Cambiaso, il rientro slitta: niente Monza

Il difensore resta indisponibile, come Douglas Luiz. Con la Supercoppa alle porte, prevale la cautela

No, domenica Thiago Motta non riavrà il suo jolly. Andrea Cambiaso resta fuori dai giochi di Monza-Juventus e tornerà soltanto dopo Natale: ieri mattina il difensore non si à allenato con il gruppo e la direzione intrapresa dallo staff bianconero è quella della cautela. Cambiaso si è fatto male alla caviglia sinistra all’inizio di Juventus-Bologna lo scorso 7 dicembre, poi ha saltato Manchester City, Venezia e Cagliari, a cui si aggiungeranno appunto i brianzoli. Nella scelta della strategia societaria di gestione degli infortuni pesa soprattutto il fatto che subito dopo Capodanno la squadra volerà in Arabia Saudita per giocarsi il primo trofeo della stagione, la Supercoppa Italiana, e nessuno a Torino sembra voler rischiare di inaugurare il 2025 con l’infermeria piena. Gleison Bremer, Juan Cabal e Arkadiusz Milik non ci saranno, ma la Signora vuole far di tutto perché al lista degli assenti si limiti a questi tre nomi.

Nella seduta del giovedì Motta non ha riaccolto nessuno dei calciatori che erano ancora considerati in bilico per la diciassettesima giornata di campionato all’U-Power Stadium, quindi in Brianza ci andranno gli stessi protagonisti di Juventus-Cagliari di Coppa Italia, tranne l’ultimo infortunato Timothy Weah. Tra gli indisponibili restano quindi anche Jonas Rouhi e Douglas Luiz, quest’ultimo ufficialmente estromesso dall’ottavo di finale di Coppa Italia di mercoledì per la concordata gestione dei carichi di lavoro, ma che in realtà ha sentito un leggero fastidio dopo la partita dello scorso sabato contro il Venezia. In generale, gli occhi dello staff medico sono tutti sugli impegni post-natalizi perché, anche al di là della Supercoppa, il calendario della Juventus resta terribile. Dopo la Fiorentina e la settimana a Riad, il programma abbina ai bianconeri il Torino, l’Atalanta, il Milan e il Napoli, oltre a Bruges e Benfica per puntare più in alto possibile nella classifica del maxi-girone unico della Champions League. Parola d’ordine: niente rischi.

Capello: “Milan, rinforzi sbagliati. Ma siamo sicuri li abbia scelti Fonseca?”

L’ex tecnico: “Con Pulisic trequartista, serviva un uomo di fascia destra e invece è stato ceduto Saelemaekers. Un errore anche dar via Kalulu e prendere Emerson Royal”

Prima di chiederci se il mercato estivo del Milan sia stato più o meno indovinato, facciamoci due domande: chi ha preso le decisioni? E soprattutto, le scelte sono state fatte in accordo con Paulo Fonseca, l’allenatore? Ecco, già conoscere queste risposte aiuterebbe a capire. La mia impressione è che su certi acquisti, ma anche su alcune cessioni, non siano state fatte valutazioni calcistiche ponderate e men che meno siano state ascoltate le esigenze del tecnico portoghese.

Quando dico valutazioni calcistiche ponderate, mi viene sempre in mente Ariedo Braida, dirigente di straordinaria competenza. Braida non solo era eccezionale nel capire il livello di un calciatore, ma soprattutto sapeva cosa voleva dire giocare nel Milan. Ricordo sempre le sue battute: “Bravo quello, però è da San Siro?”. Non è come giocare altrove, ha un peso specifico differente. Per dire, Emerson Royal non mi pare da Milan. È un acquisto che non avrei fatto, perché non ti migliora in una zona di campo dove avevi già Calabria, il giovane Jimenez e volendo Kalulu, che ti avrebbe fatto comodo pure da centrale. Anche io penso che servisse un terzino destro, ma se lo compri, devi salire di livello. E con il brasiliano non l’hai fatto. Discorso simile per Pavlovic, anche se sul serbo sarei più cauto: è ancora giovane e lo abbiamo visto troppo poco. Pure qui, però, mi chiedo se fosse un acquisto così necessario e perché, invece, non tenere Kalulu che già conosceva l’ambiente e alla Juve sta facendo bene.

