Il Milan e gli “errori da polli” con le piccole: Allegri per ora non alza la voce

Lo sbaglio dell’ex Brighton ha avviato la rimonta del Parma, ma la squadra finora ha avuto più black out

Errori… da polli nei momenti decisivi, mancanza di concentrazione e black out non da Milan. O almeno non da quel Milan che è stato capace di battere Napoli, Roma e Bologna e di mettere alle corde allo Stadium la Juventus. Contro Cremonese, Pisa e Parma i rossoneri, invece, hanno sbandato, concedendo gol banali, non da grande squadra. Allegri se n’è andato dal prato del Tardini infuriato, sia dopo il novantesimo, sia all’intervallo. Dopo il fischio finale era contrariato per la mancata vittoria e per le colossali occasioni fallite sul 2-2 da Pulisic e Saelemaekers, ma soprattutto era infuriato all’intervallo per il modo in cui i suoi, in totale controllo, avevano concesso la rete del 2-1 e “rianimato” la gara. 

A Parma una brutta figura l’hanno fatta soprattutto Estupinan e Fofana. Il mancino ecuadoriano ha responsabilità su entrambi i gol avversari: clamorosa la disattenzione sul 2-1, quando invece di coprire la sfera o al limite di calciarla in fallo laterale, è stato spostato da Britschgi che ha poi armato il tiro a giro di Bernabé; grave anche la distrazione dell’ex Brigthon che ha concesso allo stesso Britschgi di crossare per il 2-2 di Delprato.

L’inserimento del difensore invece è stato completamente perso da Fofana che non è nuovo a questo tipo di errori: ricordate la spettacolare rovesciata di Bonazzoli, autore del 2-1 nel match perso dal Diavolo contro la Cremonese, alla prima giornata? Sul cross di Pezzella, è il centrocampista francese a non stare attaccato alla punta ex Inter. Altri sbagli evitabili contro le “piccole” sono stati quello di Pavlovic che ha permesso a Baschirotto di firmare di testa il momentaneo 1-0, quello di De Winter che contro il Pisa ha tenuto troppo largo il braccio sulla conclusione da lontano (e facilmente leggibile) di Cuadrado, ma anche quello di Athekame, che contro i nerazzurri di Gilardino non ha fatto scattare il fuorigioco nell’azione del 2-1. 

E lui gli fa gol da quella parte: Leao-Suzuki, scintille da rigore

Il portiere del Parma ha tentato di condizionare Rafa prima del penalty del 2-0 Milan… e quasi ci è riuscito. Gabbia, con saggezza da capitano, ha evitato che si andasse oltre.

Zion Suzuki, Rafa Leao e il rigore più velenoso della settimana. Un rigore perfetto: Suzuki ha indovinato l’angolo e Leao ha calciato nell’ultimo spazio vicino al palo, l’unico che gli avrebbe permesso di segnare. Bravissimi. La parte più interessante però è andata in scena prima, poco dopo l’assegnazione del rigore. Allegri ha urlato “o tira Rafa o tira Nkunku” e Leao ha preso il pallone. Suzuki a quel punto ha tentato il trucco psicologico. 

Dalle immagini si vede. Suzuki guarda Leao e allarga il braccio destro, poi parla. Il labiale non si legge ma il significato è chiaro: “Me lo tiri qui”. Leao accetta la provocazione e incrocia… anche perché incrociare, per chi non è rigorista, è più facile. Poi, invece di correre a esultare, resta in zona e guarda Suzuki. Beffardo. Matteo Gabbia, come per l’ammonizione evitata per la maglia (non) tolta contro la Fiorentina, è il primo a capire. Corre vicino a Leao, lo abbraccia, si mette tra lui e Suzuki per raffreddare l’atmosfera. Finita lì? Non del tutto. Rafa, camminando all’indietro verso il centrocampo, si toglie la soddisfazione di dire due parole a Suzuki. Messaggio chiaro: ci hai provato, ma non funziona. Quei due hanno talento e tempo davanti a sé: si rivedranno.

Cambiaso rilancia la Juventus di Spalletti: “Lui ti entra nella testa e ti arriva

Il difensore bianconero ha parlato del rapporto con il tecnico toscano e degli obiettivi: “Scudetto? Giusto e logico. Dopo Cremona abbiamo quattro punti di distacco”

“Passione allo stato puro: il tecnico è questo e molto di più”. Andrea Cambiaso definisce così Luciano Spalletti, tecnico della Juventus dopo l’esonero di Igor Tudor, ma ancor prima grande estimatore del terzino bianconero, lanciato in Nazionale quando sedeva sulla panchina azzurra.

