Riecco la LuLa: l’Inter batte l’Empoli 3-0 e torna a vincere dopo 5 giornate

Doppietta di Lukaku, gol finale di Lautaro. Inzaghi conquista i tre punti e sorpassa momentaneamente il Milan al quinto posto

È Romelu Lukaku, fermo con la sua ormai celebre esultanza davanti ai tifosi nerazzurri che lo acclamano dopo una doppietta che mancava da una vita. E questo exploit, fatto di due reti e di un assist da vecchia Lu-La per il gol di Lautaro, arriva il giorno dopo la decisione del presidente Figc Gravina di “graziarlo” dalla squalifica per la semifinale di Coppa Italia di mercoledì coi bianconeri: questa al Castellani è la migliore prestazione della sua seconda vita da interista e pure una potente autocandidatura per un finale ad alta intensità. Lo 0-3 contro la squadra di Zanetti interrompe la spirale negativa in campionato di Inzaghi dopo 5 gare senza vittoria e, forse, rimette la rotta sui giusti binari.

Ad aiutarla la rete dello 0-1 che al 48′ apre la partita come una scatoletta di tonno: Lukaku segna come non ce lo si aspetta, di destro e su azione.  Il tappo è forse saltato, anche perché dopo 28′ arriverà pure il bis di Big Rom, ma quanto cambierà nelle gerarchie di fine stagione lo si scoprirà solo vivendo. Di certo, con l’Empoli costretto a recuperare, si aprono spazi in cui l’Inter può andare a nozze. A destra Bellanova ha campo per sfondare e rovesciare in mezzo palloni interessanti, mentre su una ripartenza a tutto campo Calha strappa per 30 metri e poi di sinistro obbliga Perisan a un mezzo miracolo. A mostrare quanto sia cambiato il vento a Empoli anche la traversa di testa su palla inattiva di De Vrij. Quando Inzaghi cambia Correa per Lautaro, poi, si vedono finalmente sprazzi di vecchia Lu-La, l’habitat naturale di Romelu. E, infatti, il numero 90 completa la sua domenica con un altro gol su azione. Bellissimo, old style, da vecchio Lukaku: doppio passo tutto di potenza e sinistro scaricato all’angolino. E alla doppietta si aggiunge pure l’assistenza per il gol dello 0-3 del gemello argentino, con tanto di mitraglia di coppia sparata per l’esultanza vintage della Lu-La.

Vlahovic a secco? È Rabiot il bomber Juve: adesso è lui il miglior marcatore stagionale

Il francese ha raggiunto il serbo con 11 reti segnate in stagione: il suo primo in Europa League è decisivo per la qualificazione alla semifinale (nonostante il rigore procurato), Rabiot è il capocannoniere della Juve in questa stagione.

La rete con cui Adrien Rabiot ha orientato dopo nove minuti il ritorno con lo Sporting è la sua prima stagionale in questa competizione, la terza europea quest’anno compresa la Champions. E soprattutto l’undicesima in stagione, comprese le otto in campionato: di gran lunga la sua stagione più prolifica in carriera. E alla faccia dei dubbi sul suo post-Mondiale, sei di questi undici gol sono sbocciati dopo l’avventura in Qatar arrivata fino alla finale.

Sì, poi la partita a Lisbona l’ha riaperta proprio il fallo da rigore del “Duca”, ma tutto è bene quel che finisce bene. “Ha le qualità ma può ancora migliorare, a volte arriva vicino all’area e non tira – ha detto Allegri parlando del francese al microfono di Sky -. Deve migliorare ma lo ha fatto nel palleggio ed è diventato importante, straordinario”. E sulla sentenza del Coni: “Noi eravamo sereni, ovviamente siamo contenti perché non abbiamo mollato. Continueremo a lavorare per stare sul podio, ma oggi è una buona notizia per noi”.

Così alla fine è a centrocampo che Allegri ha trovato quel bomber che gli sta mancando davanti. Con questa realizzazione Rabiot è diventato il miglior marcatore in stagione della Juve raggiungendo a quota 11 Dusan Vlahovic. Che non segna da più di un mese, dal ritorno col Friburgo del 16 marzo, sua unica partita in gol nelle quattordici giocate negli ultimi due mesi. No, non è andato bene neanche a Lisbona il serbo, non solo per le occasioni sbagliate, ma certo quel paio di occasioni ghiotte divorate (in particolare quel cross fortissimo di Cuadrado difficile da deviare) restano negli occhi. Le prossime occasioni per sbloccarsi sono prestigiose, domenica col Napoli capolista o mercoledì prossimo nella semifinale di ritorno di coppa Italia con l’Inter.

