Calha, ora attento al posto: da Diouf a Sucic, gli altri spingono per una maglia

Il turco, deludente anche in nazionale, da oggi torna ad allenarsi con l’Inter: lo insidiano i nuovi e Mkhitaryan

Giusto una decina di giorni fa, sul concetto si era espresso lo stesso Chivu, spiegando che con lui il posto ce lo si guadagna in allenamento e non in base all’ultima partita. E allora, a ripensarci adesso, quelle parole dovranno diventare per Hakan Calhanoglu la bussola da stringere in mano per orientarsi sulla via che porta allo Stadium, senza sbagliare pericolosamente strada: dovesse scegliere il centrocampo per la super sfida alla Juventus di sabato guardando a quanto successo contro l’Udinese, Chivu non esiterebbe a tagliare il turco dai titolari, e se allargasse lo sguardo al tracollo della Turchia l’altra sera contro la Spagna, le cose per Hakan peggiorerebbero pure.

Quattro giorni di lavoro alla Pinetina, però, possono bastare e avanzare a Calhanoglu per rimettere le cose a posto e confermarsi alla guida dell’Inter. Se la missione andrà in porto, poi, il lavoro non sarà certo finito: il rilancio definitivo, di Calha e di tutta l’Inter, dovrà passare dal super classico. 

Che Hakan sia centrale nella mediana che ha in mente il tecnico è fuori discussione. Il punto, semmai, è capire in che condizioni il turco si ripresenterà ad Appiano questa mattina, quando il gruppo ricomincerà ad allenarsi dopo tre giorni di riposo. Insieme a Calha arriverà anche Zielinski, fresco di assist a Lewandowski nel 3-1 della sua Polonia alla Finlandia: i due rimpolperanno la terra di mezzo insieme a Mkhitaryan e Diouf, rimasti ad Appiano durante la sosta e carichi (a segno entrambi nel test col Padova, in grande crescita il francese). Da domani il reparto sarà al completo con i ritorni di Barella, Frattesi e Sucic. E allora Calha dovrà mettersi a correre, perché la concorrenza si è fatta più accesa che mai.

Mancini in difesa e Locatelli nella mediana a tre: le prove anti-Israele di stamattina

Gattuso ne conferma nove rispetto alla gara con l’Estonia: il centrale romanista sostituirà Calafiori, lo juventino giocherà tra Barella e Tonali. In avanti ancora Kean e Retegui

Nell’ultimo allenamento di stamattina Rino Gattuso ha provato qualcosa di diverso rispetto a ieri. Si tratta di un’indicazione importante in vista della gara di stasera contro Israele oppure il ct cambierà di nuovo dopo una riflessione pomeridiana? Lo scopriremo presto. Di certo l’ex tecnico del Milan ha deciso di non rinunciare alla coppia Kean-Retegui in attacco perché i due hanno spianato la strada verso la vittoria contro l’Estonia. Per il resto però qualche aggiustamento lo ha fatto.

Davanti a Donnarumma Gattuso stamattina ha provato Di Lorenzo a destra e Dimarco sulla fasce con Mancini e Bastoni in mezzo. Fuori dunque Calafiori, che Arteta utilizza come terzino sinistro nell’Arsenal, in favore di un marcatore “puro” come il romanista. Del resto il ct dopo il 5-0 contro l’Estonia aveva parlato della difesa sottolineando la necessità di lavorare più di reparto. A sinistra, invece, niente sorpasso: Dimarco confermato, con Cambiaso in panchina. 

In mezzo, dopo che venerdì hanno giocato i due mediani Tonali e Barella, stavolta si torna a tre con Locatelli play e ai suoi lati l’interista e il fuoriclasse del Newcastle. Un modo per non prendere ripartenze ed essere più equilibrati. In avanti invece Zaccagni, non al top, starà fuori. Politano giocherà a destra con Kean che si allargherà a sinistra per lasciare il centro dell’area a Retegui. Niente di più facile che la squadra cambi modulo a secondo della fase ovvero con o senza il pallone: 3-5-2 o 4-3-3.

In attesa della formazione titolare, Gattuso ha fatto la scelta per quel che riguarda i giocatori che andranno in tribuna. Dopo la defezione di Scamacca, restano 27 giocatori e stasera in tribuna andranno il portiere Carnesecchi, il difensore Leoni, il centrocampista Fabbian e l’attaccante Zaccagni, non al top della condizione dopo l’allenamento di ieri a Coverciano.

