E se Inter-Barça finisse ai rigori? Ecco chi hanno scelto Inzaghi e Flick per tirarli

Calhanoglu e Lewandowski gli specialisti, ma dopo di loro in lista ci sono.

L’ospite inatteso, stavolta, è un po’ più atteso del solito. Perché è vero che l’Inter di Inzaghi è dovuta passare dalla ghigliottina dei rigori una sola volta in quattro anni (il ko della Champions passata, agli ottavi in casa dell’Atletico Madrid) e che il Barcellona, nel medesimo spicchio di tempo, ha fatto lo stesso (vincendo però, contro il Betis nella semifinale della Supercoppa 2023 a Riad), ma stasera il rischio c’è e bisogna tenersi pronti. Lo ha ricordato lo stesso Inzaghi, che questo Inter-Barça lo ha inquadrato come una finale in casa: “Dopo il 3-3 dell’andata, si potrà solo vincere. Passando magari dai supplementari o dai rigori”. E allora un rapido ripasso su pregi e difetti delle due semifinaliste, e una decina di nomi da segnarsi. 

Per cominciare, gli specialisti: Inter e Barcellona ne vantano due quasi infallibili, Calhanoglu e Lewandowski, e c’è da scommettere che saranno loro a guidare i compagni se la sfida dovesse sbarcare sul dischetto. Anche perché il centravanti del Barça, appena recuperato dall’infortunio che lo aveva fermato all’andata, comincerà dalla panchina: autonomia limitata ma sufficiente per presentarsi di fronte a Sommer con lo stadio ammutolito, se ce ne sarà bisogno. Giusto due numeri per rendere l’idea: su 98 rigori, 88 volte la palla è andata in rete; in blaugrana siamo a 13 centri su 15. Calhanoglu è una macchina: 48 rigori trasformati in carriera, appena 6 errori. In nerazzurro si schizza verso la perfezione: 23 gol su 24 tiri, primo penalty fallito lo scorso novembre contro il Napoli. I rigori calciati fuori dai tempi regolamentari e supplementari non fanno statistica, ma vale la pena ricordare che Calha segnò anche nella nottataccia del Metropolitano, unico interista insieme ad Acerbi. 

Inter, la Champions ti fa ricca: già incassati 115 milioni. Bilancio in attivo e il mercato decolla

In caso di finale l’Inter salirà oltre 130 milioni, senza contare il botteghino. In estate non ci sarà più necessità di cessioni.

C’è un aspetto che non è mai abbastanza sottolineato quando si giudica il lavoro di Simone Inzaghi, aspetto che il tecnico ha tenuto a precisare prima del quarto di finale con il Bayern e anche a Barcellona prima della semifinale di andata: i soldi. Benedetti soldi. Quelli che permetteranno all’Inter di chiudere il prossimo bilancio, al 30 giugno 2025, in attivo: mai accaduto, almeno da quando le strategie calcistiche hanno cominciato a intrecciarsi con quelle finanziarie. Ecco: ai tifosi, giustamente per certi versi, interessa “solo” la bacheca riempita, una proprietà al contrario deve per forza di cose tenere in grande considerazione anche l’aspetto economico. E allora, quando si è passati dal possibile Triplete al rischio di restare a mani vuote, c’è chi ha corso il pericolo di dimenticare questo aspetto. L’Inter ha già guadagnato da questa Champions League 115,17 milioni di euro: mai un club italiano aveva messo in cassaforte tanto dal torneo continentale. Si parla di ricavi escluso il botteghino. Escluso, dunque, l’incasso di cui parliamo nel pezzo a fianco per la partita di domani sera e i 10 milioni di euro guadagnati nel ritorno contro il Bayern. 

E non è mica finita. Perché l’ingresso in finale vale, per la Uefa, altri 18,5 milioni di euro. Vorrebbe dire far salire il totale a quota 133,67 milioni. Si tratta di un numero enorme: per intendersi, poco meno di un terzo dell’intero fatturato dell’Inter dello scorso bilancio, 473 milioni. È così che si costruisce un presente emozionante, con una finale Champions da conquistare. Ma è così anche che si può pianificare un futuro migliore. La stabilità finanziaria è obiettivo ormai raggiunto. Ma questa Inter adesso va anche oltre. Non c’è più la necessità di vendere per finanziare il mercato, se è vero che le ultime sessioni sono sempre state chiuse in pareggio tra entrate e uscite. La società nerazzurra non avrà questo obiettivo da raggiungere la prossima estate. Si potrà pensare una sessione di mercato con investimenti mirati: di fatto, non accadeva dall’ultima estate pre Covid, la prima con Antonio Conte in panchina, quando a Milano sbarcarono – tra gli altri – Lukaku e Barella. 

