnarumma è sempre stato un predestinato. Le grandi squadre italiane, quelle con le migliori reti di osservatori lungo tutto il territorio, iniziarono così a seguirlo con grande attenzione: Inter, Milan e Juve. Donnarumma fece un paio di provini con i bianconeri e con il Genoa, poi scelse l’Inter. Che andò a visionarlo con attenzione a Napoli e si convinse subito.

Si vedeva da lontano che Gigio aveva qualcosa di diverso, qualcosa in più rispetto agli altri. Lasciarselo scappare non rientrava fra le possibilità. Il club nerazzurro sfruttò gli ottimi rapporti con la scuola calcio napoletana per muoversi in anticipo rispetto alla concorrenza e superarla. Arrivò anche l’accordo con il papà e poi via, dritti verso una nuova vita dopo una visita della dirigenza nerazzurra a casa sua. Fino all’inserimento di Raiola e del cugino Enzo. Mino era il procuratore del fratello maggiore di Donnarumma, Antonio, che era di proprietà del Milan. E si inserì di prepotenza nell’affare tra Gigio e l’Inter. 

“Ricorderò questa serata per tutta la vita”: le lacrime di Sommer, l’uomo che ha fermato Yamal

Il portiere dell’Inter decisivo contro il fenomeno del Barcellona: “Giocatore fortissimo, meno male che quel tiro.

Julio Cesar s’è reincarnato in un ragazzo dagli occhi di ghiaccio nato in un luogo opposto a quello in cui ha vissuto il portierone del Triplete: neve e laghi. Tutt’altra cosa rispetto alle spiagge, ma ciò che conta è che Yann Sommer si è travestito da brasiliano in una notte storica. Ha spento una palla di fuoco coi suoi guantoni blindando la finale dell’Inter.

Al minuto 113 del secondo tempo supplementare ha tolto dall’incrocio un sinistro di Yamal destinato in porta più o meno allo stesso modo e dalla stessa posizione da cui Messi cercò di infilare Julio nel 2010, al Camp Nou, sempre in semifinale di Champions e sempre contro il Barcellona: “È stata una parata speciale – ha raccontato commosso nel post partita – la ricorderò per tutta la vita. Sono felice che quel tiro non sia entrato”. Gli interisti d’Italia avranno concordato felici tra un abbraccio e l’altro, sotto la pioggia, leggendo col sorriso le dichiarazioni del portierone che ha ricordato il mito Julio.

Nel 2010, al Camp Nou, prima della corsa di Mourinho tra gli irrigatori accessi, il brasiliano calò il miracolo su Leo colpendo la sfera con due dita. Sommer ha fermato il diciassettenne blaugrana dai capelli dorati e l’apparecchio ai denti: “Un giocatore fortissimo, ma noi siamo riusciti a rimontare. Quando tante squadre incassano il 3-2 sono stanche, noi no”. Un grazie a San Francesco Acerbi e a San Davide Frattesi. Sommer, invece, ha tenuto alta la guardia a modo suo, affilando i guantoni e impostando il gioco dalle retrovie: 61 palloni toccati – solo Bastoni ne ha giocati di più, 64 -, nove lanci positivi e sette parate. La più importante su Yamal. Come Julio Cesar nel 2010. Chiamatelo sottovalutato. Sommer è uno che dribbla da una vita i riflettori. Nel tempo libero, per migliorarsi, medita e prodiga yoga. “Rilassarsi dopo una partita è fondamentale, bisogna trovare dei momenti di sfogo”. Stasera, quando rientrerà a casa dopo un 4-3 che passerà alla storia, farà un’eccezione. Smartphone, audio ad alto volume, puro relax: e chi se la scorda una notte così.

E se Inter-Barça finisse ai rigori? Ecco chi hanno scelto Inzaghi e Flick per tirarli

Calhanoglu e Lewandowski gli specialisti, ma dopo di loro in lista ci sono.

L’ospite inatteso, stavolta, è un po’ più atteso del solito. Perché è vero che l’Inter di Inzaghi è dovuta passare dalla ghigliottina dei rigori una sola volta in quattro anni (il ko della Champions passata, agli ottavi in casa dell’Atletico Madrid) e che il Barcellona, nel medesimo spicchio di tempo, ha fatto lo stesso (vincendo però, contro il Betis nella semifinale della Supercoppa 2023 a Riad), ma stasera il rischio c’è e bisogna tenersi pronti. Lo ha ricordato lo stesso Inzaghi, che questo Inter-Barça lo ha inquadrato come una finale in casa: “Dopo il 3-3 dell’andata, si potrà solo vincere. Passando magari dai supplementari o dai rigori”. E allora un rapido ripasso su pregi e difetti delle due semifinaliste, e una decina di nomi da segnarsi. 

Per cominciare, gli specialisti: Inter e Barcellona ne vantano due quasi infallibili, Calhanoglu e Lewandowski, e c’è da scommettere che saranno loro a guidare i compagni se la sfida dovesse sbarcare sul dischetto. Anche perché il centravanti del Barça, appena recuperato dall’infortunio che lo aveva fermato all’andata, comincerà dalla panchina: autonomia limitata ma sufficiente per presentarsi di fronte a Sommer con lo stadio ammutolito, se ce ne sarà bisogno. Giusto due numeri per rendere l’idea: su 98 rigori, 88 volte la palla è andata in rete; in blaugrana siamo a 13 centri su 15. Calhanoglu è una macchina: 48 rigori trasformati in carriera, appena 6 errori. In nerazzurro si schizza verso la perfezione: 23 gol su 24 tiri, primo penalty fallito lo scorso novembre contro il Napoli. I rigori calciati fuori dai tempi regolamentari e supplementari non fanno statistica, ma vale la pena ricordare che Calha segnò anche nella nottataccia del Metropolitano, unico interista insieme ad Acerbi.