Emerson Royal: “L’Italia non mi manca, si parlava più di me che di CR7. Milanisti, avete esagerato!”

Oggi in forza al Flamengo, l’ex terzino rossonero torna sulla sua esperienza al Milan: “Dal mio arrivo, ogni volta che dicevo o facevo qualcosa finivo al centro dell’attenzione”. Poi il messaggio critico ai tifosi

Ha salutato l’Inghilterra facendo felici i tifosi. Ha salutato l’Italia facendo felici i tifosi. E alla fine è tornato a casa, in Brasile, facendo felice sé stesso. Emerson Royal oggi sta bene, è titolare nel Flamengo – un gol e un assist per lui finora – ed è tornato a giocare a piedi scalzi sulle spiagge di Rio, circondato dalla sua gente. Lontano dai cori di scherno, dalla sovraesposizione mediatica, da quella lente d’ingrandimento quotidiana che lo ha accompagnato in Europa. Il rientro in patria non è una fuga, ma una scelta precisa. In Brasile vuole restare perché lì vede un obiettivo più grande: tornare in Nazionale, tornare a sentirsi un giocatore importante.

“Oggi sto bene e sono finalmente tornato ad essere felice. Tornare qui dopo tanti anni fuori è stato speciale. Stiamo disputando due competizioni importanti e una delle ragioni per cui ho scelto di rientrare era farmi conoscere di più dalla gente del mio paese, perché sono stato tanto tempo all’estero. È una sensazione bellissima sentirmi apprezzato”.

“Danilo e Alex li conoscevo già dalla Seleçao, ma non avevamo mai giocato insieme in un club. Jorginho lo avevo affrontato quando era al Chelsea e mi piaceva molto il suo modo di giocare, avevo voglia di viverlo da compagno. Sono tutti giocatori di enorme esperienza e lavorare con loro è un privilegio”. 

“Quando gli orari ce lo permettono, sempre. Le partite italiane qui sono molto presto, ma quando posso io guardo il Milan. Ho amici lì, soprattutto Rafa Leao che sento sempre. Sono curioso di vedere come vanno e voglio supportarli da casa”. 

Milan battuto 3-2 dall’Entella, a segno Pulisic e Borsani. Novanta minuti per Jashari

Rossoneri in vantaggio al 9′, pari di Ankeye al 34′, Diavolo di nuovo avanti al 58′ e raggiunto ancora 10′ dopo. All’87’ il sorpasso Virtus

La sensazione è che un piccolo campanello d’allarme ci sia. Un Milan brutto, lento e prevedibile perde 3-2 l’amichevole di Solbiate Arno contro la Virtus Entella, quattordicesima in Serie B. Due volte in vantaggio con Pulisic e il giovane Borsani, la squadra di Allegri si è fatta rimontare con troppa facilità, nonostante i tanti giovani in campo schierati da Allegri. La beffa è arrivata a tre dalla fine col gol di Debenedetti.

Allegri ha dato spazio a tanti giovani, da Cappelletti a Minotti, fino a Vladimirov e Borsani. L’uomo col radar sopra la testa è stato ovviamente Ardon Jashari, tornato dopo la rottura del perone destro subita a fine agosto. Lo svizzero è stato il cervello del centrocampo nel 4-3-3, con ai fianchi Loftus-Cheek e Fofana. Nel primo tempo si è visto un Milan versione campionato: inizio forte, col vantaggio di Pulisic dopo nove minuti, e poi solito calo, sfociato col pareggio dell’Entella al 34’, causato da un disastro in impostazione di Fofana. Ankeye è stato glaciale davanti a Terracciano, che ha dovuto lavorare in almeno tre occasioni del primo tempo. Di livello la parata sulla punizione di Guiu al 22’.

Nel secondo tempo il canovaccio della partita non è molto cambiato. Il Milan ha ripreso forte, pressando e cercando di dare ritmo alla partita. Pulisic ha accentrato la sua posizione, dando più verticalità alla manovra. La svolta è stata l’ingresso del giovane Chaka Traoré, ficcante in campo aperto e autore dell’assist per il gol del 2-1 di Borsani al 58’, tocco a porta vuota. Tornato avanti, il Milan si è di nuovo abbassato, sbagliando tanto tecnicamente e lasciando troppo l’iniziativa all’Entella, premiata per coraggio e determinazione. I liguri hanno palleggiato senza neanche troppa difficoltà, approfittando degli errori dei rossoneri.