Kvara, che stagione: in arrivo anche il secondo scudetto (ma niente medaglia)

Dopo aver vinto la Ligue 1 col Psg, il Napoli – dove ha giocato nella prima parte di stagione – potrebbe conquistare la Serie A. La Lega, però, consegna il riconoscimento solo a chi è tesserato nel momento della vittoria.

L’espressione “en plein” ci sta a pennello, da quando Khvicha Kvaratskhelia si è trasferito a Parigi. Una scelta di vita che gli sta restituendo soddisfazioni importanti. Il georgiano si è calato alla perfezione nel nuovo corso del Paris Saint-Germain di Luis Enrique, che ha smesso di rincorrere la stella più blasonata del pianeta per assemblare il talento in modo più ragionato. Kvaratskhelia rientra proprio in questo concetto e il suo impatto al Psg è stato considerevole. Nelle 22 partite disputate con i francesi in tutte le competizioni, ha sommato 4 gol e 7 assist. Al netto del rendimento individuale, dopo lo scudetto conquistato nel 2023, il giocatore potrebbe vivere un’altra annata strepitosa. Il trionfo in Ligue 1 è stato conquistato con ampio margine e adesso il Psg potrebbe renderla leggendaria se dovesse vincere la Champions League. Lo 0-1 con cui si è imposto a Londra lascia due risultati su tre per conquistare in casa la finale.

Tuttavia, la squadra che ha lasciato non se la sta passando affatto male. Il Napoli, infatti, è primo in classifica con tre punti di vantaggio sull’Inter a tre giornate dalla fine e con un calendario che appare più leggero sulla carta. Ma se gli azzurri dovessero centrare il quarto scudetto della loro storia, Kvaratskhelia non potrebbe fregiarsi automaticamente di questo titolo. Questo perché la Lega Serie A consegna le medaglie alla squadra campione d’Italia al termine del campionato, che sono distribuite ai giocatori tesserati al momento della vittoria. Chi non rientra più nella rosa non è incluso di diritto in questa lista. Ragion per cui, sarebbe a scelta del Napoli riconoscerlo o meno in tal senso. A onor del vero, Kvaratskhelia ha disputato 1.187 minuti distribuiti in 17 presenze, in cui ha segnato 5 gol e 3 assist. Ma potrebbero non bastare per appuntarsi sul petto anche il tricolore.

Lautaro in campo col Barça? L’Inter ci crede. Domani sarà già in gruppo, il piano per recuperarlo

Cresce l’ottimismo, per sciogliere i dubbi sul suo impiego sarà fondamentale la rifinitura di domani. Anche Pavard verso un posto da titolare.

Lautaro Martinez in campo contro il Barcellona? Non è impossibile, anzi le possibilità aumentano sempre di più. Così come l’ottimismo di Inzaghi e del suo staff. Oggi il capitano dell’Inter ha svolto un lavoro personalizzato in palestra, ma domani rientrerà in gruppo per la rifinitura delle 16.15 ad Appiano. Gli esami svolti venerdì hanno scongiurato la lesione, ora l’Inter ci crede sul serio. Per l’argentino – sostituito a fine primo tempo nel 3-3 dell’andata – solo un’elongazione ai flessori della coscia sinistra. Ha dato la disponibilità a forzare per recuperare al meglio. “Lautaro farà l’impossibile per esserci. Al momento è più no che sì, ma c’è speranza”. Queste le parole di Massimiliano Farris dopo la vittoria col Verona. 

L’ipotesi di vedere un Lautaro recuperato e pronto per battagliare contro il Barcellona come nella gara d’andata è sempre più probabile. Farà di tutto per esserci per cercare di guidare l’Inter di nuovo in finale di Champions. La rifinitura di domani sarà fondamentale. Pavard, invece, è più avanti dell’argentino e sta correndo forte verso la titolarità. Ha saltato Barcellona e Verona, ma oggi ha lavorato parzialmente in gruppo. Martedì dovrebbe essere titolare.

Douglas Luiz attacca: “In panchina anche quando in salute. E questi infortuni non erano normali”

Il brasiliano risponde sui social a un tifoso: “Non sono venuto qui solo per pubblicare foto. Non sono mai stato un giocatore che si infortuna, ma ci sono così tante cose che potrebbero aver causato questo che preferirei non commentare”

“Gli infortuni mi hanno ostacolato, sì. Ma per quanto tempo sono rimasto in panchina mentre ero in salute? Molto. Questi infortuni non erano normali”. È solo la parte più significativa di una risposta più ampia che Douglas Luiz ha dato per mezzo social a un tifoso, che sotto al suo ultimo post aveva attaccato frontalmente il centrocampista brasiliano.