Inter, Skriniar operato alla schiena in Francia. “Grazie ai compagni per la qualificazione”

Il Inter comunicato e il post dello slovacco su Instagram: “Mi sono sottoposto a un intervento per poter rientrare in campo il prima possibile”

Dall’Inter arrivano aggiornamenti sulle condizioni di Milan Skriniar, assente nella sfida di mercoledì sera contro il Benfica a San Siro nel ritorno dei quarti di finale di Champions League. Il difensore slovacco – fa sapere il club nerazzurro attraverso un comunicato – “è stato sottoposto nella giornata di ieri a intervento chirurgico endoscopico al rachide lombare presso la “Clinique du Sport” di Merignac”. Nelle prossime settimane il giocatore effettuerà un programma riabilitativo.

L’operazione è stata necessaria visto il perdurare dei problemi alla schiena da un paio di mesi e che lo hanno costretto a saltare sette partite di campionato, la doppia sfida di Champions League contro il Benfica e la semifinale di andata di Coppa Italia contro la Juventus. L’ultima apparizione nella sfida di ritorno degli ottavi di Champions in casa del Porto, quando è entrato in campo all’80’ per Darmian.

“Voglio mandare un abbraccio ai miei compagni e ringraziarli per la bellissima qualificazione alla semifinale di Champions League e rassicurare tutti sulle mie condizioni dopo l’infortunio subito nella partita di andata contro il Porto – ha scritto Skriniar sul proprio account – Instagram dopo l’operazione – Ieri, d’accordo con l’Inter, mi sono sottoposto ad un intervento per poter rientrare in campo il prima possibile. Seguirò una breve riabilitazione per poter riprendere l’attività agonistica” ha aggiunto.

Inter, occhio ai diffidati: Inzaghi e 4 big a rischio squalifica per l’eventuale derby

In caso di ammonizione stasera, Bastoni, Dimarco, Lautaro e Dzeko salterebbero la semifinale. L’anno scorso gli ottavi contro il Liverpool senza Barella.

Raggiungere l’obiettivo per prendersi la nona semifinale di Champions e, possibilmente, mantenere i nervi saldi per evitare brutte sorprese. La missione dei nerazzurri questa sera a San Siro sarà duplice e lo sarà in particolare per quattro degli undici che, con ogni probabilità, scenderanno in campo dall’inizio contro il Benfica per difendere il 2-0 conquistato all’andata.

Il suggestivo derby europeo, il terzo della storia dopo quelli del 2003 e del 2005, è lì a un passo, ma c’è chi rischia di perderselo per un cartellino giallo che comporterebbe una sicura squalifica. Il rischio riguarda i diffidati Bastoni, Dimarco, Lautaro e Dzeko, a cui si aggiunge anche il tecnico Simone Inzaghi. L’imperativo, per tutti, è evitare quanto accaduto la scorsa stagione con Barella, costretto a saltare il doppio confronto degli ottavi contro il Liverpool a causa dell’espulsione rimediata nell’ultima sfida della fase a gruppi contro il Real Madrid (peraltro a qualificazione già acquisita). Perché nessuno vorrebbe perdersi l’eventuale derby europeo, anche fosse semplicemente il primo atto (come invece toccherà al rossonero Tonali in virtù del giallo rimediato a Napoli).

Si tratta di gestire nervi ed emozioni ancora per 90’ e poco più, perché – come da regolamento – i cartellini verranno azzerati per tutti a partire dalle semifinali. Ma, al di là delle imprevedibili dinamiche di gioco, l’imperativo per tutti i diffidati in questione (Inzaghi compreso) sarà quello di non ripetere gli errori e le ingenuità costate quasi la metà dei cartellini rimediati quest’anno in Europa. Il discorso vale per tutti gli osservati speciali di questa sera, nessuno escluso. Vale in primis per il tecnico, che arriva alla sfida di San Siro contro il Benfica con il peso dei cartellini rimediati nel doppio confronto della fase a gruppi contro il Barcellona, con l’evitabile espulsione del Camp Nou per proteste a tempo praticamente scaduto.

Napoli-Milan, è sfida totale. Spalletti-Pioli alla resa dei conti

Questo è Napoli-Milan: qualcosa di storico. Per i giocatori, per i club, per gli allenatori. Il Napoli può approdare per la prima volta in semifinale di Champions League, il Milan può tornarci dopo 16 anni.