Il Milan e gli “errori da polli” con le piccole: Allegri per ora non alza la voce

Lo sbaglio dell’ex Brighton ha avviato la rimonta del Parma, ma la squadra finora ha avuto più black out

Errori… da polli nei momenti decisivi, mancanza di concentrazione e black out non da Milan. O almeno non da quel Milan che è stato capace di battere Napoli, Roma e Bologna e di mettere alle corde allo Stadium la Juventus. Contro Cremonese, Pisa e Parma i rossoneri, invece, hanno sbandato, concedendo gol banali, non da grande squadra. Allegri se n’è andato dal prato del Tardini infuriato, sia dopo il novantesimo, sia all’intervallo. Dopo il fischio finale era contrariato per la mancata vittoria e per le colossali occasioni fallite sul 2-2 da Pulisic e Saelemaekers, ma soprattutto era infuriato all’intervallo per il modo in cui i suoi, in totale controllo, avevano concesso la rete del 2-1 e “rianimato” la gara. 

A Parma una brutta figura l’hanno fatta soprattutto Estupinan e Fofana. Il mancino ecuadoriano ha responsabilità su entrambi i gol avversari: clamorosa la disattenzione sul 2-1, quando invece di coprire la sfera o al limite di calciarla in fallo laterale, è stato spostato da Britschgi che ha poi armato il tiro a giro di Bernabé; grave anche la distrazione dell’ex Brigthon che ha concesso allo stesso Britschgi di crossare per il 2-2 di Delprato.

L’inserimento del difensore invece è stato completamente perso da Fofana che non è nuovo a questo tipo di errori: ricordate la spettacolare rovesciata di Bonazzoli, autore del 2-1 nel match perso dal Diavolo contro la Cremonese, alla prima giornata? Sul cross di Pezzella, è il centrocampista francese a non stare attaccato alla punta ex Inter. Altri sbagli evitabili contro le “piccole” sono stati quello di Pavlovic che ha permesso a Baschirotto di firmare di testa il momentaneo 1-0, quello di De Winter che contro il Pisa ha tenuto troppo largo il braccio sulla conclusione da lontano (e facilmente leggibile) di Cuadrado, ma anche quello di Athekame, che contro i nerazzurri di Gilardino non ha fatto scattare il fuorigioco nell’azione del 2-1. 

E lui gli fa gol da quella parte: Leao-Suzuki, scintille da rigore

Il portiere del Parma ha tentato di condizionare Rafa prima del penalty del 2-0 Milan… e quasi ci è riuscito. Gabbia, con saggezza da capitano, ha evitato che si andasse oltre.

Zion Suzuki, Rafa Leao e il rigore più velenoso della settimana. Un rigore perfetto: Suzuki ha indovinato l’angolo e Leao ha calciato nell’ultimo spazio vicino al palo, l’unico che gli avrebbe permesso di segnare. Bravissimi. La parte più interessante però è andata in scena prima, poco dopo l’assegnazione del rigore. Allegri ha urlato “o tira Rafa o tira Nkunku” e Leao ha preso il pallone. Suzuki a quel punto ha tentato il trucco psicologico. 

Dalle immagini si vede. Suzuki guarda Leao e allarga il braccio destro, poi parla. Il labiale non si legge ma il significato è chiaro: “Me lo tiri qui”. Leao accetta la provocazione e incrocia… anche perché incrociare, per chi non è rigorista, è più facile. Poi, invece di correre a esultare, resta in zona e guarda Suzuki. Beffardo. Matteo Gabbia, come per l’ammonizione evitata per la maglia (non) tolta contro la Fiorentina, è il primo a capire. Corre vicino a Leao, lo abbraccia, si mette tra lui e Suzuki per raffreddare l’atmosfera. Finita lì? Non del tutto. Rafa, camminando all’indietro verso il centrocampo, si toglie la soddisfazione di dire due parole a Suzuki. Messaggio chiaro: ci hai provato, ma non funziona. Quei due hanno talento e tempo davanti a sé: si rivedranno.

Rocchi “assolve” Marinelli e Abisso: i due non saranno fermati per il rigore in Milan-Fiorentina

Nessuno stop per direttore di gara e il Var della gara tra rossoneri e viola dopo il contestatissimo rigore assegnato per il fallo su Gimenez. Il fallo c’era, ma l’atteggiamento tenuto dopo il contatto dall’attaccante messicano non è considerato certamente bene

Nessuno stop per Livio Marinelli, il Var Rosario Abisso giustificato nel richiamare l’arbitro alla “On field review” e nessuna assoluzione per Santi Gimenez per aver accentuato, esagerato, un doppio colpo di Parisi che – pur se lieve – era chiaramente da rischio-rigore. Il giorno dopo il caos in Milan-Fiorentina i vertici arbitrali hanno rianalizzato l’episodio più discusso del momento. E l’arbitro di San Siro non verrà fermato.