“Ma sei venuto a Torino per giocare o per mettere i post su Instagram?”, la provocazione dell’utente, di fronte al quale il calciatore non è voluto rimanere in silenzio rilanciando con una lunga e strutturata risposta che riaccende i riflettori su una sua dichiarazione di qualche mese fa: “A inizio stagione ci sono stati dei malintesi, ma voglio dimostrare il mio valore alla Juventus“.

La risposta di Douglas Luiz è molto diretta, a difesa del suo coinvolgimento nel club: “Non sono venuto qui solo per pubblicare foto, nessun altro l’ha fatto, e voglio che le cose siano diverse. Sono venuto qui con uno scopo. Ho ascoltato il mio cuore quando sono arrivato e ho deciso di firmare. Ora voglio che mi rispondiate: perché un acquisto come il mio non ha giocato due partite consecutive con questa maglia? Potete dire quello che volete alla stampa più tardi: “Oh, Douglas non è in forma”. Non sono forse in forma io? Ho fatto tutta la preseason e ho giocato ogni partita. Avevo appena avuto una delle migliori stagioni della mia carriera, uno dei migliori centrocampisti della Premier League”. E ancora: “Gli infortuni mi hanno ostacolato, sì. Ma per quanto tempo sono rimasto in panchina mentre ero in salute? Molto. Questi infortuni non erano normali. Non sono mai stato un giocatore che si infortuna, ma ci sono così tante cose che potrebbero aver causato questo che preferirei non commentare. Continuerò a fare tutto per questo club, anche se a volte è difficile, non è facile, ma potete contare su di me!”.

La Juve nella ripresa contro il Monza ha avuto il 17% di possesso palla. E non è un caso

L’atteggiamento conservativo anche contro l’ultima in classifica è stato frutto di una scelta precisa. “Questa squadra doveva giocare così, altrimenti poteva accadere di tutto”, ha spiegato Tudor. E suona come un allarme per il futuro.

Quattro minuti e 15 secondi. Per così poco i giocatori della Juventus hanno tenuto il pallone nel secondo tempo della partita vinta contro il Monza. È il 17% dei 25 minuti di tempo effettivo rilevati nella ripresa dai dati elaborati dalla Lega Serie A. Un numero troppo piccolo, considerate anche le forze in campo delle due squadre, per non destare scalpore. E il fatto di essere in inferiorità numerica per l’espulsione di Yildiz non può essere un’attenuante.

Quella di Tudor, d’altronde, è stata una scelta ben precisa. Ma davvero la Juve, con in campo calciatori con qualità di palleggio come Renato Veiga, Nico Gonzalez, Locatelli o Cambiaso, non poteva fare diversamente contro l’ultima in classifica?

Secondo l’allenatore juventino no. “La squadra non ha la maturità per gestire la palla diversamente, questo era l’unico modo: stare là, palla lunga e battagliare, l’abbiamo fatta così e organizzata così e si è dimostrata giusta per le caratteristiche dei giocatori – ha confessato ancora Tudor -. Questa squadra doveva giocare così, altrimenti poteva accadere di tutto”. Il riferimento è chiaramente ai 19 punti persi da situazioni di vantaggio in Serie A (peggio hanno fatto solo Empoli con 21, Como con 24 e Venezia con 28) e a una formazione che, anche a causa della bassa età media, ha dimostrato mancanza di leadership e di esperienza nella gestione delle partite.

Il Crystal Palace conquista Wembley e la finale di FA Cup: 3-0 all’Aston Villa di Emery

Eze e Sarr show: in finale il 17 maggio la sfida per la coppa contro la vincente di Nottingham Forest-Manchester City.

Volano altissimo sopra il cielo di Wembley, spinte verso la finale di FA Cup del 17 maggio dalla magia di Eberechi Eze e dalla doppietta nella ripresa di Ismaįla Sarr, e dal calore dei loro entusiasti tifosi, che armati di palloncini colorati di rosso e di blu, come il loro amato Crystal Palace, sognano di vincere per la prima volta nella loro storia la coppa più antica del calcio mondiale. Una che per loro, dodicesimi in Premier, varrebbe anche un posto nella prossima Europa League. Il passo per la terza finale di coppa della sua storia la squadra di Glasner lo compie con un 3-0 all’Aston Villa davanti agli oltre 82mila di Wembley, così meritato che il Palace in avvio di ripresa, prima del raddoppio di Sarr, sbaglia anche un rigore con Jean-Philippe Mateta. Domani le Eagles saranno davanti alla tv per Nottingham Forest-Manchester City, la sfida che dalle 17.30 italiane sceglierà l’altra finalista. 

