Soltanto dodici mesi fa l’ingaggio del brasiliano dall’Aston Villa sembrava un gran colpo. Ecco come invece, dopo una stagione ai margini, si è rivelato per la Juve un flop clamoroso
Che qualcosa non andasse si doveva capire forse fin dal principio. Prima giornata della Serie A 2024-25, 19 agosto: allo Stadium la nuova Juve di Thiago Motta esordisce contro il neopromosso Como in un clima di grande entusiasmo per quello che sarebbe dovuto essere il nuovo corso bianconero all’insegna di bel gioco e gioventù. Il calciatore fin lì più pagato dell’estate (verrà poi superato da Koopmeiners) non c’è.
Parte in panchina, perché il tecnico juventino gli preferisce un ragazzino all’esordio: Samuel Mbangula. Fuori all’inizio e fuori alla fine, Douglas Luiz: fuori dal campo prima e fuori dal progetto poi, anche se forse dentro la Juve lui non ci si è calato mai. Fin dall’atteggiamento con cui è sbarcato a Torino e con cui adesso la sta lasciando in contumacia.
Un bel colpo, sfruttando una grande occasione di mercato. Questa era l’opinione unanime tra gli addetti ai lavori nel momento in cui l’allora dt della Juve, Cristiano Giuntoli, confeziona l’operazione con l’Aston Villa: valutazione di 50 milioni per il brasiliano, ma con poco meno della metà del valore coperta dai cartellini di Barrenechea (8) e Iling-Jr. (14). Gli inglesi devono fare una plusvalenza entro il 30 giugno e si portano a casa due calciatori giovani, la Juve fa sbarcare in Serie A il miglior centrocampista della Premier League, reduce da una stagione da 10 gol e 10 assist. Sembra tutto perfetto. Anche perché i bianconeri cercano di supportarlo anche sotto il profilo personale e ingaggiano pure la sua (ormai ex) fidanzata Alisha Lehmann, calciatrice star social da oltre 16 milioni di follower, tesserata con la squadra Women. Ma c’è un’altra faccia della medaglia che alla Continassa scoprono presto, non appena Douglas Luiz si unisce ai compagni al lavoro. In allenamento Thiago Motta trova un calciatore abbastanza indolente, che preferisce avere il pallone tra i piedi piuttosto che buttarsi negli spazi come imporrebbe il suo stile di gioco, che al pressing alto e offensivo richiesto dall’allenatore risponde con un ritmo basso e compassato.