Minuto 80 e 37”, in area della Fiorentina Parisi si disinteressa del pallone, va diretto sull’uomo, e per evitare il nuovo possesso a Santi Gimenez si gira, ne intuisce la posizione e allarga il braccio che – in maniera non violenta – va a contatto con il viso e poi agisce con una trattenuta, anch’essa lieve. Marinelli la vede da 10-15 metri, aspetta di fischiare, la review dura ben 4′ perché all’84’20” c’è l’annuncio del calcio di rigore. Detto che un gesto del genere è un’ingenuità che se fatta in ogni zona del campo porta al fischio dell’arbitro (volto toccato, trattenuta anche se non travolgente), ecco che l’atteggiamento tenuto dopo il contatto dall’attaccante del Milan non è considerato certamente bene. 

Nel giugno scorso, il designatore Gianluca Rocchi era stato chiaro: “La simulazione va combattuta, va messa una linea fra scena teatrale e conseguenza di un contatto. Si sentono anche urla “disumane”, per impressionare l’arbitro, si induce l’arbitro a sbagliare. Come risolverla? Con la responsabilità di tutti”. Tradotto: il fallo è una cosa ma l’atteggiamento successivo di chi lo subisce spesso non è parametrato al colpo subìto. In questo caso, Marinelli fa le proprie scelte dopo revisione-Var consigliata da Abisso che ha ravvisato il rischio preso da Parisi.

Fofana e lo scudetto: “Non deve dircelo Allegri, ci pensiamo da soli. Che gioia sarebbe…”

Il centrocampista del Milan a Sky: “In questo club dobbiamo pensare ogni anno al titolo, ma ci sono tante cose da fare prima arrivare a questo obiettivo”

Youssouf Fofana è stato all’Ospedale dei Bambini “Vittore Buzzi” e ha visitato i bambini ricoverati. Bravo, bel gesto. A margine, ha parlato di Milan e di scudetto, che a poco a poco sta diventando un tema: “Come giocatori del Milan dobbiamo pensare ogni anno allo scudetto, è normale. Allegri? Non ha bisogno di trasmetterci la voglia di vincere lo scudetto, giochiamo al Milan, è normale pensare allo scudetto. Ora è tornata anche la curva e io mi sento milanista al 100%”.

Allegri e la squadra in questo sono stati bravi. In due mesi, sono riusciti a entrare nel gruppetto dei favoriti, assieme a Napoli e Inter: “Lavoriamo tanto per questo – dice Fofana -. Dobbiamo lottare per vincere ogni partita, poi alla fine faremo i conti. Sappiamo che, con una partita a settimana, dobbiamo mettere il 100% delle forze su una partita. Non voglio dire che se non vinciamo lo scudetto la stagione sarebbe sbagliata, ma se dovessimo vincerlo sarebbe una grande gioia dopo l’anno scorso. L’anno scorso c’era la gioia ma quest’anno ancora di più, più voglia di fare le cose”. Fofana è nel gruppetto dei giocatori più colpiti dalla stagione negativa con Fonseca e Conceiçao: Youssouf ha vinto poco ma è abituato a giocare ad alto livello con la Francia. Una squadra da ottavo posto non fa per lui.

Fofana per Allegri è un titolare, pochi dubbi. Nelle ultime settimane ha vinto il ballottaggio con Loftus-Cheek, non scontato perché l’inglese è stato da subito molto considerato da Max. Youssouf però copre molto campo, è più applicato, più bravo senza palla. Con Modric e Rabiot, per Allegri, si integra meglio. Previsione facile: per lui, al netto di infortuni, si va verso una stagione con almeno 30 partite da titolare. 

