Xabi Alonso suona la carica: “L’Inter sa fare tutto, ma il mio Bayer vuole gli ottavi”

Il basco, che dall’inizio della scorsa stagione ha perso solo 3 partite su 75, elogia il lavoro di Inzaghi: “I nerazzurri sono vincenti e maturi”

La pancia della BayArena sembra una mostra di fotografia: immagini del titolo 2023 a ogni parete, scene di giubilo e bagni di champagne. In quasi tutte le foto il protagonista è questo 43enne basco, arguto e raffinato, che entra dalla sala stampa con l’aria di chi sta preparando sorprese: Xabi Alonso, eroe dell’ultima Bundesliga vinta, vuole il G8 di Champions col suo Bayer Leverkusen dei miracoli.

Di mezzo, però, incrocia domani l’Inter formato Europa, che non ha preso ancora mezzo gol e da queste parti è temuta come certi altri squadroni del Continente: “È una delle formazioni più grandi che ci siano al momento, sarà una sfida molto importante per noi – ha detto nella conferenza di vigilia lo stesso Xabi Alonso -. Sappiamo chi abbiamo davanti, ma sappiamo anche chi siamo noi e quanto la gente ci spingerà”. Poi, altre parole sulle specificità di questa Inter imprevedibile, soprattutto in Champions: “Ha grande continuità, è molto solida e ha un’idea chiara di cosa bisogna fare in campo per vincere. Sanno dove portare le partite, sanno come prendersele: sarà fantastico giocare contro una squadra tanto matura”.

Il ko con l’Atalanta in finale di Europa League, unica macchiolina nel lenzuolo immacolato della scorsa stagione, poi la vittoria in questa edizione di Champions qui in casa col Milan di Fonseca. Insomma, anche Xabi Alonso ha identificato lì la chiave del successo nerazzurro: “In molti casi l’Inter è coperta nel doppio ruolo in mezzo. Valuto tutti i loro centrocampisti a un livello altissimo, non si tratta solo di essere top player ma di giocare in maniera collettiva e loro lo sanno fare: sanno come pressare alto, sanno giocare corto e lungo, sanno lavorare sulle transizioni e sulle rotazioni, che è una cosa tipica del calcio italiano e bella da studiare”.

Milan, chi al posto di Pulisic contro la Stella Rossa? Fonseca studia soluzioni

l Milan si prepara alla prossima partita di Champions League contro la Stella Rossa. Chi ci sarà al posto di Pulisic? Fonseca studia due o tre soluzioni in vista del match e per un finale di 2024 decisivo per i rossoneri

Come sulle montagne russe: salite e discese, up and down. Sbalzi improvvisi di prestazioni e di umori. L’equilibrio per ora è una chimera. Anche fuori dal campo. Tra le pieghe di vittorie e sconfitte, un arcipelago di asperità da smussare o gestire: il famoso cooling break di Roma, Leao in panca per 4 gare di fila, dirigenti non sempre presenti a Milanello, le polemiche arbitrali e le voci incontrollate e mai chiarite sul futuro della società divise tra Cardinale ed Elliott.

C’è da resettare tutto, al più presto. Perchè il finale del 2024 sarà decisivo. Per la Champions intanto, con la sfida di mercoledì contro la Stella Rossa, grande chance per i rossoneri di candidarsi per un posto tra le prime 8 in classifica, che vorrebbe dire passaggio diretto agli ottavi. E poi per il campionato con la striscia Genoa- Verona-Roma, occasione di risalire una classifica oggi pessima.

Nelle prossime ore si capirà quanto stara fuori Pulisic. Se giorni o se settimane. Pulisic, l’intoccabile di Fonseca. Titolare 5 su 5 in Champions. E sempre presente in campionato. I numeri raccontano del giocatore più decisivo e simbolo di questa squadra: 8 gol, 5 assist, ma soprattutto una capacità unica di adattarsi a differenti compiti richiesti da Fonseca, specie rispetto al passato. Chi al suo posto? Due le soluzioni, forse 3. Loftus trequartista centrale con Musah ancora esterno. Oppure Loftus con Chukwueze. Oppure, ipotesi abbastanza remota, Morata nel ruolo di Pulisic, con Abraham davanti e Musah esterno. Due allenamenti prima della sfida contro la Stella Rossa, che evoca ricordi magici. Ricordi di un Milan vincente e convincente. Era il Milan di Berlusconi e Sacchi.