Il piatto forte del mercato doveva essere l’attaccante, visto che Giroud era andato via. Sono arrivati Morata e Abraham, ma i tifosi rossoneri si chiedono perché il Milan non abbia preso un vero goleador, uno da 20 reti. Come fosse facile. La domanda da farsi è: chi si poteva comprare con lo stesso budget? Io non vedo in giro bomber affidabili e raggiungibili. Morata, poi, è un giocatore completo, un leader e non credo il Milan potesse trovare di meglio. E Abraham come alternativa dalla panchina è più accettabile. Insomma, sull’attaccante non punterei il dito contro la dirigenza. Così come non si può negare che Fofana sia stato una bella presa.

Motta perde Weah: lesione alla coscia destra, due settimane fuori

Si è fatto male contro il Cagliari, proverà a rientrare in tempo per la Supercoppa contro il Milan del 3 gennaio L’emergenza infortuni alla Juve non ha fine.

Out Weah, a seguito di un problema muscolare rimediato nel corso del match di Coppa Italia fra Juve e Cagliari. Gli esami strumentali al J|medical hanno riscontrato una lesione di basso grado del bicipite femorale della coscia destra: resterà fermo per due settimane circa, di conseguenza salterà le prossime gare di campionato contro Monza e Fiorentina tentando il rientro per la Supercoppa in Arabia: prima sfida al Milan il 3 gennaio.

La giostra degli infortuni da inizio stagione ha travolto un po’ tutti gli attaccanti a disposizione di Thiago Motta. Weah negli ultimi mesi è stata una felice sorpresa in alternativa a Nico Gonzalez, che è appena tornato in campo a differenza di Milik: il polacco dovrebbe rientrare in gruppo a gennaio, quando la squadra farà ritorno dall’Arabia. Per il prossimo match a Monza, invece, dovrebbe recuperare Cambiaso, alle prese con un problema alla caviglia sinistra: ma il numero degli indisponibili rispetto all’ultimo match dovrebbe rimanere invariato.

La Coppa Italia per dimenticare il campionato: Juve, quanto conta la sfida col Cagliari

I bianconeri, oltre che in Champions, dopo il decimo pari in A devono andare avanti nel torneo vinto nella stagione scorsa

Roma, 15 maggio 2024: Dusan Vlahovic segna all’Atalanta in finale di Coppa Italia e si regala il primo trofeo italiano della sua giovane carriera. Tralasciando tutto quello che è successo nel post partita (la sceneggiata di Massimiliano Allegri che ha portato al licenziamento per motivi comportamentali del tecnico bianconero) è stata la prima e unica serata di festa dell’ultimo triennio, una boccata d’ossigeno in mezzo a tante delusioni. È stato anche il primo titolo del nuovo corso targato Cristiano Giuntoli e di fatto l’inizio di una nuova era. Ed è alla Coppa Italia che la Juventus s’aggrappa per ritrovare il sorriso dopo l’inaspettato pari con il Venezia e la veemente contestazione dell’Allianz Stadium. Stasera contro il Cagliari — che in campionato ha già fermato la Signora sull’1-1 – non ci si potrà accontentare: o si vince o si esce e i bianconeri non possono permettersi un’eliminazione così precoce soprattutto in un’annata povera di obiettivi. Abbandonati troppo presto i sogni scudetto, Supercoppa (in programma a Riad dal 2 al 6 gennaio, la Juve affronterà il Milan in semifinale il 3) e Coppa Italia restano le uniche possibilità per la banda di Thiago Motta di evitare un’annata da zero titoli. E Vlahovic, che ai sardi ha già fatto centro in Serie A in questa stagione, è l’uomo giusto per tirare la squadra fuori dai guai.

Dici Coppa Italia e dici Juventus, perché i bianconeri dal 2014-15 a oggi l’hanno vinta 6 volte (di cui 4 consecutive), 2 sono arrivati in finale e altre 2 sono usciti in semifinale. Non a caso Madama è la squadra con più Coppe Italia in bacheca (15) e per trovare l’ultima volta in cui non ha superato gli ottavi bisogna tornare indietro di un ventennio: stagione 2004-05 con Fabio Capello in panchina, sconfitta all’andata in trasferta (0-2) e pareggio al ritorno in casa (3-3) con l’Atalanta. Stavolta la Juventus si gioca tutto in gara secca e avrà 90 minuti (più eventuali rigori) per evitare una figuraccia.