Via Jovic e la 9 del Milan è senza padrone: non era mai successo in più di 100 anni

Quest’anno nessuno indosserà il numero del centravanti. Il serbo, per ora, resterà l’ultimo. La storia è fatta di grandi punte e tanti abbagli

Negli ultimi anni la maglia numero 9 del Milan si è trasformata da simbolo di gloria a vessillo maledetto. Un numero che un tempo apparteneva ai grandi cannonieri della storia rossonera, ma che oggi porta più ombre che luci.

Tra aspettative brucianti e avventure lampo, indossarla a San Siro è diventato un fardello più che un privilegio. Con l’addio estivo di Luka Jovic, il Diavolo si è ritrovato senza padrone della “9”: non è mai successo in oltre cento anni di storia. Se un tempo c’era la corsa a conquistarla, adesso sembra esserci la paura di doverne reggere il peso.

La maglia numero 9 del Milan è stata a lungo emblema di potenza e orgoglio. Glorificava chiunque la indossasse. Storicamente i numeri nel calcio nascevano per distinguere i giocatori in campo: dall’1 all’11 i titolari, con la 9 destinata al centravanti, l’eroe chiamato a trascinare la squadra con i suoi gol. Ogni epoca ha avuto i suoi interpreti. Dai Cinquanta fino alla fine dei Novanta, la maglia numero 9 è stata onorata da grandi campioni: Nordahl, Altafini, Sormani, Van Basten sono alcuni di questi. Giocatori che hanno elevato il peso della 9 rossonera a un livello talmente alto da renderla un’istituzione.

Avanzando lungo la linea del tempo troviamo lo “squalo” Joe Jordan, lo scozzese senza denti che nel suo biennio milanista visse sia la retrocessione in Serie B sia la promozione immediata col Milan. A incarnare il prototipo dell’attaccante doc arrivò Mark Hateley, che con la 9 sulle spalle decise un derby storico contro l’Inter con un colpo di testa, spezzando un tabù che durava da sei anni. La metà Ottanta segna la nascita del grande Milan di Berlusconi e Sacchi: in quegli anni, uomini come Virdis e Van Basten trasformano la numero 9 in un’icona assoluta, firmando gol decisivi per scudetti e trionfi internazionali.

Conceiçao-Yildiz, l’imprevedibilità è l’arma della turbo Juve contro l’Inter

L’accoppiata del portoghese con il numero dieci per liberare uomini e spazi al centravanti. E Zhegrova punta già a incidere dalla panchina.

Dopo tutto, lo scorso anno come in quelli precedenti, il vero tallone d’Achille della Juventus erano state le difese strette, chiuse nella propria trequarti e capaci di attendere pazientemente che un giro palla troppo sterile per figliare si spegnesse con una giocata forzata. E, allora, il miglior antidoto all’immobilismo altrui è l’estro, il talento dei piedi ben educati, l’efficacia del dribbling nell’uno-contro-uno. In poche parole, l’imprevedibilità che genera confusione in chi non vorrebbe muoversi. E allora – di nuovo – scettro in mano a Francisco Conceiçao e Kenan Yildiz, due maestri (ciascuno secondo il proprio stile) del creare dal nulla anche nei metri quadrati più sovraffollati. 

Sia con Thiago Motta che con Igor Tudor, infatti, le fatiche di Dusan Vlahovic e Randal Kolo Muani avevano generato sì frustrazione nella maggior parte dei tifosi, ma anche compassione in quelli più empatici che – soprattutto entro i confini nazionali – si chiedevano quanto può essere dura fare il centravanti bianconero quando hai a disposizione pochi palloni, quasi mai puliti, in un flipper di gambe pronte a spazzare l’area senza ambizione alcuna di costruire gioco, spesso. La nuova Juventus parte anche da qui, dalla consapevolezza di trovare una contromisura a quell’ostruzionismo più volte letale per la Signora. È per questo che Yildiz è stato accentrato, è per questo che Conceiçao è stato pagato oltre 30 milioni di euro, è per questo che l’ultima zampata di calciomercato ha afferrato Edon Zhegrova. Tudor è sì un cantore del “non mollare mai”, del gioco aggressivo e della resilienza quando la fatica annebbia le sinapsi, ma sa benissimo che la sfida più dura in Italia resta insinuarsi nelle difese avversarie. Che siano quelle del Parma, del Genoa o quella dell’Inter. All’esordio contro gli emiliani è stata una magia di Yildiz a stappare il risultato, nel capoluogo ligure è toccato a un calcio d’angolo. Per fare crollare la diga serve trovare e sfruttare la crepa giusta: l’uno contro uno perfetto sa mettere alla prova ogni singolo mattone della barriera.

