La Nazionale verso l’Ungheria: Immobile non ci sarà

Dopo aver battuto l’Inghilterra, l’Italia si prepara alla sfida contro l’Ungheria. Ciro Immobile, che ha lasciato l’hotel Melia di Milano insieme alla squadra, ha deciso di non partire per Budapest e di tornare a Roma, in accordo con lo staff azzurro.

Ciro Immobile costretto a dare forfait per la trasferta di Budapest di lunedì, quando l’Italia del Ct Roberto Mancini si gioca la possibilità di chiudere il girone 3 al primo posto battendo l’Ungheria. L’attaccante della Lazio – indisponibile anche nel match vinto contro l’Inghilterra – nella mattinata di domenica si è sottoposto a Milano ad accertamenti clinici e strumentali che ne hanno confermato l’indisponibilità per la gara contro l’Ungheria.

mmobile ha comunque raggiunto con la squadra l’aeroporto di Malpensa, dove sul volo arrivato da Roma il gruppo si è riunito al Commissario tecnico Mancini, che ieri sera era rientrato nella capitale per poter votare questa mattina. Il Ct, pur apprezzando la disponibilità di Immobile, constatato quanto emerso dagli accertamenti strumentali, ha scelto di lasciar tornare il centravanti azzurro – che inizialmente era certo di partire con i compagni per Budapest – al proprio club di appartenenza, per proseguire le cure del caso. Una decisione presa in extremis ma di comune accordo tra lo staff medico della Nazionale e quello Lazio, così da evitare di far correre rischi all’attaccante.

Ranocchia lascia il calcio: “Si è spento qualcosa, non ho più la passione”

In un lungo video su Instagram il difensore spiega la rescissione consensuale con il Monza: “Non volevo prendere in giro nessuno, non ho più niente da dare in questo momento”

Endgame. Questo l’unico commento al lungo video con cui Andrea Ranocchia sui suoi social ha deciso di annunciare il ritiro. Dopo la risoluzione consensuale con il Monza, il difensore – 34 anni – ha infatti fatto sapere di aver deciso di dire addio al calcio per motivi personali.

Il mio ultimo anno e mezzo non è stato facilissimo – dice nel video dalla sua Bastia Umbra -, piano piano anche la passione che ho sempre provato per questo gioco è venuta meno. A maggio dell’anno scorso, quando ero ancora all’Inter, sentivo che qualcosa non mi tornava ma non capivo cosa fosse. Con il club abbiamo deciso di separarci perché volevo trovare nuovi stimoli e nuove emozioni e ho avuto la fortuna di trovare il Monza che mi ha dato un’opportunità e grande fiducia, offrendomi un ottimo contratto e la possibilità di rimettermi in gioco e di capire cosa mi stesse succedendo. Purtroppo all’inizio della stagione le sensazioni non erano migliorate e andando avanti è come se mi si fosse spento un interruttore, non c’era più passione. All’inizio non volevo accettarlo, sono andato avanti con impegno, ma sentivo che non c’era più niente dentro di me. Poi c’è stato questo brutto infortunio a Napoli che mi avrebbe tenuto lontano per mesi: senza la passione e la determinazione necessarie per tornare ho ritenuto giusto non prendere in giro nessuno, a partire da me stesso. Ho sentito Galliani e gli ho espresso il mio malessere e la mia decisione, lui ha capito e ci siamo lasciati da amici e con grande rispetto. Non ho più niente da dare in questo momento. Adesso mi prendo un po’ di tempo per rimettere in ordine tutte queste emozioni e i miei pensieri per il futuro. Non credo proprio che tornerò a giocare a calcio, non è quello che voglio”.

Fiducia a tempo? Ottobre amico: Juve, le partite per rimettere in piedi la stagione

Alla ripresa, di fronte un mese in cui il Milan è l’unica squadra in lotta scudetto sul cammino bianconero. In mezzo all’urgenza di provare a rimettersi in corsa in Champions

Fiducia a tempo, ha sancito la telefonata di Agnelli ad Allegri all’indomani del naufragio di Monza. Tempo significa partite, da capire quante: il quante dipenderà dal come ma un nuovo check point è evidentemente la sosta per il Mondiale di novembre. Da qui ad allora la Juventus è attesa da 12 partite in 40 giorni circa di apnea. Un calendario che per la Signora nei suoi abiti, quelli disegnati sulla carta, permetterebbe di considerare ancora la stagione aperta.

Già, sulla carta, perché la realtà dei fatti dice che fin qui la Juventus ha buttato via l’assist di un calendario di inizio stagione alla portata. In parte per le avversarie, perché Samp e Monza (1 punto in due partite!) sono due delle ultime tre squadre in classifica, Spezia e Salernitana erano a loro volta partite con l’obiettivo salvezza e le partite sulla carta più impegnative dovevano essere quelle con la classe media di Fiorentina e Sassuolo col picco di difficoltà della Roma (attualmente sesta). Per cui ogni disquisizione sulla difficoltà dei prossimi impegni vale fino a un certo punto, ma è oggettivo che in campionato nel mese di ottobre l’unica pretendente allo scudetto da sfidare è il Milan, sabato 8 a San Siro, in mezzo alle partite con Bologna, Torino, Empoli e Lecce fino a fine mese. Una sequenza che, con un paio di scogli sicuramente più a rischio, in altri tempi sarebbe sembrata amica per una risalita.