Luciano Spalletti e Stefano Pioli possono entrare nel nobile cenacolo dei quattro tecnici che si contenderanno il trofeo più nobile d’Europa e aggiungersi ai colleghi italiani che hanno vissuto una semifinale di Coppa dei Campioni. Non sono tantissimi: 16. Anche questa una schiera eletta di bei nomi: Rocco, Bernardini, Trapattoni, Sacchi, Ranieri, Lippi, Ancelotti, Allegri… Spalletti e Pioli hanno iniziato il mestiere allenando i ragazzi: Luciano a Empoli 30 anni fa, Stefano a Bologna 24. La stessa, lunga, gavetta formativa per arrivare allo scudetto quasi insieme, il milanista un anno fa, il napoletano tra poco. Uno solo, stanotte, assurgerà a una dimensione internazionale diversa.

Al primo incrocio, nel settembre 2006, Pioli (Parma) ne prese quattro in casa da Spalletti (Roma). E per la successiva decina di sfide, Luciano è stato un tabù. Ma di recente il milanista ha aggiustato le statistiche, con la vittoria-scudetto di Giroud al Maradona e le due in questo mese. Il 2 aprile ha restituito l’antico 4-0 a domicilio, in campionato; il 12 ha vinto per 1-0 l’andata dei quarti di Champions League a San Siro che condiziona il partitone di stasera. Alla vigilia, Spalletti e Pioli sembravano due casalinghe che rovistavano nel cestone dei capi scontati: ognuno tirava su la statistica che serviva. Il Napoli, che deve fare gol, è la squadra che ne ha segnati di più in questa Champions: 25 come il Manchester City del fenomenale Haaland; ritrova il capocannoniere della Serie A, Osimhen (21 gol in 24 partite), e ha in Kvaratskhelia il terzo assistman del torneo, dietro a Vinicius (Real) e Cancelo (Bayern). Il Napoli, che deve vincere, viene da 12 risultati utili interni e, in questa edizione, ha vinto al Maradona quattro volte su quattro, con almeno tre gol a partita.

Inter-Lukaku: è finita! Addio prestito-bis, il club già a caccia del sostituto

Troppi i 20 milioni investiti nel 2022-23 tra prestito al Chelsea e ingaggio al calciatore: la dirigenza valuta i parametri zero Firmino e Thuram o l’acquisto di Retegui

È metà aprile, la stagione dell’Inter balla ancora tra il film in bianco e nero o uno in 5K, ovvero tutto e il contrario di tutto. Ma la società ha l’obbligo di guardare avanti e programmare già il futuro. E il futuro dell’Inter sarà senza Romelu Lukaku. Il belga tornerà al Chelsea per fine prestito. E il club di Zhang non ha intenzione di negoziarne un altro, perché i 20 milioni lordi spesi per riportarlo a Milano non sono andati di pari passo con le prestazioni.

Però l’Inter ha bisogno di fare i conti già oggi, anche senza sapere con precisione quale competizione europea giocherà la prossima stagione. Ma il discorso di Lukaku va persino oltre. Perché anche la prossima estate il club nerazzurro avrà l’obbligo di ridurre il monte ingaggi, che oggi dice complessivamente 132 milioni lordi. Con il costo di Lukaku, tra milioni spesi per il prestito e ingaggio, l’idea è metter dentro un altro calciatore. Magari più giovane e di prospettiva. Di sicuro di proprietà. Anche per non ripetere l’errore commesso la scorsa estate con Paulo Dybala, che al netto del discorso puramente tecnico avrebbe rappresentato un patrimonio economico da inserire nell’Inter. Lukaku non può esserlo oggi. E non potrebbe esserlo neppure domani, visto che l’eventuale permanenza nella migliore delle ipotesi sarebbe comunque legata a un rinnovo del prestito.

Chi al posto di Lukaku? L’Inter sta sondando il mercato. Si è informata su Roberto Firmino, che lascerà il Liverpool e che deve ancora decidere in quale campionato proseguire la sua carriera. L’Inter ha incontrato i suoi nuovi agenti per ben due volte, la corsa è complicata, ma Marotta e Ausilio non si sentono ancora fuorigioco. Dove invece pensano di aver conquistato la pole position è su Mateo Retegui, il nuovo centravanti della Nazionale.