Il rapporto fra il difensore genovese e l’allenatore toscano è senza dubbio ottimo e la conferma è arrivata dal gol realizzato contro la Cremonese che ha regalato i tre punti alla Juventus e rilanciato di fatto la corsa allo scudetto: “È giusto e logico. Quando ce lo ha detto negli spogliatoi, alla Continassa, gli siamo andati tutti dietro: prima di Cremona avevamo sei punti di distacco dalla vetta, dopo Cremona ne abbiamo quattro. Questione di numeri… – ha spiegato Cambiaso in un’intervista a La Gazzetta dello Sport -. Spalletti ti entra nella testa, ti arriva: a volte sa essere originale in ciò che ci dice, ma coglie sempre il punto. In pochi giorni ha portato nel gruppo un bel po’ di novità. E rispetto a quello che ho conosciuto in Nazionale è cambiato parecchio”.

Quel cambio non si è però visto nella mente di Andrea che, nonostante le lusinghe del Manchester City lo scorso inverno, non ha mai cambiato mentalità: “C’è stato un interessamento lo scorso gennaio, niente di più: non sono stato vicino a salutare la Juventus, non ho fatto proclami in questo senso, anzi. 

Per Cambiaso la testa ora è tutta rivolta al derby con il Torino in programma sabato 8 novembre, ma più in generale al campionato dove ci sono ancora delle contendenti che appaiono favorite per la conquista dello scudetto: “Sfida da vincere, a ogni costo. Non nego che sono legato di più a quello di Genova essendo tifoso genoano, ma con il Toro è un appuntamento molto sentito. Anche perché, per loro, vale una stagione, per noi mette in palio punti preziosissimi – ha concluso il difensore bianconero -. 

Inter in testa, l’Atalanta svolta, Napoli e Juve sperano: così l’Italia riparte in Champions

Il quarto turno ha migliorato la situazione dei nostri club nella grande coppa. Juric c’è, Conte e Spalletti invece non possono sbagliare più.

C’è solo l’Inter o quasi, però che fatica ieri i nerazzurri con il Kairat. L’ultimo turno di Champions ha risollevato lo status delle italiane: due successi (Inter e Atalanta), due pari (Juve e Napoli), nessuna sconfitta, ma la classifica sorride veramente soltanto ai nerazzurri, primi con Bayern e Arsenal, terzi per differenza reti. Il gol incredibile di Samardzic ha spinto l’Atalanta in zona playoff, ultima delle teste di serie, forse per Juric comincia un altro torneo. Anche il Napoli sarebbe agli spareggi, all’ultimo posto utile (24°): ma contro l’Eintracht è stato impossibile far gol. La Juve è addirittura fuori da tutto, 26a, e non ha ancora vinto. Ne abbiamo una per “zona” di qualificazione.

Le probabilità di portare quattro squadre oltre il gruppo restano intatte. Rispetto all’anno scorso, sembra che le prime stiano facendo prove di fuga anticipata, mentre dovrebbe abbassarsi la cifra minima per entrare ai playoff (era stata 11 punti nel 2024-25). Però alla quarta giornata eravamo messi molto meglio: Inter (5a) e Atalanta (8a) in prima fascia, Juve 11a e Milan 20°. Soltanto il Bologna era lontanissimo (31°). Oggi il bottino totale di punti è 26, alla media di 6,5. Un anno fa erano 31, media 6,4, ma il dato può ingannare. Avevamo cinque club e il Bologna aveva fatto un solo punto. Prendendo le prime quattro, la media sarebbe stata superiore (7,8).

Uno sguardo alla classifica rivela che non siamo i soli a soffrire. L’effetto sorpresa sembra finito o quasi: le prime 8 sono tutte big, Bayern, Arsenal, Inter, City, Psg, Real Madrid, Liverpool, solo il Newcastle (6°) è fuori dagli schemi. Niente Brest e Monaco. Il dato evidente è che domina la Premier con quattro club al vertice e 52 punti totali (media 8,7): ne può portare avanti sei su sei. Male anche la Spagna, non esaltanti Germania e Francia. Che sia la stagione in cui lo strapotere economico inglese diventa “fuga” solitaria?