Chi in Champions, chi al Celle Varazze: che fine fanno i talenti lanciati dal Milan

Il destino dei giovani che negli anni hanno esordito in Serie A in rossonero: tra prestiti, conferme e sfide lontano da Milanello.

Sono giovani, sfrontati, con tanta voglia di dimostrare e un talento da vendere. Cheveyo Balentien è solo l’ultimo dei tanti ragazzi che, negli ultimi cinque anni (a partire dalla stagione 2020-21), hanno esordito in Serie A con la maglia del Milan. Per alcuni è stato un trampolino di lancio, per altri solo una foto da appendere in cameretta. C’è chi oggi gioca nei Dilettanti, chi all’estero, tra Serbia e Scozia, e chi invece si ritrova a condividere lo spogliatoio con Modric e compagni. Vediamoli tutti.

Sono giovani, sfrontati, con tanta voglia di dimostrare e un talento da vendere. Cheveyo Balentien è solo l’ultimo dei tanti ragazzi che, negli ultimi cinque anni (a partire dalla stagione 2020-21), hanno esordito in Serie A con la maglia del Milan. Per alcuni è stato un trampolino di lancio, per altri solo una foto da appendere in cameretta. C’è chi oggi gioca nei Dilettanti, chi all’estero, tra Serbia e Scozia, e chi invece si ritrova a condividere lo spogliatoio con Modric e compagni. Vediamoli tutti.

Lo scorso gennaio, in un San Siro avvolto dal gelo, Sergio Conceiçao ha fatto esordire in Serie A  Bob Murphy Omoregbe, classe 2003, gettandolo nella mischia contro il Cagliari per un paio di minuti. Giusto il tempo di un paio di accelerazioni prima del triplice fischio che ha sancito l’ennesimo risultato deludente per i rossoneri (1-1). Per Omoregbe fu un’occasione lampo per mettersi in mostra, subentrando a Okafor, escluso da Conceiçao per motivi di mercato. A luglio si è poi trasferito in Serbia, al Novi Pazar.

Milan, come gioca Nkunku: gol, assist e fantasia a patto che

L’attaccante scelta dal Milan è esploso con il Lipsia, e per quattro stagioni ha fatto la differenza. Nagelsmann prima e Marsch poi l’hanno esaltato così

Non ha nemmeno avuto bisogno di tempo per inserirsi. Christopher Nkunku, attaccante scelto dal Milan dopo una lunga ricerca, è esploso in Germania. Lì, ad appena 21 anni, è arrivato per soli 6 milioni, andandosene, quattro anni dopo, avendo più che decuplicato il proprio valore di mercato (il Chelsea lo ha strappato al Lipsia per 65 milioni più bonus). E in Germania Nkunku ha giocato un po’ ovunque. Tanto che nello scacchiere tattico di Allegri, che in questa stagione è destinato a variare e a passare dalle due alle tre punte a seconda del momento, può ricoprire diversi ruoli. Alcuni tifosi milanisti, però, stanno palesando un certo scetticismo: rispetto a Boniface e Hojlund, il francese ha caratteristiche ben diverse. 

Con il Lipsia, Nkunku ha inciso da subito (in gol all’esordio contro l’Union Berlino), aiutando il club a qualificarsi ogni anno per la Champions League. Nella sua prima stagione in Germania ha incontrato Nagelsmann (oggi ct della nazionale tedesca) che lo faceva giocare ovunque: esterno sinistro a tutta fascia in un centrocampo a cinque, trequartista nel 3-4-1-2, ma anche ala (sia destra che sinistra) nel 4-2-4 o nel 4-3-3. In alcuni casi ha giocato anche da seconda punta, muovendosi alle spalle di Timo Werner. Più raro fosse lui a muoversi da riferimento offensivo (o prima punta): capitava se il suo compagno di reparto era Forsberg, col quale, però, fondamentalmente si scambiava sovente la posizione. Fin dalla sua prima stagione è andato forte: cinque gol e quindici assist in 32 presenze. 

Dal 2021-22, con Jesse Marsch in panchina, la sua vita è cambiata: nei suoi due primi anni in Bundesliga ha segnato, in totale, undici gol. Nel terzo ne ha segnati 20. Il doppio, in metà del tempo. “La mia vita è cambiata, mi diverto di più e sono più felice – raccontò Nkunku -. Giocare con meno responsabilità tattiche addosso ed essendo più libero, mi fa essere più leggero e spensierato”. Con Marsch ha giocato prevalentemente da seconda punta, palesando anche un certo fiuto del gol, tanto da riuscire a colpire gli avversari anche a freddo, quando le azioni del Lipsia non sembravano pericolose.