Rosso a Lukaku in Coppa Italia: l’Inter fa ricorso. E quel precedente di Muntari

Il club nerazzurro chiederà alla Corte Sportiva d’Appello di cancellare il secondo giallo ricevuto dopo l’esultanza nella semifinale contro la Juve

L’Inter fa ricorso contro la squalifica di una giornata in Coppa Italia comminata a Romelu Lukaku, il doppio giallo sventolato in faccia all’attaccante belga dall’arbitro Massa nell’andata della semifinale alla Stadium contro la Juventus. Il club di viale della Liberazione sosterrà che l’esultanza dopo aver trasformato il calcio di rigore dell’1-1 contro i bianconeri, è la classica esultanza che il bomber belga fa dopo ogni rete. Era stata la stessa, per esempio, dopo il gol con la maglia del Belgio. Ed è stata la stessa dopo il 2-0, sempre su rigore, sul campo del Benfica. Ecco perché il club di viale della Liberazione chiederà alla Corte Sportiva d’Appello di cancellare il secondo giallo del 4 aprile all’Allianz Stadium e di consentire a Big Rom di disputare la sfida di ritorno di mercoledì 26 a San Siro.

Dopo il rigore dell’1-1 a Torino Lukaku aveva esultato facendo il gesto del saluto militare e mettendosi il dito indice davanti alla botta. In precedenza era già stato “beccato” dalla curva dello Stadium, offeso con buu razzisti (di qui il provvedimento di chiusura del settore del Giudice Sportivo contro il quale la Juventus si è appellata ottenendo la sospensione), e dopo aver visto la palla entrare, quella sua esultanza aveva alzato ancora di più la temperature all’interno dell’impianto con nuovi insulti dagli spalti e la reazione di Cuadrado e di altri giocatori. In quel momento nessuno ha capito che l’intento di Lukaku non era provocatorio, ma che si trattava solo di un’esultanza che adesso, tra parentesi, tanti in tutto il mondo ripetono. Diversi personaggi del mondo del calcio si sono schierati dalla sua parte chiedendo la cancellazione del secondo giallo per dare un esempio. In passato, nel maggio 2007, a Muntari era stata tolta la squalifica assegnata sul campo del Cagliari in seguito alle sue proteste per cori razzisti. Succederà la stessa cosa?

Una squadra nella squadra: i segreti del gruppo portieri Juve

Gerarchie chiare e uomini spogliatoio, il legame umano e il livello degli allenamenti, il ruolo di Pinsoglio e quello di Filippi: così la staffetta tra Szczesny e Perin dà sicurezza ad Allegri e a tutto il gruppo

C’è un forte senso di appartenenza, tra i portieri della Juventus. Una squadra nella squadra, anima e motore di un gruppo che in questa stagione si è aggrappato spesso agli interventi risolutivi dell’ultimo difendente in campo. Aver fatto la “differenza” alla lunga si è rivelato il modo migliore per ottenere risultati migliori: le gerarchie sono chiare tra Szczesny e Perin, rispettivamente primo e secondo, e forse anche per questo le prestazioni di entrambi a un certo punto si sono compattate al punto di poter essere percepite allo stesso modo. Pinsoglio completa il reparto: lui unisce e alleggerisce, consapevole del suo ruolo di terzo.

Di forte impatto come il loro contribuito stagionale: che sia sceso in campo l’uno o l’altro, quest’anno la Juve ha trovato grande sicurezza nel proprio portiere. Perin si è fatto trovare sempre pronto: contro lo Sporting è stato doppiamente protagonista sul finale (anche Szczesny lo era stato in avvio di gara) e a fine gara ha rivolto il primo pensiero al compagno, che ha chiesto il cambio per qualche attimo di paura a causa di una tachicardia improvvisa (gli esami lo hanno poi tranquillizzato, gli ulteriori accertamenti di queste ore sono in via precauzionale: l’allarme è rientrato subito).

Chi tiene il reparto dei portieri in mano è Claudio Filippi, tra gli storici della Continassa. Il tecnico romano arrivò con Gigi Delneri dal Chievo nel primo anno dell’era Andrea Agnelli, successivamente venne trattenuto per scelta di Beppe Marotta e Fabio Paratici.

Lukaku, dischetto verde: com’è diventato uno dei migliori rigoristi al mondo

Big Rom ha trasformato tutti i 19 rigori calciati all’Inter, gli ultimi pesantissimi contro Juve e Benfica. E pensare che nel 2013 condannò i Blues nella Supercoppa contro il Bayern.