La ThuLa, Taremi, Correa e… Inter, tutte le coppie di Inzaghi

Fin qui sono stati provati cinque tandem d’attacco diversi. Con Marcus e il Tucu a Verona sono arrivati tre gol e due assist. Tra campionato e coppa Simone è costretto a ruotare.

A San Valentino mancano ancora un paio di mesi, ma Inzaghi ha già la coppia perfetta. Lautaro e Thuram restano i trascinatori, i due fari, l’alfa e l’omega dell’attacco nerazzurro, ma dietro di loro c’è chi scalpita per inserirsi di prepotenza nella stretta di mano tra i due.

Taremi, Arnautovic e Correa sgomitano dietro la Thu-La, ma fin qui hanno segnato un gol a testa. Inzaghi fin qui ha provato cinque tandem d’attacco: Lautaro-Thuram, Thuram-Correa, Taremi-Thuram, Lautaro-Taremi e Taremi-Arnautovic. Quattro tentativi più uno.

Il calendario è fitto. Le partite da qui a fine anno sono tante. La preparazione è stata anche settata per non arrivare scarichi a metà giugno, quando ci sarà il Mondiale per club. Per questo Inzaghi sta cercando di capire la soluzione migliore dietro la ThuLa. Il Toro e Tikus, ovviamente, non si toccano. Giocheranno titolari e Parma e contro la Lazio, ma non in Champions, dove Simone ha provato tre soluzioni diverse: Taremi e Thuram contro il City, Taremi e Arnautovic contro Stella Rossa e Young Boys, Taremi e Lautaro contro Lipsia e Arsenal. L’iraniano ha segnato un gol e servito due assist in cinque partite. Ha giocato soprattutto da rifinitore e legato coi centrocampisti. Al Porto ha segnato 91 gol in quattro anni, ma nonostante un ottimo precampionato fin qui ha siglato una sola rete in 632 minuti stagionali.

Conceiçao, gol e assist. La Juve prepara 30 milioni per riscattarlo

Bianconeri pronti ad anticipare i tempi per assicurarsi l’esterno offensivo portoghese.

Dicembre è il mese di Francisco Conceiçao: il 14, giorno in cui la Juventus affronterà il Venezia all’Allianz Stadium per la sedicesima giornata di Serie A, il funambolico portoghese compirà 22 anni e per la prima volta spegnerà le candeline a Torino, città in cui sembrava dovesse essere solo di passaggio e che invece potrebbe diventare la sua fissa dimora.

Sempre a dicembre, entro la fine del mese e anche del 2024, il suo trasloco in bianconero potrebbe diventare definitivo. In attesa del mercato di gennaio, che si preannuncia scoppiettante, Chico sarà il regalo di Natale per Thiago Motta e per tutti i tifosi della Signora. Cristiano Giuntoli lo ha preso in prestito quest’estate ma ci ha messo poco a capire che era quello giusto e ora non vuole perdere tempo. Perciò il riscatto, che è già stato deciso, avverrà a breve, probabilmente prima dell’inizio del 2025. 

Sarà un’operazione da 30 milioni di euro, a cui andranno aggiunti i 7 (più 3 di bonus) sborsati ad agosto per il prestito oneroso. In totale 40 milioni per un ragazzo promettente e intelligente, che alla Juventus è diventato subito un punto fermo. In realtà l’uomo mercato della Juventus avrebbe già acquistato Conceiçao a titolo definitivo ad agosto se avesse avuto la disponibilità economica per farlo. In quel momento però i 30 milioni della clausola rescissoria erano troppi da poter tirare fuori subito, dopo una campagna acquisti decisamente dispendiosa (più di 100 milioni solo tra Douglas Luiz e Koopmeiners). Così Giuntoli, grazie all’aiuto di Jorge Mendes, agente di Chico ma soprattutto di Cristiano Ronaldo, è riuscito ad ottenere un prestito. Già in estate però Porto e Juventus si erano stretti la mano per un riscatto praticamente scontato entro la fine della stagione. Nel contratto non esiste alcuna clausola, si tratta di un accordo tra gentiluomini, in virtù dei buoni rapporti che ci sono tra i due club e anche grazie alla mediazione (fondamentale) di Mendes. 