La gelida serata di Ibra: inquadrato e fischiato dallo stadio che lo esaltava

Zlatan, in tribuna, appare sul maxischermo e i tifosi rossoneri si scatenano contro di lui: è il simbolo della gestione RedBird

Zlatan Ibrahimovic appare per pochi secondi sul maxischermo di San Siro e lo stadio fischia, fischia senza pensarci. È il momento in cui inizia la contestazione, è il primo tuono che annuncia il temporale. Seguiranno cori, altri fischi, striscioni, migliaia di tweet e commenti indignati. Al Milan contestano tutti, alcuni (Cardinale e non solo…) anche più di Ibra, ma la storia di Zlatan è la più triste, la più simbolica.

Ibrahimovic un anno e mezzo fa lasciava il calcio, al centro di uno stadio che lo osannava. È lo stesso stadio di ieri. Il 4 giugno 2023 Zlatan salutava il pallone a sorpresa: lo aveva deciso solo poche ore prima. San Siro quella sera non solo lo applaudiva, lo invocava (che è di più): “Ibrahimovic, Ibrahimovic”. E lui, Zlatan, si commuoveva, provava a trattenere il pianto, poi si arrendeva. Alla fine, avrebbe detto: “Quando sono tornato qui, mi avete dato amore”. Per Milan-Genoa invece è apparso solo per pochi secondi ed è stato bocciato dallo stadio: messaggio chiaro. 

Ibra aveva parlato anche nel pre-partita. I concetti chiave: “Le parole di Fonseca? “Il mister cerca una reazione, soprattutto dopo una partita così. Quel che ha detto in pubblico lo ha detto anche in privato. Se fossi stato calciatore avrei reagito, perché se l’allenatore non è contento devi fare di più. Noi siamo d’accordo con lui, la squadra deve fare di più e dobbiamo spingere affinché faccia di più. Theo Hernandez? Vive la stessa situazione di Rafa di qualche settimana fa. Theo è uno dei terzini sinistri più forti al mondo, vogliamo che sia al top ma sicuramente tornerà. Il mister fa le sue scelte che tutti rispettano, i giocatori quando tornano in campo devono fare la differenza”. E ancora: “In tutte le partite vogliamo essere presenti con un livello alto: facciamo vedere chi siamo e dove cerchiamo di arrivare. Sono fiducioso perché la squadra è forte, anche se sono mancati un po’ di risultati”.

Grosso risponde al Pisa: colpo a Frosinone, Sassuolo sempre primo. Pari tra Samp e Spezia

Mulattieri e Moro riportano i neroverdi al primo posto in solitaria

Il Sassuolo rischia, ma alla fine riesce a vincere. Allo Stirpe il Frosinone passa in vantaggio con Oyono, nella ripresa i neroverdi rispondono con i gol degli ex: Mulattieri e Moro. La squadra di Grosso conquista il sesto successo di fila e torna in vetta a +3 sul Pisa. Il Cesena senza bomber Shpendi, uscito per un infortunio alla caviglia, supera 2-1 il Cosenza: segnano Tavsan e Berti. Al Modena basta una rete di Mendes per vincere il derby contro la Reggiana. Castori al debutto sulla panchina del Sudtirol sbatte sul muro del Mantova: è 2-2. Zero a zero tra Samp e Spezia, alla prima di Semplici a Marassi. Domenica in programma tutte le altre partite, chiude il turno la sfida tra Salernitana e Juve Stabia.

È una partita speciale per Grosso, ex della sfida: l’attuale allenatore del Sassuolo ha guidato i gialloblù dal 2021 al 2023. Al 24’ Frosinone avanti: cross di Marchizza e gol di Oyono, ma prima dell’intervallo Mulattieri pareggiare i conti però non esulta, ha vestito la maglia del Frosinone.  Ritmi più bassi a inizio ripresa, poi però Moro tira e Cerofolini non riesce a bloccare: altro gol dell’ex. All’88’ Thorstvedt si divora la rete che avrebbe chiuso la partita. Finisce così, vince ancora il Sassuolo. 

Al 29’ Shpendi è costretto a uscire per un problema alla caviglia: è in lacrime. Al suo posto Tavsan, che porta in vantaggio la squadra di Mignani, bellissimo l’assist di tacco di Ceesay. Al 57’ è ancora l’esterno gambiano a fare la differenza: vola in contropiede, poi serve Berti che dribbla due avversari e firma il 2-0. Al 70’ accorcia Ricciardi con un gran destro dalla distanza. Il Cesena si prende i tre punti e interrompe la striscia negativa di due ko consecutivi.