Blocco kazako, estro brasiliano e un gioiellino già del Chelsea: la favola Kairat così a San Siro

Fra trasferte infinite e fusi orari da smaltire, la squadra kazaka arriva a Milano con il rischio di trasformarsi presto in vittima sacrificale. Ma Chivu non intende accettare cali di concentrazione, anche a causa dell’apparente solidità della squadra di Urazbakhtin

La storia è di quelle romantiche. Quasi con contorni fiabeschi. La Cenerentola della Champions League che però – a differenza della principessa Disney – per viversi la sua, di favola, deve farsi ore ed ore di viaggi, di voli internazionali (quasi intercontinentali), di scali, recuperare da pesanti fusi orari. Perché Almaty sarà pure la città più popolosa del Kazakistan, ma dallo stadio di San Siro dista quasi 7.000 km.

Che rischiano di sentirsi tutti. Le 10 ore di volo per raggiungere Milano diventeranno un fattore nella sfida all’Inter in programma domani? Presto per dirlo, considerando pure che la squadra kazaka qualche lacuna ce l’ha pure (o soprattutto) sul piano tecnico. Di certo, però, c’è che la squadra campione della Qazaqstan Prem’er Ligasy avrà tutta l’intenzione di godersi  un palcoscenico prestigioso come il Meazza. Schierando la stessa squadra che ha appena trionfato in campionato: domenica 26 ottobre il Kairat ha conquistato un altro titolo pareggiando in casa contro l’Astana, e oggi spera di replicare un successo sulla carta ben più complesso in casa dell’Inter.

Fin qui il Kairat in Europa ha giocato 3 partite, raccogliendo un punto all’esordio contro l’altra Cenerentola, il Pafos, e zero tra Sporting Lisbona e Real Madrid. Un gol segnato, 9 subiti. Ma attenzione a non farsi ingannare dai numeri: quella kazaka è una squadra solida e forte fisicamente, nonostante le reti subite dicano il contrario. Contro il Real è rimasta in partita per larghi tratti del primo tempo, passando in svantaggio solo a causa di un calcio di rigore prima che i Blancos prendessero il largo nel finale.

Non segna, ma trascina: perché il momento no di Lautaro non preoccupa l’Inter

Il capitano nerazzurro è a secco da quattro giornate? Non filtra alcuna preoccupazione: il Toro resta un riferimento per lo spogliatoio, specie per i giovani, in campo lavora per la squadra e domani ritrova la Champions, con cui ha feeling.

Non può esistere un caso, semmai esiste la casualità: che Lautaro non segni da quattro partite di campionato è un’anomalia statistica. È un trend insolito di inefficacia realizzativa. Ma nessuno all’Inter pensa di discutere la centralità del capitano, semplicemente travolgente due settimane fa a Bruxelles in Champions. “È un esempio, è un trascinatore”, ha ricordato Chivu dopo la vittoria di Verona. In effetti, riguardando le immagini dell’autogol amico, Lautaro è il primo a esultare come se fosse stato lui a piazzare il pallone in porta. Si gira subito verso il settore ospiti, urlando senza freni inibitori e arringando i tifosi per condividere la gioia insperata dell’ultimo secondo.

Sono segnali di coinvolgimento totale, di immersione nel ruolo, scevri dalle difficoltà quotidiane che capitano a tutti i calciatori. Lautaro in fondo sta pagando anche lo stress: dal 27 settembre, quando ha superato i problemi alla schiena, ha giocato sempre. Con l’Inter, in Italia e in Europa, e con la nazionale argentina, dall’altra parte del mondo. Più viaggi che allenamenti. È l’unico, insieme a Bastoni, a essere sempre stato scelto nella formazione titolare nelle ultime 8 partite. Gli si può perdonare una flessione nel rendimento senza metterne in discussione il valore e l’abnegazione.

Bisogna solo imparare a conoscere il soggetto: anche lo scorso anno Lautaro cominciò il campionato a ritmi blandi, segnando alla decima giornata un gol in più: con Inzaghi erano 4, con Chivu sono 3. Siamo lì, insomma. E c’è da credere che, nella squadra che produce di più a livello offensivo in Serie A, alla fine del percorso il numero di reti sarà maggiore rispetto al 2024/25, quando il consuntivo contabilizzò 12 palloni vincenti.

Spalletti ha un piano per recuperare Koopmeiners: in ballo 51 milioni e il futuro

Il nuovo tecnico della Juve vuole cucire addosso all’olandese il ruolo perfetto: promossa l’invenzione di Cremona, ora serve continuità.