Bastoni certezza e Akanji multiuso: ora l’Inter può difendere in tanti modi

Lo svizzero sa ricoprire tutti i ruoli: così Chivu può scegliere e gestire anche Acerbi e De Vrij

Di questo mercato interista, Manuel Akanji è stato il dolce a sorpresa, ma in campo il menu si allargherà: antipasto e portata principale, e poi caffè e ammazzacaffè. Per dirla con le sue parole: “Al City non ho mai giocato tre partite di fila nella stessa posizione. Quando sono arrivato ero un difensore centrale che aveva fatto il terzino un paio di volte, ora è come se non avessi un ruolo vero e proprio e sì, questa capacità di dovermi adattare mi piace”.

Piace parecchio anche all’Inter l’attitudine alla duttilità dello svizzero, che nella difesa di Chivu potrà occupare di fatto tutte le caselle: potrà muoversi sul centrodestra, alla Pavard (difensore del quale ha preso il posto in questo incastro di fine mercato), dalla parte opposta come alternativa a Bastoni (posizione ricoperta a volte anche in nazionale, dove viene schierato principalmente da centrale nella difesa a quattro) e potrà giocare da centrale puro, nella posizione che fino a ieri era un affare esclusivo per i due ultratrentenni Acerbi e De Vrij. Due garanzie, ci mancherebbe, ma allo stesso tempo anche due incognite guardando alla stagione nerazzurra in prospettiva: lo sbarco last minute di Akanji aiuterà Chivu nella gestione delle forze. 

Anche perché, quanto a esperienza ad altissimo livello, lo svizzero — 30 anni compiuti lo scorso luglio — non è secondo a nessuno: nel suo curriculum brillano coppe di ogni peso e misura, compresa quella Champions alzata in faccia proprio alla sua nuova squadra e da protagonista (era stato lui l’interruttore dell’azione del gol partita di Rodri a Istanbul). Oltre ai trofei vinti – 12 in 10 stagioni tra Basilea, Dortmund e Manchester City – c’è ovviamente molto, molto di più.

Tira e molla con la Juve, poi Kolo Muani va al Tottenham: sì del Psg al prestito senza obbligo

I bianconeri avevano offerto 10 milioni più 45-50 per il riscatto, salvo poi virare su Openda.

Lo ha inseguito a lungo alla Juve, ma alla fine Randal Kolo Muani va al Tottenham. E a condizioni decisamente diverse di quelle di cui i bianconeri hanno parlato per settimane col Psg. Gli Spurs hanno preso l’attaccante in prestito oneroso, ma pagandolo 5 milioni di euro e non i 10 dell’ultima proposta della Juve. E soprattutto, nell’accordo non c’è nessuna clausola.

L’ultima offerta della Juve per il Psg prevedeva un prestito molto oneroso, a 10 milioni di euro, più un diritto di riscatto tra i 45 e i 50 milioni. I bianconeri lo volevano, dopo una seconda parte di stagione da 8 gol in presenze in Serie A e hanno provato a lungo a tenerselo. Il 26enne in estate era tornato a Parigi e ha lavorato da giugno col gruppo degli esuberi. Al Psg ci era arrivato nel 2023 per 90 milioni dal Francoforte, dopo aver piantato i piedi per andarsene. A Parigi non ha mai funzionato, anche perché Kolo Muani ha faticato a reggere la pressione, a dimenticare il gol sbagliato nella finale del Mondiale 2022 con la Francia. Anche per questo aveva scelto di rilanciarsi alla Juve. Dove si era mosso bene nel prestito della seconda parte di stagione, tanto da convincere i bianconeri a metterlo in cima alla loro lista dei rinforzi per l’attacco. La Juve era fiduciosa, fino a ieri mattina aspettava il via libera da Parigi per completare l’affare. Quel via libera non è mai arrivato, e i bianconeri hanno virato su Openda.

Il Psg però non ha mai tolto Kolo Muani dal mercato. E allora su di lui si è mosso il Tottenham, alla ricerca di rinforzi per l’attacco anche perché preoccupato dalle condizioni fisiche di Dominik Solanke, rallentato da un infortunio. L’affare col Psg è stato chiuso rapidamente, con gli Spurs che hanno spuntato condizioni molto più favorevoli rispetto a quelle che i parigini avrebbero ottenuto dalla Juve.