Non tira e non segna: Taremi, il grande buco nero di Inzaghi

L’iraniano è tra gli ultimi in Champions per tiri nello specchio e tiri totali, ma è tra i primi per assist attesi. Il paradosso di un bomber da 91 gol a Oporto negli ultimi 4 anni

Mehdi Taremi è intrappolato in un buco nero. Sulle sue spalle c’è uno zaino pieno di titoli, statuette da MVP e gol, tanti gol, più di duecento in una carriera tra club e nazionale. Novantuno di questi realizzati a Oporto in quattro anni. La punta iraniana si sta arrampicando da mesi aggrappandosi a una serie di spuntoni che sbucano dalle pareti, ma quando intravede la luce alla fine del tunnel finisce di nuovo sul fondo. Dov’è finito il bomber che in allenamento segnava sempre? Che fine ha fatto l’attaccante che aveva stregato Inzaghi?

Contro il Bayer Leverkusen non ha mai calciato in porta. Ha toccato il pallone dentro l’area solo una manciata di volte e ha rimediato un 5 in pagella. In Champions è partito titolare in sei partite su sei, ha realizzato un gol su rigore contro la Stella Rossa e poi ha agito soprattutto da rifinitore. Ha giocato due volte insieme a Thuram, altrettante insieme ad Arnautovic e una con Lautaro. Quando ha duettato col francese si è distinto da seconda punta, legando il gioco coi centrocampisti, mentre con gli altri due ha giocato di più da prima punta. A Leverkusen ha toccato 22 palloni, ne ha persi quattro e non ha mai tirato nello specchio. Il manifesto di una partita in cui l’Inter ha fatto fatica a palesarsi dalle parti di Kovar. Le statistiche, comunque, parlano chiaro: Taremi è tra le prime dieci punte di tutta la Champions per assist attesi, ma è tra le ultime per tiri totali per 90 minuti. Per intenderci: il primo è Haaland, con una media di più di 5 tiri a partita e cinque reti. Quella di Taremi è di 1,31, con un solo gol su rigore all’attivo. Se restringiamo il campo ai soli tiri nello specchio la media scende a 0,19. Si sta dimostrando un buon rifinitore, come dimostra la media di 0,90 assist attesi per 90 minuti, ma quando c’è da calciare va in difficoltà.

Italia forza 4: ottavi, Inter vicina. Milan passo avanti. Juve e Atalanta si può fare

A due giornate dalla fine sono ancora tutte in corsa per l’obiettivo più nobile. Bologna, miraggio playoff

Può essere una Champions 4X4. Inter, Milan, Atalanta e Juve, in rigoroso ordine di classifica, sono tutte in corsa per gli ottavi. L’aritmetica non lo nega, il buon senso suggerisce che almeno i playoff siano alla portata. Dovrebbero proprio farsi male le italiane per mancare lo spareggio di febbraio, ma la qualificazione diretta non è esclusa. La classifica di Champions è cortissima: escluse le fuggitive Liverpool (18 punti) e Barcellona (15), dal terzo posto (Arsenal 13) al diciannovesimo (Bruges 10) c’è un mischione ancora enigmatico. Tutte in gioco. 

Discorsi naturalmente da aggiornare a metà gennaio, quando la Champions “lunga” riprenderà dopo lo stop invernale. Due partite ancora, l’ultima mercoledì 29 gennaio in contemporanea, per garantire sportività massima. Sempre in teoria, il Bologna può sperare nell’ultimo posto utile per i playoff: ma serviranno congiunzioni astrali speciali, oltre a due successi. Qualsiasi risultato è comunque utile: da ieri sera l’Italia è tornata seconda nel ranking Uefa stagionale. Il quinto slot in Champions resta l’obiettivo. Inghilterra lontana, abbiamo superato il Portogallo, precediamo anche Spagna e Germania. Ma già da stasera Europa e Conference disegneranno nuovi scenari. 

Il gol di Mukiele ha strozzato in gola al 92’ l’urlo qualificazione. Con un pari a Leverkusen, l’Inter oggi sarebbe a quota 14, terza in solitaria. Invece i punti sono 13, la classifica recita sesto posto, ma è un caos totale. Quello che conta è il percorso non impossibile: si riparte infatti dallo Sparta Praga, che ne ha presi quattro dal Feyenoord e in casa ha già perso contro Brest e Atletico. Un’Inter meno speculativa non avrà problemi. E comunque si chiude a San Siro contro il Monaco picchiato ieri (3-0) dall’Arsenal: il calcio non ha proprietà transitiva, ma l’Inter sembra davvero vicina agli ottavi. 

