Incognita Osimhen: il Napoli studia già le alternative

Le big a caccia del nigeriano non mancano, la situazione è ancora in evoluzione ma il club campione d’Italia già riflette sul piano B in caso di partenza del bomber

Trentatré non è il vecchio modo di ascoltare le spalle del medico (dica 33), ma il numero magico di Victor Osimhen che con la doppietta segnata domenica in Sierra Leone ha chiuso la sua migliore stagione con 33 gol (31 al Napoli, 2 con la Nigeria) indispensabili al club azzurro per riportare lo scudetto in città, dopo 33 anni per l’appunto.

Ma al di là della cabala ai tifosi partenopei interessa sapere se Victor resterà con i campioni d’Italia e al momento è una risposta che nemmeno il diretto interessato conosce. Diverse big sono interessate – dal Psg al Bayern Monaco, dal Manchester United al Chelsea – ma la richiesta di 150 milioni di De Laurentiis al momento fa sì che i potenziali acquirenti restino in attesa del momento propizio per un’offerta. Ci vorrà almeno un mese per capire la soluzione e nel frattempo il presidente dovrebbe incontrare l’agente Roberto Calenda per buttare le basi per un prolungamento di almeno di un anno del contratto. Ma il calciatore vuole guadagnare di più degli attuali 4,5 milioni – visto l’interesse sul mercato – cifre che però sono fuori linea con le regole di sostenibilità fissate dal Napoli. Vedremo come evolverà. Intanto la qualificazione in Coppa D’Africa fa sì che Osimhen mancherà al suo club almeno tutto il mese di gennaio e parte di febbraio, se la Nigeria si qualificherà per i turni a eliminazione diretta.

Fra le alternative che il Napoli studia da tempo con Maurizio Micheli, capo scouting, c’è il canadese Jonathan David, classe 2000, che al Lilla ha sostituito proprio Osimhen tre anni fa, portando la squadra a vincere il titolo francese nel 2021: in questa stagione 24 reti in 37 gare di Ligue one, terzo cannoniere dietro Mbappé e Lacazette. Un centravanti che sembra anche calzante all’idea di gioco di Rudi Garcia.

Inter, Brozovic offerta dall’Arabia: lo vuole all’Al-Nassr di Ronaldo

La cessione del croato può portare i soldi che servono all’Inter per anticipare la concorrenza su Frattesi

L’Inter gioca la partita su Davide Frattesi con due carte in mano: il tempo e la memoria. Il club di Zhang sa che deve fare in fretta per non perdere il vantaggio acquisito sotto traccia sulle altre concorrenti, ma sa anche che è il passato a guidare il presente. Tradotto: bisogna evitare che si ripeta un altro caso Bremer, quando il ferro non fu battuto finché era caldo. Il centrale l’anno scorso venne sfilato sotto il naso dalla Juve e ci sono dei pericolosi punti di contatto: anche stavolta c’è un accordo in stand by per la necessità nerazzurra di vendere un pezzo prima. Allora la mancata partenza di Skriniar fece da tappo, adesso la dirigenza nerazzurra vuole sfrondare in fretta e avere così denaro per l’operazione. A Frattesi meglio non parlare di estero, non ne sente ancora il fascino: lui si è personalmente promesso ai nerazzurri. Tra i due club, poi, l’accordo esiste in linea di massima: 35 milioni, prestito oneroso con obbligo di riscatto, e nel pacchetto Samuele Mulattieri, valutato 5. Impossibile, però, anticipare l’acquisto visto il regime di autofinanziamento e dal presidente Zhang non sembrano esserci aperture per muoversi in entrata prima di sistemare le cose in uscita.

La Juve, la Roma e il Milan completano il gruppone di squadre che vorrebbero arruolare Davide. Se pure i bianconeri devono cedere per affondare il colpo, i giallorossi hanno dalla loro la leva del 30% garantito su questa stessa rivendita, ma la pole nerazzurra nasce dalla volontà del giocatore. I buoni uffici interisti col Sassuolo servono, invece, a far pazientare gli emiliani nell’attesa delle mosse nerazzurre. È l’Al-Nassr, casa di CR7, la squadra araba che sta pensando seriamente di fare un’offerta per il croato: la prossima settimana potrebbe portare novità e sarebbe l’ultimo incastro del puzzle. In un colpo solo, darebbe ciò che serve per portare Frattesi a Milano e libererebbe pure il posto a centrocampo.