Juve, tifosi delusi per il quinto pari di fila: cosa c’è dietro i fischi dello Stadium dopo il Milan

Quei mugugni fragorosi alla fine dello 0-0 con i rossoneri hanno riaperto vecchie ferite

Juventus-Milan allo Stadium è terminata tra i fischi dei tifosi bianconeri. Il quinto pareggio consecutivo ha alimentato i dubbi, riaperto grandi temi sul valore della squadra e addirittura riportato a dibattiti che reggono i confronti fra Tudor e altri allenatori che – fino a qualche settimana fa – sembravano superati con l’avvento dello juventino Igor. Invece è bastato lo 0-0 contro Allegri – dopo i pari col Verona e l’Atalanta in campionato, Borussia e Villarreal in Champions League – per riaprire vecchie ferite che negli ultimi anni hanno limitato abbastanza la considerazione del progetto in costruzione alla Continassa, tra ambizioni e realtà.

Questione di aspettative, prima di tutto. Negli ultimi mesi dalle voci più autorevoli del club è passata l’idea di voler partecipare di nuovo alla corsa scudetto. In questo senso anche Tudor si era allineato a questo pensiero, ma per questo chiedeva 2-3 rinforzi importanti dal mercato estivo. Il finale di mercato alla Juve è stato abbastanza fumoso con l’arrivo di Zhegrova e Openda (uniti a David e Joao Mario), di fatto però l’abbondanza non ha aumentato le garanzie di risultato per via della poca conoscenza del campionato e di numerose zone grigie della rosa: soprattutto il centrocampo che ha poche soluzioni. I proclami da scudetto hanno tenuto alte le aspettative, mentre gli ultimi pareggi hanno palesato le difficoltà e allungato le distanze dalle squadre top di A.

Anche contro il Milan la Juve ha dimostrato di non saper indirizzare le partite, di non saper fare propri i big match sfruttando i momenti positivi. Il successo con l’Inter in rimonta aveva creato entusiasmo, ma richiedeva conferme sul campo e queste non sono arrivate. Tudor ha molto da lavorare per mentalizzare i suoi nella corsa per il tricolore, pur avendo poco tempo a disposizione per via delle gare in programma ogni tre giorni tra campionato e coppe. Anche le paura per le nazionali non aiutano, dal momento che buona parte lasciano Torino. E stavolta Tudor dovrà anche continuare a lavorare su Koopmeiners (convocato all’ultimo dall’Olanda solo perché Timber si è infortunato), tra le principali pedine che non stanno funzionando alla Juve in questo momento. Serve una sterzata netta per evitare i fischi.

Allegri e il Milan dei fedelissimi: finora solo 14 titolari, i motivi

Nelle prime cinque giornate di campionato la squadra rossonera è quella col minor numero di giocatori partiti dall’inizio di tutta la A

Tra le varie previsioni che si possono azzardare sul Milan ’25-26, ce n’è una che dovrebbe realizzarsi senza troppe incertezze: difficilmente il Diavolo concluderà la stagione con giocatori particolarmente scontenti del minutaggio (al netto di infortuni più o meno seri, ovviamente). Quando Allegri ha iniziato a lavorare a Milanello e Tare a lavorare al quarto piano di via Aldo Rossi, avevano entrambi le idee chiare: la rosa dev’essere sufficientemente corta da assorbire la mancata partecipazione alle coppe europee. Da qui (ma non solo) la mastodontica operazione complessiva in uscita, che ha asciugato il gruppo a disposizione di Allegri. Certo, sono arrivate anche parecchie facce nuove, ma il saldo rispetto alla scorsa stagione dice -4: i 26 giocatori della rosa ’24-25 sono diventati 22. Tre sono portieri e quindi appare evidente come, dovendo gestire solo 19 calciatori di movimento, ci sarà spazio per tutti.

Le considerazioni però non si fermano qui, e hanno come caposaldo proprio quel numero 19. Essendo una cifra esigua, porta anche un’altra conseguenza (e non necessariamente correlata): fino a questo momento, nelle prime cinque giornate di campionato, il Milan è la squadra di A che ha utilizzato il minor numero di titolari. Sono 14, in una classifica dove a seguire troviamo Cagliari (15), Genoa, Parma, Pisa e Sassuolo (16). Sul versante opposto chiudono Napoli (20 titolari) e Bologna (24). Insomma, a Milanello sta andando di moda il detto “pochi ma buoni”. Poi, è ovvio, quel 14 è un numero destinato ad aumentare fisiologicamente. Già a Torino con la Juve si potrebbe salire a 16 con l’impiego di Bartesaghi e De Winter (in ballottaggio col recuperato Tomori), e dopo la sosta presumibilmente si arriverà a 17 col rientro di Leao.

Milan, Gimenez flop continuo: è l’unico che stecca nel coro di Allegri

Anche a Udine il messicano fallisce: in 62 minuti solo 15 palloni giocati e un altro errore grave sotto porta. Una crisi che non accenna a risolversi.