La scommessa più grande di Luciano Spalletti e della sua Juventus vale la bellezza di 51 milioni. Un all-in su un giocatore in particolare, quello che né Motta né Tudor hanno saputo far rendere al meglio. Dopo l’esordio con vittoria a Cremona dell’allenatore di Certaldo i riflettori sono di nuovo tutti puntati su Teun Koopmeiners, stavolta però la luce Oranje non è il solito segnale di allarme, ma la spia di una nuova intuizione di Spalletti. E di un nuovo cambio di ruolo dell’olandese, adesso difensore. 

Spalletti la sua mossa l’ha fatta, ora sta a Koop riprendersi la Juve e capitalizzare al massimo questo sesto spostamento. Il campo l’ha girato tutto: ha fatto il trequartista, la mezzala e il falso 9 con Motta; con Tudor si è visto largo a destra alle spalle dell’attaccante e mediano nei due di centrocampo; Spalletti l’ha proposto come centrale di sinistra nella difesa a tre. Ha indietreggiato ancora, deve re-inventarsi un’altra volta in questa che sembra tanto un’ultima chiamata per evitare il definitivo bollino del fallimento. “Può giocare dietro, l’ha già fatto”, la sintesi spallettiana della prima grande rivoluzione della sua gestione.

E, sì, Koop in quella posizione non è una novità ma bisogna andare a rivedere alcune partite con la nazionale oppure tornare al suo periodo olandese, quando agli inizi con l’Az Alkmaar ha giocato lì in 38 occasioni. Resta comunque un’innovazione e una primizia per la Serie A perché nessuno, da Gasperini a Tudor, l’aveva mai ipotizzato o impiegato da difensore. Il campionato l’ha battezzato in questo nuovo/vecchio ruolo, la Champions League dovrà confermarlo.

Domani allo Stadium, contro i portoghesi dello Sporting, Spalletti si aspetta continuità da parte di un Koop che, contro la Cremonese, col nuovo abito da difensore ha regalato una partita di spessore. Anche se Spalletti ha ammesso che era allo stesso tempo “un messaggio alla squadra: si va a giocare e non a difendere”. 

Leggero, insicuro, già con le valigie in mano: Diouf, un mistero da 25 milioni

Il centrocampista francese, arrivato al posto di Koné, non trova spazio nell’Inter: fin qui solo 26′ a babbo morto, conditi da svarioni. E a gennaio potrebbe salutare per far spazio a Frendrup.

Leggero, timido, insicuro. Nonché per distacco il meno impiegato tra i nuovi acquisti dell’Inter, penultimo in generale in tutta la rosa nerazzurra sul piano del minutaggio con il solo Darmian (peraltro infortunato da parecchio) meno utilizzato di lui. Per riassumere l’Andy Diouf interista dopo i primi mesi trascorsi a Milano, basterebbero due parole: oggetto misterioso. Il francese è stato uno dei nuovi arrivi estivi da 25 milioni di euro (bonus più-bonus meno, come Bonny e Luis Henrique), ma indubbiamente è quello che più sta deludendo le aspettative. Soprattutto considerando che dalle parti di Appiano si è presentato una volta conclusa la telenovela Manu Koné: per progetti della società e disegno tattico del nuovo tecnico, ci si aspettava un centrocampista di rottura, dominante, capace di spaccare il ritmo nel mezzo, recuperare palla e ribaltare azioni difensive sull’altro lato del campo. Invece, dopo una trattativa condotta da Piero Ausilio, è arrivato Diouf. 

Difficile capire di che tipologia di centrocampista si tratti, avendo il francese giocato 26′ appena sui più di 1080 (minuti di recupero esclusi…) a disposizione. Le occasioni fin qui non sono state certamente molte, ma di altrettanto certo c’è che nei – pochi – minuti avuti a disposizione, il francese abbia dato l’impressione di essere un corpo esterno. Leggero, distratto. Diouf è subentrato all’esordio in campionato contro il Torino ma subito ha lasciato il segno in negativo con due svarioni da matita rossa, e pure un mesetto e mezzo scarso più tardi, in una partita in discesa come quella con la Cremonese in cui è entrato sul 4-0, ha ridato le stesse impressioni. Ma quindi, dove sta il problema?