Atalanta, Napoli e Inter, una lunga corsa a 3. Lo scudetto sarà affar loro

Le idee di Conte, i gol di Gasp e la solidità di Inzaghi: pregi e difetti delle favorite. Il triangolo, sì, lo dobbiamo considerare

Il triangolo, sì, lo dobbiamo considerare: Napoli, Atalanta e Inter. Vero che Fiorentina, Lazio e Juve sono lì, il Milan ci crede, la strada è lunga, gli scenari possono cambiare, ma, per quanto visto finora, per i valori, per l’esperienza di vertice, le candidature di Conte, Gasperini e Inzaghi appaiono più solide e promettono di resistere nel tempo.

La vittoria sul Torino ha aggiunto credibilità alle ambizioni del Napoli, non solo perché ottenuta nella sofferenza, come usa chi sa arrivare in fondo, e perché si è avuta la conferma che gli dei seguono Conte con simpatia (gol ciccato da Coco). Si è visto qualcosa di nuovo: Di Lorenzo e Olivera mai così accentrati in costruzione. In un’azione esemplare, erano al centro del campo spalla spalla, come due mezz’ali. Si sono scambiati la palla, poi Olivera è andato a raccogliere un cross nell’area granata.

È l’antica lezione guardiolesca del terzino Kimmich che diventa play, già sfruttata da Pioli e altri. È un modo intelligente per ovviare alla partenza di Zielinski e non lasciare solo Lobotka in regia, perché McTominay non è Zielu e resta alto nell’orbita di Lukaku. Non è la mossa in sé che importa, ma il fatto che Conte possa mettere a punto varianti tattiche in settimane di lavoro senza coppe.

La Juve ha cambiato 18 formazioni in 19 partite. E poi il valore della rosa. Conte ricorda spesso lo svantaggio di 41 punti nel torneo scorso. Ma quello era un Napoli dormiente. Bastava risvegliarlo, non rifondarlo, ridargli un’anima, riaccendere entusiasmo ed empatia, anche col popolo. In questo, Antonio è stato bravissimo. Ma 8 giocatori su 11 da scudetto ce li aveva in casa. Thiago Motta no. Se i terzini possono costruire, è perché è arrivato l’ottimo Buongiorno che con Rrahmani accetta serenamente il 2 contro 2. È partito Osimhen che dava più di Lukaku, certo, ma è arrivato McTominay che compensa.

Fonseca: “Maignan e Theo out col Sassuolo”. Leao probabile dal 1′, Fofana-Reijnders non riposano

L’allenatore rossonero sulla sfida contro la formazione di B: “Mike fuori per un intervento ai denti, Hernandez per una contusione a un piede”. La difesa cambia: Sportiello in porta, Terracciano a sinistra. I due centrocampisti ancora dentro dall’inizio. Camarda andrà in panchina.

“Dobbiamo essere ambiziosi. Se vogliamo andare in finale, che deve essere il nostro obiettivo, dobbiamo vincere domani. Il Milan non vince questo trofeo da tanto tempo”. Paulo Fonseca alla vigilia di Milan-Sassuolo di Coppa Italia manda un messaggio chiaro: il Milan vuole prendere sul serio la Coppa Italia. Dovrà farlo giocando gli ottavi di finale senza Mike Maignan e Theo Hernandez. “Maignan non ci sarà per un intervento ai denti – dice Fonseca -. Anche Theo non ci sarà per una contusione al piede. Gli altri sono tutti pronti per giocare. Io metterò in campo una squadra per vincere”.

La gestione certo è complicata. Il Milan giocherà a tre giorni di distanza la partita di Coppa Italia e quella di campionato contro l’Atalanta, una delle prove più complicate della stagione: “Se non gestiamo bene la squadra e i giocatori potremmo avere dei problemi fisici e questo non lo vogliamo. Io ho fiducia in tutti i giocatori, ci sarà qualche cambio, ma sempre con l’obiettivo di vincere la partita. Dobbiamo essere noi a prendere per mano i tifosi e la squadra lo ha fatto nell’ultima partita. Con i tifosi al nostro fianco siamo più forti”. E allora, la difesa cambierà parecchio, con Sportiello e Terracciano al posto dei due assenti. Quindi non Torriani, non Bartesaghi o Jimenez: non sono attesi giovani dall’inizio. In mezzo, Fofana e Reijnders titolari come in 10 delle ultime 11 di campionato: non riposano mai. Davanti a loro, ci sarà Loftus-Cheek da mezzala-trequartista.

In attacco Chukwueze e Abraham sono attesi dall’inizio, Camarda comincerà dalla panchina, ma il grande tema è Rafa Leao. Rafa, dopo la sua altalena di partite dall’inizio e in panchina, dovrebbe essere titolare, anche se resta in sospeso la situazione-Okafor, con Noah che ha saltato la partita di Empoli per influenza. 