Kulusevski al Tottenham: alla Juventus vanno 30 milioni. Le news di calciomercato

Nonostante non si sia concretizzato l’obbligo di riscatto (era legato alla qualificazione in Champions), gli Spurs hanno acquistato l’esterno svedese: ai bianconeri vanno 30 milioni di euro, oltre ai 10 già incassati lo scorso anno per il prestito.

Ci sarà ancora il Tottenham nel futuro di Dejan Kulusevski. Il club inglese ha acquistato dalla Juventus l’esterno offensivo svedese, dalla scorsa estate già in forza agli Spurs dove era arrivato con la formula del prestito oneroso con diritto di riscatto, pronto a diventare obbligo al verificarsi di determinate condizioni (la qualificazione in Champions, traguardo però non centrato dalla squadra inglese). I due club hanno infatti raggiunto l’intesa totale sulle nuove cifre: alla Juventus, che ha già incassato 10 milioni di euro per il prestito della scorsa stagione, andranno altri 30 milioni di euro, cinque in meno rispetto a quanto prevedeva l’obbligo di riscatto (fissato a 35 milioni) nell’accordo siglato la scorsa estate.

Il Tottenham, dunque, ha deciso di riscattare ugualmente Kulusevski ottenendo anche un leggero sconto dalla Juventus, ma comunque con un esborso economico importante. Segnale di come il club inglese creda con decisione alle qualità del calciatore, che nella scorsa stagione è stato impiegato in 37 partite tra tutte le competizioni realizzando due gol e fornendo 8 assist vincenti ai compagni di squadra. Si chiude così l’amore, mai del tutto sbocciato, tra Kulusevski e la Juventus, che adesso potrà valutare come reinvestire i proventi della cessione dello svedese.

Joselu beffa l’Italia all’88’: la finale è Spagna-Croazia

Il rigore di Immobile risponde al gol lampo di Yeremi. Annullata una rete di Frattesi per fuorigioco. Azzurri in campo domenica per il terzo posto contro l’Olanda

Una beffa a metà, perché l’Italia deve fare anche mea culpa per le occasioni gol che aveva comunque avuto e non aveva sfruttato, ma comunque una beffa. La Spagna stacca il pass per la finale di Nations League contro la Croazia a due minuti dal termine dei 90’.

con gli uomini del destino: Rodri, che dopo aver castigato l’Inter nella finale di Champions League, trova la conclusione di potenza da cui nasce, dopo un doppio rimpallo su Cristante e Toloi, il tocco finale e vincente di Joselu.

E appunto l’attaccante dell’Espanyol, appena retrocesso, che aveva segnato due gol decisivi nel finale anche nella gara di qualificazioni all’Europeo contro la Norvegia. Così fa male, ma l’Italia dovrà meditare anche sui propri errori, in fase realizzativa e anche di precisione, che troppo spesso hanno vanificato i tentativi di spezzare il possesso palla spagnolo. Sfuma così la possibilità di vincere un trofeo, la squadra di Mancini giocherà l’inutile finalina contro i padroni di casa dell’Olanda, sempre qui a Enschede, domenica alle 15.

Mancini a sorpresa e in extremis torna al 3-5-2 che sembrava dover lasciare il posto al più “canonico” 4-3-3. Dunque il primo escluso è Raspadori, a vantaggio della coppia offensiva Zaniolo-Immobile, ma sta fuori anche Verratti, perché nella linea a tre di centrocampo il c.t. gli preferisce Frattesi: anche questa una scelta che sembra all’insegna della freschezza, la qualità che alla vigilia aveva detto avrebbe privilegiato, nelle sue scelte. Cade il ballottaggio Toloi-Bonucci, perché ci sono entrambi nella linea a tre difensiva assieme ad Acerbi, con Di Lorenzo e Spinazzola, preferito a Dimarco, sulle fasce. La “rivoluzione” di La Fuente è ancora più profonda: il c.t. spagnolo ne cambia otto rispetto alla sconfitta con la Scozia che ha complicato il cammino delle qualificazioni europee.

Correa, offerte dalla Turchia. L’Inter lavora su due nomi per il sostituito

Il Tucu lascerà Milano dopo un biennio deludente, ma aspetta un’occasione più allettante. I nerazzurri pensano già a chi verrà dopo

La separazione tra Joaquin Correa e l’Inter non è in dubbio. Piuttosto, è da capire come avverrà e dove andrà il Tucu, oltre a chi acquisteranno i nerazzurri al suo posto. Situazione in divenire, giorno dopo giorno. Così, nelle ultime ore prende piede l’ipotesi Turchia per l’argentino, che però ambisce a mete più prestigiose. E l’Inter, dal canto suo, pensa già a come rinforzare l’attacco una volta che ci concretizzerà l’addio a Correa: in questo momento, è corsa a due.