Stavolta il Palace almeno è sicuro di non trovare all’ultimo atto il Manchester United, come nelle finali perse nel 1990 e 2016, le due volte che la squadra è andata più vicina all’FA Cup. Le Eagles si sono strameritate questa finale: in coppa sono riuscite ad esprimere con più continuità rispetto alla Premier tutto il bel calcio che predica Glasner, che quando attacca imposta i suoi come il City di Guardiola o l’Arsenal di Arteta, con 5 giocatori deputati alla fase offensiva, compresi i due esterni che contro l’Aston Villa si sono preoccupati molto più di attaccare che di difendere. I primi due gol sono due meraviglie, due jolly da fuori pescati uno dal giocatore più talentuoso in squadra, Eze, e un altro da uno che sogna di diventarlo, Sarr, che nel finale in contropiede mette anche il terzo gol. Poi ci sono le parate di Dean Henderson, pochissime sbavature, tanta organizzazione e la voglia di giocarsi tutto sapendo di non avere niente da perdere: il Palace tra le 4 semifinaliste è l’unica a non aver mai vinto il trofeo, l’unica a non essere ancora in corsa per l’Europa dal campionato, l’unica veramente “intrusa” a questo livello di una coppa che ha vissuto una stagione strana. Il Palace invece ha dimostrato con una bella vittoria che a questo livello ci può stare benissimo, e di sognare anzi di prendersi il livello successivo. Non può più farlo l’Aston Villa: questo ko fa più male dell’eliminazione ai quarti di Champions col Psg, perché la squadra di Emery in Premier è stata nettamente superiore a quella di Glasner e su questo palcoscenico, quando contava di più, non lo è stata.

Milan, si riparte da Pulisic e Leao, garanzia di qualità. Per Jovic rinnovo biennale

Non solo Reijnders: i rossoneri hanno altri punti fermi. Il serbo vorrebbe due anni di contratto

Non solo Tijji, che ormai allarga le braccia ai tifosi dopo i gol con una certa nonchalance: due sere fa lo ha fatto per la quindicesima volta in stagione. Altro grande numero che piace ai tifosi rossoneri: 2030, quello relativo alla scadenza del contratto. Tijjani Reijnders, Tijji per squadra e allenatore, è la prima grande certezza del nuovo Milan. Non la sola: nonostante il cammino accidentato in campionato e Champions, la strada da cui ripartire è ampiamente tracciata. C’è un centrocampista goleador, un esterno di qualità e sostanza (Pulisic, vicino al rinnovo fino al 2029), due giovani difensori centrali e complementari (Thiaw, destro, e il mancino Pavlovic), e poi altri gol: quelli dell’eterno bomber di scorta, Jovic, quelli del futuro (garantiti da Camarda, prima doppietta mercoledì in C) e quelli attesi da Gimenez. Senza scordare Maignan, Theo e Leao: serate come quella del derby possono indicare più chiaramente la direzione da seguire.

La notte del successo sull’Inter ha la firma di Luka Jovic: l’attaccante escluso dalla lista Champions che tiene aperta al Milan la possibilità di rientrare in Europa dalla Coppa Italia. Europa significa anche incassi: e in attesa che Gimenez ripaghi le attese (e le spese), e che si decida sul futuro di Abraham (venti milioni per riscattarlo dalla Roma), si può ricordare che Luka, estate 2023, era arrivato a titolo gratuito. Anche per questo aspetta che il club soddisfi il suo desiderio contrattuale: il Milan ha un’opzione di rinnovo annuale (esercitabile, estate dopo estate, fino al 2028), mentre l’attaccante vorrebbe subito almeno un prolungamento biennale. Per i gol garantiti da 9 di scorta (13 totali), varrebbe la pena. Per l’investimento fatto in inverno, il club insisterà anche su Gimenez: mentre Jovic firmava una doppietta all’Inter, Santi restava in panchina. Appena 7 minuti contro l’Atalanta nell’ultima di campionato. Più confortanti altri dati: oltre ai tre con il Milan, Gimenez ha segnato 65 gol in Olanda e 8 in 11 gare di Champions. Numeri da grande attaccante.