Juve, rebus attacco: per Kolo Muani palla al Psg, l’alternativa è Openda. Zhegrova, il Lilla apre

Due mesi di mercato compressi in meno di due giorni. La partita a poker di Juventus e Psg per Randal Kolo Muani è arrivata alla fine. Il tempo stringe (domani alle 20 si chiude) e si scoprono le carte: i bianconeri, alle prese con i paletti del fairplay finanziario, attendono l’ultima risposta del Psg al prestito oneroso (10 milioni) con diritto di riscatto (45-50 milioni) che può diventare obbligo al raggiungimento di determinate condizioni. Dentro o fuori. Se da Parigi arriverà il via libera, la Signora riabbraccerà l’attaccante francese, da tempo in parola. In caso contrario, cioè se il Psg dovesse insistere sulla cessione secca (o sull’obbligo automatico), il dg Damien Comolli sarà costretto a imboccare una strada più economica per rinforzare il reparto avanzato, che può già contare sul nuovo bomber Jonathan David e su Dusan Vlahovic, deciso a vivere l’ultima stagione alla Juventus in scadenza di contratto. Comolli è fiducioso, ma ancora non si sbilancia e da qualche giorno ha cominciato a cautelarsi lavorando sulle possibili alternative al parigino. Il manager juventino inizialmente aveva pensato a Nicolas Jackson del Chelsea, ma la ricca concorrenza del Bayern ha spostato le attenzioni su un candidato già avvicinato la scorsa settimana nel momento di massima tensione con il Psg: quel Lois Openda del Lipsia ieri in campo soltanto nel finale di gara.

Un segnale che si aggiunge ai mal di pancia palesati dal belga, che vorrebbe lasciare il club della Red Bull. La Juventus tiene le antenne dritte, pronta a fiondarsi in caso di rottura improvvisa con i parigini. Openda è duttile come Kolo Muani, ha due anni in meno del francese e costi complessivi inferiori. Non solo a livello di cartellino, ma soprattutto per quel che riguarda lo stipendio. Kolo Muani guadagna 8 milioni e l’ex Lens potrebbe “accontentarsi” anche della metà. Dove finiscono le riflessioni tecniche, cominciano i conteggi economici. Kolo incrocia le dita e, come la Juventus, spera che alla fine il Psg compia un passo indietro non tanto (o comunque non solo) per l’amicizia tra il presidente Nasser Al Khelaifi e Comolli quanto piuttosto per evitarsi il fastidio di trattenere un “fuori progetto” da 8 milioni.

Fenerbahce, esonerato Mou: fatale la mancata qualificazione in Champions. L’annuncio del club

Il ko contro il Benfica nei preliminari costa carissimo allo Special One

José Mourinho non è più l’allenatore del Fenerbahce. Dopo l’eliminazione ai preliminari di Champions League (ko contro il Benfica che lo Special One ha sintetizzato dicendo solo che “ha vinto la squadra più forte”) ecco la decisione a sorpresa del club turco. L’esperienza del portoghese in Super Lig termina dunque così, dopo un anno e 62 partite. Questo il comunicato con cui il Fenerbahce ha ufficializzato l’esonero: “Ci siamo separati da José Mourinho, allenatore della nostra squadra dalla stagione 2024-2025. Lo ringraziamo per l’impegno profuso per la nostra squadra e gli auguriamo successo nella sua futura carriera”. Alle 17 è stato convocato d’urgenza il consiglio di amministrazione durante il quale saranno valutati i profili dei possibili sostituti di Mourinho. Secondo la stampa turca, lo Special One dovrebbe ricevere una buonuscita di circa 15 milioni.

Mourinho era arrivato al Fenerbahce il 1 luglio dell’anno scorso, dopo sei mesi di pausa al termine dell’avventura precedente sulla panchina della Roma. Chiusa la passata stagione con un secondo posto in campionato, in Turchia Mou non ha inciso come ci si aspettava – nessun titolo in quasi 14 mesi – e la mancata qualificazione alla prossima Champions è stata fatale per il portoghese. È dalla stagione 2019/2020 che lo Special One non si vede nella massima competizione continentale; era sulla panchina del Tottenham e in quell’anno uscì agli ottavi di finale. L’anno scorso col Fenerbahce è arrivato fino agli ottavi di Europa League (vinta nel 16/17 con lo United), mentre l’ultimo trofeo europeo vinto è la Conference (l’unico alzato dal 2017), alla sua prima edizione, nella notte di Tirana che ha riportato a Roma un titolo internazionale. Grande festa, estasi giallorossa, ma anche lì è finita con un esonero.

“Ha fatto una valanga di danni al calcio turco”. Lo scorso aprile il Galatasaray si scagliò così contro Mourinho dopo un derby di Coppa finito con la sconfitta del Fenerbahce, una montagna di polemiche e soprattutto il portoghese che afferra per il naso l’allenatore avversario Okan Buruk.