Il tutto al netto del possibile addio di Edin Dzeko con – di conseguenza – la ricerca al sostituto del bosniaco. Ma questo è un discorso a parte. Anche perché la permanenza dell’ex Roma resta un’ipotesi possibile, mentre l’avventura milanese del Tucu è ai titoli di coda: l’argentino chiude con 10 gol in 77 partite, tanti infortuni e diversi fischi ricevuti dal pubblico di San Siro. Non è andata come si aspettavano i tifosi e Simone Inzaghi, che nell’estate 2021 ha spinto per l’acquisto di Correa dalla Lazio (arrivato insieme a Dzeko) per sostituire Lukaku. L’attaccante è osservato in Germania e in Turchia, anche dal Fenerbahce, possibile nuova destinazione di Edin. Ma in questo momento sembra ambire a qualcosa di diverso. L’Inter intanto lavora per il suo sostituito e si sta focalizzando su due nomi: Dodi Lukebakio dell’Herta Berlino e Folarin Balogun, giocatore di proprietà dell’Arsenal che quest’anno ha giocato in prestito al Reims.

Due profili diversi, per carta d’identità e richieste economiche. Lukebakio sarebbe la soluzione più semplice: l’Herta è retrocesso e dunque è rassegnata a perderlo, il ragazzo ha 25 anni e non ha un rendimento particolarmente costante. Quest’anno in Bundesliga ha segnato 11 reti in 31 partite, di cui però solamente quattro nelle ultime 19. La richiesta del club tedesco è intorno ai 10 milioni di euro, comunque non una cifra indifferente.

Caldara flop anche allo Spezia: ora torna al Milan. Ma col Diavolo è finita

La retrocessione dello Spezia allo spareggio chiude, per Mattia Caldara, le possibilità di riscatto da parte del club ligure. Il difensore tornerà a Milanello per l’ultima volta. Prima di uscire – a meno di clamorose sorprese – in maniera definitiva dai radar rossoneri.

La storia di Caldara è piena zeppa di “se” e congiuntivi. Ipotesi e prospettive. Gioiello lanciato da Gasperini all’Atalanta (7 gol alla prima stagione in A), nel 2018 il classe ‘94 aveva fatto parte dell’operazione Bonucci-Higuain tra Juve e Milan. Cinque anni fa i rossoneri avevano puntato su di lui come il difensore del futuro, versando 36 milioni nelle casse della Signora. La sua esperienza con il Diavolo si è però rivelata con il passare dei mesi un flop totale: Caldara ha giocato più partite in Primavera che in prima squadra, quattro presenze contro due in circa un anno e mezzo. Nessuna in Serie A, solo un debutto in Europa League contro il Dudelange e un’apparizione in semifinale di Coppa Italia contro la Lazio. Salto indietro al 24 aprile 2019, successo per 1-0 dei rossoneri.

Con il Milan ha messo insieme solo 155 minuti in campo, tra problemi fisici in serie e viavai sul mercato. Dalla lesione parziale del tendine d’Achille alla rottura del crociato sinistro, fino ai prestiti all’Atalanta, al Venezia e poi allo Spezia. Con due retrocessioni e stagioni non indimenticabili all’attivo. Da solo, è costato più dei vari Theo Hernandez, Tomori, Kalulu e Kjaer e oggi l’intenzione della società è tentare la cessione definitiva per fare un minimo di cassa considerando il suo contratto in scadenza nel 2024.

Nell’ultima stagione allo Spezia, con l’altro rossonero Daniel Maldini, ha totalizzato invece 22 presenze tra Serie A e Coppa Italia (con un assist a referto). Altri mesi contraddistinti da diversi acciacchi e passati a guardare i compagni dalla panchina nel momento più delicato. Fino alla gara da dentro o fuori con il Verona che ha spedito i liguri in B, in cui non è stato convocato.

Silvio Berlusconi morto stamattina alle 9.30. Se ne va a 86 anni l’ex Premier e presidente del Milan

Era ricoverato da venerdì al San Raffaele di Milano per quelli che erano stati definiti accertamenti programmati per la leucemia di cui soffriva. Gli inizi nell’edilizia, poi le tv, lo sport e la politica

L’annuncio è arrivato in mattinata dall’ospedale San Raffaele dove era ricoverato da venerdì per essere sottoposto ad “accertamenti programmati” legati alla leucemia mielomonocitica cronica di cui soffriva da tempo: Silvio Berlusconi se ne è andato, a 86 anni. Al nosocomio sono arrivati verso le 10 il fratello Paolo, i figli Marina, Barbara ed Eleonora, il decesso era avvenuto mezz’ora prima, alle 9.30.