Disastro Taremi, ennesimo flop per Asllani: a fine stagione sarà addio

L’iraniano 33enne, solo tre gol in questa stagione, delude ancora. Per l’albanese l’aggettivo futuribile, alla fine della terza stagione in nerazzurro, non si può più usare. Per entrambi, a fine stagione, è arrivato il momento dei saluti.

Se una chance l’avevano ancora, di cambiare il finale della storia, Taremi e Asllani l’hanno definitivamente bruciata ieri sera. È un’Inter che ha sbagliato tanto, quasi tutto, lungo i 90 minuti più brutti della sua stagione. Ma la faccia della disfatta è soprattutto quella di chi è dietro ai titolari praticamente mai è riuscito a incidere in questa stagione. C’era un sogno di inseguire, il Triplete, svanito un anno e un giorno esatto dopo la notte del trionfo, quello della seconda stella. Per inseguirlo, non si poteva che scegliere la via delle rotazioni scientifiche. Se però chi è dietro ai titolari fallisce costantemente, diventa quasi impossibile anche solo sognare. 

La delusione è soprattutto legata a Taremi. Che era arrivato in estate con aspettative grandi. L’Inter credeva di aver meso vicino alla ThuLa – sì, vicino, non dietro – un giocatore di grande esperienza e capace per caratteristiche di integrarsi bene sia con Lautaro sia con Taremi. E sì, certamente l’iraniano ha l’alibi di problemi fisici che mai lo hanno abbandonato. La pubalgia gli ha rovinato questo 2025. Ma non può spiegare tutto. Solo tre gol e siamo ormai a fine aprile di cui due su rigore. Di fatto, un apporto nullo o quasi alla causa di Inzaghi, se è vero che nelle gerarchie è finito dietro Arnautovic e a lungo anche dietro Correa. Inzaghi può solo augurarsi che da qui alla fine, per un inspiegabile motivo, Taremi cambi volto. Ma in realtà il suo destino è segnato: in estate sarà addio, a patto di trovare estimatori in giro per l’Europa (e non solo) che prendano in carico un ingaggio d 3 milioni netti a stagione (a fino al 2027). Taremi è l’ultimo esempio di un certo tipo di operazione che l’Inter non farà più sul mercato: 33 anni a luglio, calciatore che non c’è nel presente ma su cui non si può fare neppure affidamento in ottica futura. 

Il bivio dell’anno per Inter e Milan: tattica, uomini e motivazioni del derby di stasera

I nerazzurri si giocano la possibilità di restare in corsa su tre fronti, per i rossoneri c’è in ballo la supremazia cittadina ma anche l’Europa League

Stasera l’Inter gioca per il Triplete e per addolcire l’amarezza della sconfitta di Bologna a Pasqua in campionato. Questo derby è una rottura di scatole, incastrato tra le ansie del campionato – il primato da condividere con il Napoli – e l’andata delle semifinali di Champions contro il Barcellona.

L’Inter è sotto pressione come mai forse lo è stata nel quadriennio con Simone Inzaghi allenatore. Due anni fa, nel 2023, il Napoli stava per vincere lo scudetto a braccia alzate, in solitaria, e l’Inter poteva focalizzarsi sulla Champions, regalarsi una gran finale contro il Manchester City, e vincere la Coppa Italia a parziale compensazione. 

Quest’anno l’Inter vuole tutto – così ha detto Inzaghi – e stasera il tutto potrebbe svanire. La coppa nazionale è indispensabile per il Triplete, anche se ne rappresenta l’anello debole. Oggi l’Inter ha tanto da perdere. Se passerà, avrà fatto il suo dovere. Se verrà eliminata, subirà un contraccolpo, il sogno tripletista svanirà e la botta farà scopa con la caduta di Bologna. Due scivoloni in pochi giorni accrescerebbero dubbi e nervosismi, e lo slogan “tutto o niente” – che Inzaghi non gradisce – non avrebbe più ragione di essere. A quel punto, l’Inter dovrebbe puntare sull’opzione “qualcosa” – scudetto, Champions, Mondiale club – contro l’incubo dello “zero tituli”.

Comunque vada, sarà un insuccesso. La Coppa Italia, nel caso, sanerà poco, regalerà un biglietto di consolazione per l’Europa League, la sorella minore della Champions. La stagione del Milan è stata e resterà semi-fallimentare, l’attuale nono posto in campionato è umiliante. Passi per lo scudetto, per il fatto che la squadra non abbia mai corso per vincerlo, ma è imperdonabile che un club come il Milan resti fuori dalla Champions.