Sbuffa, è nervoso e segna poco: Lautaro, in A non va. Tutto come l’anno scorso, quando arriva la svolta

L’argentino ha realizzato solo 3 reti nelle prime 9 giornate di campionato e anche contro la Fiorentina non è apparso sereno. In Champions tutto cambia e Chivu ha un piano per recuperare il vero Toro.

Cristian Chivu l’ha tenuto in campo per 89′, sperando di raccogliere dai piedi di Lautaro Martinez un gol o almeno un sorriso. Risultato? Non è arrivato né l’uno né l’altro. Anzi, peggio. Perché mercoledì scorso contro la Fiorentina il capitano nerazzurro ha confermato di vivere un momento complesso quantomeno sotto porta. Raramente pericoloso, spesso sconsolato, sempre nervoso. 

È vero che da un assist dell’argentino è nato lo splendido raddoppio costruito da Sucic, ma i gol segnati dal capitano nerazzurro nelle prime 9 giornate di campionato (giocate tutte da titolare, eccezion fatta per la sfida di San Siro contro il Sassuolo in cui è subentrato per l’ultima mezz’ora) sono soltanto… 3. Decisamente pochi per uno come Lautaro, che nel tempo ha abituato a numeri ben diversi. Numeri da Champions, per dire, competizione in cui Lautaro torna Toro. In Europa, infatti, si contano più gol (3) che presenze (2). Ma in Serie A il linguaggio del corpo dell’attaccante interista parla chiaro: sbraccia, sbuffa, come sempre lotta per la squadra ma non riesce a raccogliere quello che in periodi diversi rispetto ad oggi gli verrebbe naturale. Questione di tempo e di momenti.

Chivu lo sa bene e infatti a Lautaro non rinuncia mai, neppure dopo i lunghi viaggi intercontinentali che caratterizzano ogni sosta nazionali del Toro, che oggi paga anche un po’ di fatica eccessiva.

L’avvio di stagione, lo scorso anno, era stato maledettamente simile a quello attuale: affaticato dopo un’estate in cui ha rimbalzato qua e là per il mondo (nel 2024 “causa” Coppa America, l’estate scorsa al Mondiale per Club in America al termine di una stagione estenuante), pochi gol nelle prime giornate di campionato, un po’ meglio in Champions League, sempre determinante con l’Argentina.

La grinta ritrovata e tre giocatori rilanciati: cosa ha detto la prima Juve del dopo Tudor

Tanti segnali anche positivi per Spalletti. La squadra è tornata a lottare e a cercare il gol del raddoppio e per Cambiaso, Kostic e Openda può essere iniziata una nuova stagione

Tre gol tutti insieme della Juve, allo Stadium, non si festeggiavano da 43 giorni. E addirittura, i tifosi bianconeri 11 tiri in porta in una sola partita non li avevano mai visti in questa stagione. Neanche nelle abbuffate contro Borussia Dortmund e Inter, che parevano aver spinto la squadra di Tudor verso grandi traguardi e che, invece, erano stati gli ultimi fuochi d’artificio prima della fine della festa. Sembra passata una vita, perché 46 giorni senza vincere in casa bianconera assomigliano a un’eternità, ma gli applausi di soddisfazione del popolo bianconero al termine della sfida contro l’Udinese hanno il sapore di un’emozione che sembrava dimenticata. Quella del successo, certo, che è l’unica cosa che conta da queste parti, ma pure quella di aver osservato una squadra che non si è abbattuta e che ha rimesso in campo quello spirito aggressivo che ne ha sempre contraddistinto la storia. Quella cattiveria che ha sempre fatto parte del dna bianconero. Chiaro, una vittoria non significa che la crisi sia definitivamente alle spalle, ma i segnali arrivati dal match contro i friulani avranno fatto piacere anche a Luciano Spalletti.

“Troverà un gruppo unito e pronto a dare il 120%”, è il messaggio recapitato da Gatti al prossimo tecnico juventino, che fa eco a quello di Vlahovic. La grinta ritrovata è certamente l’aspetto da cui il nuovo allenatore potrà ripartire: la Juve è tornata a lottare su tutti i palloni, è stata veemente nel cercare il raddoppio dopo il rigore-lampo del serbo e, al di là dello sbandamento a inizio ripresa per il pari di Zaniolo di fine primo tempo, non si è mai disunita. È sembrato, insomma, di aver riavvolto il nastro improvvisamente ai migliori momenti della breve era Tudor, prima che la crisi di risultati facesse perdere tutte le certezze ai calciatori juventini.