Storico presidente del Milan, che ha portato in vetta al mondo dopo averlo salvato dal fallimento, Berlusconi due anni fa era diventato numero uno del Monza, riportato in Serie A. E’ stato ex Premier dopo aver fondato Forza Italia vincendo le elezioni nel 1994 dopo una vita da imprenditore iniziata con Edilnord per poi sfociare in Mediaset, azienda che ha dato lavoro a migliaia di italiani.

L’inizio dell’ascesa di Berlusconi nell’imprenditoria coincide con la nascita nel 1968 di Edilnord che sale subito in orbita con la costruzione di Milano 2. Sei anni dopo parte l’avventura con le televisioni, con la prima rete privata italiana, TeleMilano. Nel 1976 prende il nome attuale, Canale 5. Il primo approccio al mondo dello sport coincide con l’acquisizione dei diritti per la trasmissione del Mundialito che a San Siro vede in campo Milan, Inter, Santos, Feyenoord e Penarol. Nel 1982 il gruppo si allarga con l’acquisto di Italia 1 dall’editore Edilio Rusconi e di Rete 4 nel 1984 dal gruppo editoriale Arnoldo Mondadori Editore (all’epoca controllato dall’editore Mario Formenton).

Il 20 febbraio 1986 Berlusconi salva il Milan dal fallimento, sollevandolo dagli abissi in cui era precipitato con Giussy Farina. Con lui alla guida il Milan ha vinto 8 scudetti, una Coppa Italia, 7 Supercoppe italiane, 5 Champions League, 2 Coppe Intercontinentali, 5 Supercoppe Uefa e una Coppa del mondo per club, per un totale di 29 trofei ufficiali in 31 anni.

Come Harrison Ford in Blade Runner: così Acerbi ha annullato Haaland

Il bomber ha avuto solo un’occasione (parata da Onana), poi il difensore nerazzurro gli ha preso le misure: contro un cyborg del gol occorreva lucida umanità

Da una parte il centravanti ventiduenne da 52 gol in 52 partite della stagione 2022-23, dall’altra lo stopper trentacinquenne, sopravvissuto a un tumore e alla sua ricomparsa, sbolognato dalla Lazio come un ferrovecchio. È stato un duello commovente e lo diciamo senza retorica, con rispetto della verità. Haaland fa paura per la forza che sprigiona, per l’apertura alare quando salta. E Acerbi si è applicato su Haaland allo stesso modo dell’attore americano con gli androidi, si è servito di un’umanità lucida, ci ha messo il cuore di chi ha giocato un milione di partite e sa che ogni gara va giocata e basta, e che i replicanti non esistono, non ancora.

Haaland ha cominciato male, sperduto. Non trovava la solita connessione con De Bruyne, sembrava scollegato dal corpo squadra. Acerbi lo tallonava con circospezione, non cercava l’anticipo spericolato, difendeva in sicurezza. Haaland si è acceso una prima volta, ma in fuorigioco, poi si è reimmerso nelle gole più oscure, finché, alla metà del primo tempo, De Bruyne è riuscito a pescarlo e ad azionarlo con la palla che tutti conoscono e che si aspettavano, la verticalizzazione precisa e tagliente. Lì si è vista tutta l’età e la fatica di Acerbi, ma Bastoni si è lanciato nella copertura di disturbo, alla maniera del vecchio libero, e il tiro di Haaland non è stato chissà che, Onana l’ha respinto con una mano, quasi con sdegno. È stata l’unica volta del primo tempo in cui Acerbi ha subito il “replicante” e ha rischiato di esserne schiacciato. Intorno al 40’, su una rimessa laterale, Acerbi ha rimarcato il territorio con un anticipo secco di testa, ad urlare: “Io non ho paura”. E no, Acerbi non si è lasciato intimorire, si è incollato a Haaland con l’umiltà del difensore di antico conio, diciamo pure all’italiana, lo stopperone, il “5” che prende il “9”.