Juve, milioni di rimpianti: da Koopmeiners a Nico, perché il mercato non incide

L’olandese, dopo lo stop per la rottura della costola, è tornato in campo e Motta non ha più fatto a meno di lui che però ancora non ingrana. Douglas Luiz e Gonzalez finora non pervenuti.

La rottura della costola l’ha frenato sul più bello, poi, da quando è tornato a disposizione, Motta gli ha cucito addosso la maglia da titolare ma non ancora il ruolo perfetto. RoboKoop è un supereroe solo annunciato e l’attesa lascia spazio all’insofferenza che serpeggia tra i tifosi di una Signora mai veramente presa per mano dal settimo acquisto più costoso di sempre della Juventus.

L’olandese cresce, contro il Lecce è suo il suggerimento per Cambiaso che porta al gol del vantaggio, poi è sempre sua una conclusione con cui Madama va a cercare il raddoppio quasi immediato. Però non basta. E dopo 14 presenze in bianconero il bilancio non è positivo, l’unico spiraglio è la totale fiducia di Motta che nell’ultimo mese ha sempre messo in campo l’olandese e per 90 minuti.

Almeno con lui può farlo, verrebbe da dire. Anche perché lo stesso lusso Motta non può permetterselo con Douglas Luiz e Nico Gonzalez. Il tris d’assi che non ha rispettato le aspettative. Alte, come gli investimenti del mercato estivo. Il brasiliano non si vede in campo dalla seconda metà di ottobre (ultima partita il 19 ottobre contro la Lazio); l’argentino è in infermeria dal colpo che l’ha messo ko 12 minuti dopo l’inizio della partita di Lipsia. Era il 2 ottobre. Nove presenze in totale per il primo, appena 6 per il secondo. Tra costo e impiego, la proporzione è impietosa finora: il primo è come se costasse 5 milioni e mezzo a partita e prendesse sui 2 milioni a partita, mentre il secondo quasi 800mila euro. Il peso della loro assenza, insomma, non è gravoso soltanto a livello tecnico. 

Due mesi dopo, è tornato Morata. E Fonseca: “Non segnava? Zero problemi”

Alvaro non andava in rete in campionato dal 27 settembre. Così è l’attaccante perfetto per il Milan: gol e lavoro per la squadra. L’allenatore lo carica: “Mai stato preoccupato per lui ma certo, entrare nel tabellino è importante per la fiducia”

Il rischio, con la doppietta di Reijnders, era quello di fare “brutta figura”. Insomma, un centravanti che continua a rimanere a secco mentre c’è un centrocampista che la butta dentro praticamente a ogni respiro, non è proprio il massimo. Ad Alvaro Morata occorreva battere un colpo. Mettere una firma nel tabellino. Non che fosse un problema insormontabile o irrisolvibile. Alvaro ha un numero di anni sufficiente sulla carta d’identità per sapere che un attaccante può vivere periodi senza troppi sorrisi, senza per questo deprimersi. E lungo la carriera ha vinto abbastanza per essere uno che non ha bisogno di dimostrare la propria forza ogni volta che va in campo. Certo, però, che quando il digiuno inizia a diventare eccessivo, a volte nella testa possono iniziare a rincorrersi cattivi pensieri. E le orecchie magari fischiano, specialmente se tutta la squadra sta vivendo una stagione al di sotto delle attese.

Morata ha ritrovato l’appetito dopo diciannove minuti. Ha il merito di aver sbloccato una partita che stava ancora languendo. Il Milan giochicchiava senza cattiveria, distribuiva palloni prevedibili e per una punta centrale questo equivale a una condanna: sei carne fresca per il tuo marcatore. E’ servito un tiro sporco di Leao e ulteriormente sporcato da Ismajli per fargli arrivare la palla giusta. Serviva un guizzo, una zampata. Da lì in poi è stato più o meno tutto in discesa. Alvaro ha fatto come sempre il consueto lavoro di sacrificio per i compagni, arretrando probabilmente un po’ di meno rispetto ad altre partite per andare a prendersi palla. E’ una delle questioni tattiche più dibattute nel Milan di quest’anno, perché il suo lavoro di raccordo e di sponda gli porta via tante energie e perché ovviamente se Morata è sulla trequarti o persino in mediana, in mezzo all’area dovrebbe esserci qualcun altro. Cosa che non sempre avviene.