In casa Inter non ci sarà più un caso Spezia. Si può stare certi. Lautaro non si prenderà più il pallone per calciare dal dischetto con Lukaku impotente, come successo al Picco poco più di un mese fa. La leadership del Toro era all’apice – nella partita precedente, contro il Lecce, era uscito dal campo dalla parte opposta rispetto alla panchina e si era preso l’ovazione della Nord durante la passerella – mentre il belga veniva dal rigore ripetuto contro l’Udinese, dopo esser stato ipnotizzato da Silvestri. L’argentino ha sbagliato quel penalty, nel finale Lukaku ha segnato dagli undici metri. Juve e Benfica l’hanno confermato: Big Rom, dal dischetto, è una sentenza. All’Inter è infallibile: 19 su 19.

Dopo Spezia-Inter ci si chiedeva chi fosse il rigorista dei nerazzurri. Simone Inzaghi, nel post partita, ha tagliato corto: “Sono entrambi rigoristi”.

Lukaku non fallisce un penalty dal 2017. Sembra una routine: si ingobbisce, si avvicina alla palla a corti e rapidi passi, poi allunga e colpisce. Contro l’Udinese era andata male, ma la percentuale non è stata macchiata: penalty ripetuto e gol. A Torino e a Lisbona, il belga ha segnato due rigori pesantissimi dalla panchina, in un ruolo da 12° uomo – come contro il Porto nell’andata degli ottavi – che in una certa misura sta facendo suo. Le gerarchie in attacco sono ancora da definire, quella del rigorista è chiarissima. Poi, magari, capiterà che Lukaku donerà il pallone a un compagno come accaduto nel 2019 al giovane Sebastiano Esposito contro il Genoa. L’attaccante campano ha così potuto segnare il primo gol in Serie A a 17 anni. Il 20enne Romelu si era invece trovato a calciare un rigore pesantissimo, quello decisivo nella Supercoppa europea tra Bayern e Chelsea. Lo ha sbagliato e ha condannato Mourinho. Oggi Romelu è tra i migliori rigoristi al mondo.

La lezione di Inzaghi a Lisbona: il palleggio che ha mandato in crisi Schmidt

Possesso palla ragionato e poi ripartenze: i nerazzurri hanno battuto il Benfica al Da Luz prima sedandolo e poi frustrandolo.

Sopire e troncare, Simone Inzaghi ha depotenziato il Benfica con una strategia manzoniana. Della partita di ieri sera al Da Luz si temeva molto l’aggressività subitanea del Benfica.

Ci si aspettava che i rossi di Roger Schmidt avrebbero azzannato l’Inter dal primo minuto con pressioni e ripartenze alte, in modo tale da affannarli, stordirli e colpirli. Per 45 minuti l’Inter ha però studiato e applicato la contromisura, un palleggio meditato, preciso, neppure velocissimo. Una circolazione di palla che ha devitalizzato e frustrato il pressing di riconquista di Roger Schmidt, il gegenpressing brevettato da Jurgen Klopp e fonte di ispirazione per molti allenatori di lingua tedesca, specie per quelli passati da Lipsia e Salisburgo.

Il dato complessivo sul possesso ci parla di un predominio benfiquista: 68,2% contro 31,8%, perché nella ripresa la partita è stata diversa. Nel primo tempo però il possesso se l’è preso l’Inter, 51,8% contro il 48,2% dei portoghesi ed è in questa fase che Inzaghi ha gettato le fondamenta della vittoria. La disputa sul possesso la conosciamo, c’è chi lo ritiene inutile ai fini della valutazione e della comprensione di un match. Sono posizioni estreme, assolutiste. In realtà il possesso può essere un’arma di seduzione e di sedazione. Il vecchio e un po’ paradossale assioma di Nils Liedholm – “Se la palla ce l’abbiamo noi, non ce l’hanno loro, e se noi riuscissimo a tenerla per 90 minuti, loro non segnerebbero mai” – conserva una ragione d’essere e la prima frazione interista al Da Luz lo dimostra. Con una costruzione dal basso neppure troppo rischiosa e con un palleggio riflessivo a salire, l’Inter per 45 minuti ha fatto girare a vuoto il Benfica, ne ha frustrato le pressioni e ne ha minimizzato i rischi. La squadra di Schmidt ha perso i riferimenti e i collegamenti. Gonçalo Ramos, il temutissimo centravanti, si è scoperto isolato, nelle fauci di Acerbi. Rafa Silva si muoveva come al solito su tutto il fronte della trequarti, però non era connesso con i compagni. Joao Mario sulla destra stressava Dimarco, ma interagiva né con Rafa Silva né con Ramos.