Immobile: “Avevo pensato di lasciare la Nazionale. Ma finché ci sarà bisogno di me, io ci sarò”

Il centravanti azzurro dal ritiro di Coverciano: “Sono l’attaccante della non qualificazione al Mondiale, non quello della Nazionale che ha vinto l’Europeo”

Sognare si può, anzi si deve, ha sempre detto. E Ciro Immobile, ad anni 32, ha sogni alti: giocare il prossimo Mondiale con l’Italia e vincere lo scudetto con la Lazio.

“Nella mia carriera non mi sono mai dato limiti: sono state fiducia e positività a farmi andare oltre le mie qualità tecniche”. Se la Lazio dovesse vincere lo scudetto andrebbe molto oltre, “e infatti da capitano non posso mettermi a urlare nello spogliatoio “Vinciamo lo scudetto” e non lo sto facendo. Però è quello il mio pensiero fisso a ogni inizio ritiro. Mi piace poter raggiungere il massimo, siamo una squadra in crescita, se poi arriva la Champions non ci resto male. Siamo partiti bene, facendo errori in Europa e perdendo male due punti a Genova, però abbiamo raggiunto un buon equilibrio in difesa, come dicono i numeri, ed è quello che ci chiedeva Sarri. Segniamo meno, ma abbiamo più punti dell’anno scorso con la difesa messa a posto. Ora dobbiamo mettere a posto l’Europa League dopo l’ultima figuraccia”.

La Lazio è sempre stata la sua comfort zone, un regno conquistato e governato a forza di gol, tanti, ogni anno. Il contrario di quello che gli succede in Nazionale, “e me lo chiedo quasi ogni giorno: perché con la maglia azzurra io segno meno? Forse alla Lazio ho più margini d’errore, qui c’è più pressione e strafare a volte ti porta a fare cavolate. Certo che fa rosicare: ho vinto quattro volte la classifica marcatori e qui faccio fatica”. Fa rosicare e anche pensare, e Immobile non ha problemi ad ammetterlo: ha pensato seriamente di lasciare la Nazionale. Per due motivi, sostanzialmente. Il primo: “La delusione per la mancata qualificazione al Mondiale mi ha fatto venire molti dubbi, poi tornando a giocare con la Lazio piano piano mi sono reso conto di avere ancora qualcosa da dare a questa maglia: rappresenta tutto per chi gioca a calcio e deve essere così per chi vuole fare questo mestiere. Finché ci sarà bisogno di me, io ci sarò: mi sento un leader nello spogliatoio e soprattutto mi sento in dovere di dare qualcosa al gruppo, dentro e fuori dal campo. E anche se l’età avanza, se sto come adesso potrò dare ancora qualcosa, anche nel 2026. È uno degli obiettivi che mi sono posto”. Mancini, dice Immobile, non ha avuto bisogno di insistere più di tanto per toglierli ogni incertezza: “Credo non abbia mai avuto il dubbio che potessi davvero lasciare. Sono state più importanti le mie riflessioni, fatte assieme alla mia famiglia”.

Il vero Lukaku è la luce in fondo al tunnel: da oggi torna in campo

Dalla prossima settimana lavorerà con la squadra. Senza il gigante belga i nerazzurri hanno perso leadership

Non basterà Romelu, anche se grande e grosso com’è, a fermare da solo il vento che soffia sull’Inter.

Non potrà mai Lukaku in solitudine risollevare da terra una squadra che è piena di problemi dalla testa ai piedi: per risolverli serve uno sforzo collettivo, non la bacchetta magica di un singolo. Ma il rientro del belga nelle sue terre, l’1 ottobre contro la Roma a San Siro, dà comunque un nuovo senso alla ripartenza interista: anche se non vincerà le partite da solo, è il numero 90 la luce da seguire per uscire fuori dal tunnel. Tra l’altro, la squadra stava iniziando a essere disegnata sul centravantone, come un compasso tutto pareva destinato a girare attorno a lui. Romelu era stato ripreso con uno spericolato prestito dal Chelsea per ridare all’attacco una forza sconosciuta l’anno prima. Inzaghi era semplicemente entusiasta all’idea di allenarlo e stava iniziando a usare a modo suo la palla di demolizione per buttar giù le difese avversarie. Il guaio al flessore della coscia sinistra, però, ha completamente cambiato il progetto di inserimento. Si è perso un mese prezioso che sarebbe stato utilizzato per portarlo al top della forma. Adesso si riparte da zero con l’obiettivo di fare più in fretta del previsto perché nel mentre il calendario si è messo a correre, come tante in Italia e in Champions.