Perseverare può essere diabolico anche per chi gioca nel Milan. Passano le settimane, scorrono le partite e il caso Gimenez acquista dimensioni sempre più ingombranti. Anche perché spicca, stona in mezzo a un’orchestra che adesso ha accordato bene gli strumenti. In un contesto simile, le stecche diventano ancora più evidenti e diventano difficilmente spiegabili: quando il collettivo funziona e il motore inizia a girare, ne dovrebbero beneficiare tutti. Perché di questi tempi a Santiago non si chiede di vestirsi da salvatore della patria. Non più. Ma semplicemente di fornire il suo apporto in termini realizzativi.

Questo è diventato un Milan capace di sviluppare una fase offensiva creativa, con interpreti vari, Allegri in avanti ha a disposizione svariate soluzioni, con Bologna e Udinese il bottino avrebbe potuto essere ben più robusto. Insomma, ora come ora il Milan non ha un’esigenza spicciola di vedere obbligatoriamente Santiago nel tabellino dei marcatori. L’esigenza c’è più che altro per lui. Sbloccarsi in modo da non smarrirsi ulteriormente, in modo da sentirsi parte di un gruppo dove tutti stanno migliorando sensibilmente. È chiaro che in questo momento la fotografia attuale rispetto a quella che avrebbe potuto essere – Vlahovic – offre uno scenario impietoso.

La partita di Udine ha restituito un verdetto sgradevole. Un altro errore grave sottoporta, dopo i due col Bologna, ma in generale una mancanza di coinvolgimento nello sviluppo offensivo. Il primo: lancione di Gabbia dalla difesa, pallone fra i piedi di Pulisic, appoggio a Estupinan, cross ribattuto sui piedi di Pulisic. Il secondo: Pulisic ruba palla a Karlstrom, Fofana infila Sava di destro. Il terzo, ovvero l’azione rossonera più bella della partita, costruita e cercata, uno spot sul modo perfetto di uscire dalla pressione alta avversaria: Tomori appoggia a Modric, quindi pallone a Saelemaekers, ancora Tomori che verticalizza per Fofana, poi Saelemaekers per Rabiot a imbeccare Pulisic.

Retroscena Milan: il rigore, Fabbri e Marcenaro. La reazione del club

L’ad Furlani ha chiamato le istituzioni, la Figc e la Lega in particolare, per protestare per il rigore dato e poi tolto a Nkunku. Apprezzate le dichiarazioni di Gravina (“Errore evidente”) e il riconoscimento dell’errore dell’Aia

Il rigore prima concesso, poi non assegnato a Nkunku alla fine di Milan-Bologna ha turbato la domenica sera dei milanisti e del Milan stesso. Giorgio Furlani, a.d. del Milan, alla fine della partita ha chiamato le istituzioni per esprimere il forte disappunto del club per la decisione dell’arbitro Marcenaro e soprattutto del Var Fabbri, che lo ha richiamato al monitor per vedere il contatto Freuler-Nkunku e non quello precedente (netto, da rigore) tra Lucumi e Nkunku. Si tratta dell’episodio da cui sono nate la protesta (con giacca al vento) e l’espulsione di Max Allegri.

Il Milan si è mosso domenica notte ed è rimasto in contatto con le istituzioni lunedì. In queste ore, ha apprezzato il riconoscimento da parte dell’Aia dell’errore – Fabbri al Var sarà fermato per un paio di giornate – e le parole del presidente federale Gravina, che a ‘Radio Anch’io Sport’ ha parlato così: “Si tratta di un errore evidente, ma quando parliamo di tecnologia andiamo avanti, non si torna al passato. La tecnologia ha ridotto molto la percentuale di errori, basta vedere quei casi in cui gli arbitri, senza tecnologia, sono in dubbio e cercano palesemente un riscontro”. Un dialogo tra Milan e Figc (come tra Milan e Lega), insomma, c’è stato. 

Il caso è particolare perché il Milan negli anni passati ha scelto quasi sempre di ridurre al minimo le polemiche con gli arbitri, soprattutto nell’era-Pioli. Anche in questo caso la protesta non è stata violenta, però qualcosa è cambiato: la telefonata da Furlani è arrivata, per evitare che decisioni arbitrali errate compromettano i risultati e alimentino tensioni dentro e fuori dal campo. Una parte dei tifosi, che molte altre volte ha invocato un intervento, apprezzerà.