Il Real Madrid aspetta Kane: 80 milioni ma no a un Hazard-bis

Il club punta sull’attaccante del Tottenham per sostituire Benzema: tetto di spesa fissato per non ripetere l’operazione flop che portò il belga in Spagna per 160 milioni di euro

Tutto su Harry Kane. L’inglese è il centravanti scelto dal Real Madrid per rimpiazzare l’insostituibile Karim Benzema, che dopo 14 anni ha lasciato il Bernabeu per andare in Arabia. Kane ha 29 anni e un solo anno di contratto col Tottenham, che lo perderà a zero tra 12 mesi. Il club londinese non giocherà in Europa nella prossima stagione e il centravanti è pronto a cambiare aria dopo 10 stagioni nel club nel quale è cresciuto.

Più complicato sarà trattare con Daniel Levy, il plenipotenziario degli Spurs che ha già fatto soffrire il Madrid per Gareth Bale, primo giocatore ad arrivare in tripla cifra come prezzo del cartellino, e Luka Modric. Levy conosce l’interesse del Madrid ma non può fare molto per trattenere Kane, e preferisce cederlo all’estero piuttosto che rafforzare la concorrenza inglese.

Al Bernabeu hanno fissato in 80 milioni il tetto di spesa per Kane, e la cifra sembra ragionevole. Gli spagnoli non vogliono ripetere l’errore commesso con Eden Hazard, preso dal Chelsea a un anno dallo svincolo per l’incredibile somma di 160 milioni di euro e rivelatosi un costosissimo flop.

Kane quest’anno nonostante la pessima stagione del Tottenham ha mostrato un’ottima forma. Passato da Conte a Stellini e infine a Mason, è riuscito a segnare 30 gol in Premier League, 6 in meno del pichichi Haaland. Quasi il doppio rispetto alle 17 reti dello scorso campionato, e record personale (stabilito nel 2018) eguagliato.

Tanto Ancelotti come Florentino Perez considerano Kane il centravanti ideale per raccogliere il testimone lasciato da Benzema, per qualità dentro e fuori dall’area e capacità associative. Il Madrid ha anche chiuso con Joselu, ex canterano blanco, centravanti dell’Espanyol retrocesso che rimpiazzerà Mariano. E sempre in attacco verrà promosso il 18enne uruguaiano Alvaro Rodriguez, al momento col Castilla di Raul.

Guardiola e la Champions: “Il mio City vuol vincere, ma perdere non significa fallire”

Il tecnico a Uefa.com sulla finale di Istanbul con l’Inter: “Due anni fa c’eravamo, dopo due anni ci risiamo, l’importante è esserci tra qualche anno. È questo che ti rende un grande club”

Istanbul si avvicina. Il conto alla rovescia verso la finale di Champions League con l’Inter sta per esaurirsi. Traccia bilanci. Guarda oltre il 10 giugno.

Cercando di convincersi che, anche in caso di sconfitta, la stagione del City con Premier League e FA Cup già in bacheca resti comunque positiva. “In questo club ho imparato che la sovraeccitazione non fa per noi. Andiamo a Istanbul per realizzare un sogno e cercheremo di fare una buona partita — dice —. Ne abbiamo avuto la possibilità due anni fa e non ce l’abbiamo fatta, mentre l’anno scorso non l’abbiamo raggiunta per poco. Quest’anno ci siamo arrivati e cercheremo di dare il massimo. Affronteremo questa partita come facciamo sempre in Premier League; faremo in modo che i giocatori siano concentrati su quello che devono fare, nient’altro”.

Il suo curriculum, sia da centrocampista di regia che — tra le altre, contempla le tappe di Brescia e Roma in Italia —, che da tecnico — ha trionfato con Barcellona, Bayern Monaco e City — non si discute.

Poi fa riferimento alla sportività senza disdegnare la filosofia: “Il calcio dà e toglie. La vita è piena di ingiustizie, ma tutto ciò che è ingiusto per me è giusto per l’Atletico Madrid, per il Real madrid e anche per il Barcellona. È così che va il mondo. Vogliamo sempre di più ed è sbagliato. Devi essere ambizioso, ma non avido. Questa competizione mi ha regalato momenti molto tristi che mi hanno ferito, che rimarranno per sempre nella mia mente, ma anche momenti bellissimi che rimarranno per sempre con me. È così che funziona la vita, e anche lo sport”.

Per Guardiola “nello sport il fallimento non esiste. Ammettere di aver fallito è come dire che il tuo avversario non vale nulla: non può essere che abbia giocato meglio? Bisogna solo provarci, lo sport è così. Riprovare e rialzarsi. Quando vinci, devi festeggiare adeguatamente e in privato; quando perdi, puoi piangere un po’ e tornare il giorno dopo. Lo sport è questo: se ci provi, non fallisci”.