Lautaro fantasma, Taremi delusione: solo Thuram non basta, l’Inter ha un problema in attacco

L’argentino in Germania è subentrato nella ripresa ma anche non ha inciso, come Arnautovic, l’iraniano sta diventando un caso. E a Leverkusen i nerazzurri non hanno mai tirato in porta

Il dato allarma: zero tiri nello specchio della porta del Leverkusen. All’Inter non accadeva da quasi tre anni. Per risalire all’ultima gara in cui la squadra di Inzaghi non ha mai centrato la porta avversaria bisogna tornare indietro al febbraio del 2022, più precisamente alla sfida – sempre di Champions League – sul campo del Liverpool. Ma in questa stagione il dato potrebbe allarmare di più, perché fra gli attaccanti nerazzurri l’unico davvero determinante fino ad ora è stato Marcus Thuram, nonostante pure lui contro il Leverkusen sia apparso in difficoltà.

Alla Bayarena, chi ha invece confermato di essere una delusione è stato Mehdi Taremi: titolare in 6 partite su 6 in Champions League, l’ex Porto non ha mai trovato la rete su azione (solo un gol, su calcio di rigore, nell’agevole sfida alla Stella Rossa a San Siro) e questa sera ha probabilmente fornito la peggior prestazione da quando veste nerazzurro. Una tendenza confermata anche in campionato, perché l’iraniano – seppur meno impiegato – è a secco anche in Serie A (solo un assist ad agosto contro il Lecce). 

Se la situazione legata ad Arnautovic quasi non sorprende più, nonostante l’austriaco abbia avuto a disposizione solo 5′ o poco più con il Bayer, stupisce invece quella che coinvolge Lautaro Martinez. Contro la squadra di Xabi Alonso, il Toro è subentrato proprio a Thuram a poco meno di mezz’ora dal termine ma ancora una volta non ha inciso. Segnali negativi erano già arrivati nella sfida di campionato contro il Parma di venerdì scorso, in cui l’argentino si è divorato tre palle gol apparentemente molto semplici, ma restando sul capitano nerazzurro il trend negativo si può allargare a tutta la stagione: solo 1 gol in Champions League, solo 5 in una Serie A ormai inoltrata.

Sognando Inzaghi, le stelline dell’Inter si raccontano: “Unione, consigli e piedi per terra”

Topalovic, Cocchi e Zanchetta svelano i segreti dell’annata straordinaria dei nerazzurri Primavera, secondi in campionato e primi in Youth League: “Giocare con questa maglia è un privilegio”

I tre ragazzi prendono posto intorno al tavolino della sala riunioni di Interello come se fossero al campetto. L’inconscio di chi vive di tattica e pallone porta Luka Topalovic a piazzarsi sul centro-destra, Matteo Cocchi a mettersi comodo comodo a sinistra e Mattia Zanchetta a posare al centro con le braccia larghe.

L’Inter Primavera, seconda in campionato e prima in Youth League a punteggio pieno – già qualificata ai sedicesimi – è in un lungo giro di dettagli. Gli occhi di ghiaccio di Zanchetta junior, il figlio del mister che gioca da mediano, quelli azzurro mare di Cocchi, il terzino mancino che sogna una scalata alla Dimarco, e la timidezza di Topalovic, fantasista di talento che divora i video di De Bruyne da mattina a sera. La casa delle giovanili nerazzurre è incastonata tra il rumore delle auto nell’ora di punta, pronte a prendere la tangenziale, e un parco coi colori dell’autunno. Il Konami Youth Development Centre, per tutti Interello, è un cassetto di campi, strutture e gigantografie di campioni dove nascondere i sogni. I tre si presentano con la tuta sociale in una sala riunioni tappezzata da paginate dove spiccano i volti di chi ce l’ha fatta: Pinamonti, Zaniolo, Vanheusden.

Sognano tutti di giocare in Serie A e di vestire la maglia dell’Italia, ma senza perdere di vista il presente. O quel senso di gruppo che ne accomuna speranze e progetti. “Il nostro segreto è l’unione”, afferma Cocchi guardandoti negli occhi. I tre pesano le parole, non si espongono, si lasciano andare quando parlano dei campetti in cui sono cresciuti e tengono la barra dritta quando c’è da sottolineare i risultati: l’Inter Primavera ha vinto cinque partite su cinque e ha il miglior attacco della Youth League con 18 gol.