Lukaku ha segnato al primo pallone salentino, nell’esordio della sua seconda vita da interista. Poi ha governato senza sussulti la partita contro lo Spezia, la più tenere finora, mentre le terza e ultima presenza l’ha fatta contro la Lazio, nella sconfitta in cui si sono sentiti i primi sinistri scricchiolii. Quando è uscito lui, la squadra si è abbassata e consegnata a Sarri fino alla giusta sconfitta finale. Il giorno dopo Rom si è fatto male e da lì in avanti il tracollo di risultati e gioco è arrivato con lui come semplice spettatore: mentre guariva un po’ alla volta dall’infortunio, vedeva la sua Inter regredire pericolosamente.

Juve, Allegri in discussione: spunta l’idea Montero

La sconfitta col Monza ha indebolito la posizione dell’allenatore: per Arrivabene il cambio di guida tecnica sarebbe una follia, ma nel caso spunta una soluzione interna.

Maurizio Arrivabene ha associato alla “follia” l’idea di un esonero di Max Allegri a questo punto della stagione. Ma certo né lui né i tifosi avrebbero immaginato un crollo della Juve così evidente a Monza, in un contesto quasi ideale per riscattare la brutta serata di Champions contro il Benfica. L’ultima sconfitta (la prima in Serie A, la terza stagionale) allontana la squadra dalla vetta (di 7 punti) e – dopo sette partite – regge in negativo (-1) il confronto con il campionato scorso, in cui la falsa partenza finì per pesare nella corsa scudetto. Tutto ciò indebolisce ulteriormente la posizione del tecnico.

Le ultime riflessioni sulla condizione fisica della squadra, che dura a certi ritmi non più di venti minuti a partita e poi crolla, oltre ad aver contato già numerosi infortuni muscolari (undici, in due mesi), consegnano una maggiore centralità nella gestione a Giovanni Andreini, un ex collaboratore di Roberto Donadoni che è stato ingaggiato dal club la scorsa estate per supervisionare il lavoro atletico e dell’intero settore performance. Max Allegri per adesso non è in discussione, ma non è più intoccabile. Il tema esonero, insomma, resta sullo sfondo e potenzialmente attuale in assenza di una svolta che possa rimettere la Juve in corsa su tutti i fronti. Certo, sostenere un allontanamento dell’allenatore significherebbe affrontare un’altra spesa non prevista, in una fase in cui la Juve sta cercando di far quadrare i conti e rendere più sostenibile il proprio progetto.

La soluzione interna, che porta dritta al nome di Paolo Montero, resterebbe insomma la più realistica ma anche credibile. Per il suo senso di appartenenza al club (aspetto che pare stia venendo a mancare un po’ troppo – alla squadra – nelle ultime settimane) e, di conseguenza, per come lo accoglierebbero i tifosi in questo momento di crisi. L’ambiente Juve in questo momento vuole riconoscersi, ha fame di quella identità che l’ha sempre contraddistinta di fronte alle difficoltà. L’ex difensore, ora alla guida della formazione Primavera, viene riconosciuto come uno degli uomini Juve più rappresentativi del Dna bianconero. Ma resta pur sempre un’ipotesi d’emergenza, da attuare eventualmente più avanti: significherebbe, insomma, non trovare più soluzioni ai problemi, e aver compromesso ulteriormente la stagione.

Inter, che combini? Barella gol, poi si scatena l’Udinese: Sottil capolista, bufera Inzaghi

I nerazzurri partono benissimo con una punizione del centrocampista, poi il tracollo: terzo k.o. in campionato in 7 partite. Com’è che si dice? Chi vince esulta, chi perde spiega. L’Inter deve spiegare un’altra volta, la terza in questo campionato, la quarta in stagione.

Sconfitta pesante, perché il 3-1 dell’Udinese arriva nel finale ed è segnale di una squadra ci ha creduto di più e con maggiore lucidità. Sottil esulta: è la quinta vittoria consecutiva, arrivata con il gusto di una rimonta dopo lo svantaggio iniziale di Barella. Un autogol di Skriniar, un colpo di testa di Bijol e un altro di Arslan disegnano il tabellino dei sogni, per l’Udinese.

Non c’è tempo di studiarsi, la partenza è lanciata e i ritmi subito alti, come previsto. L’Udinese si affaccia al 2′ con Lovric, che spaventa Handanovic con un destro di poco largo. La prima occasione Inter, invece, porta subito al vantaggio. Ed è una giocata non usuale: Barella non è esattamente uno specialista di calci piazzati, ma al 5′ trova un destro perfetto sopra la barriera su cui Silvestri può nulla. Inzaghi subito avanti: alla vigilia aveva chiesto ai suoi di fare attenzione alle partenze lampo dell’Udinese, è lui invece a ritrovarsi in vantaggio. Sottil accusa il colpo, l’Udinese ci mette qualche minuto a carburare. Poi aumenta i ritmi del pressing e schiaccia l’Inter all’indietro. Il pareggio, al 22′, arriva in realtà da un altro calcio piazzato: Pereyra mette dentro un pallone dalla trequarti, in mischia Skriniar devia alle spalle di Handanovic. L’Inter protesta per un fallo su Dzeko, ma Valeri convalida dopo il check del Var. Tutto da rifare per i nerazzurri. E pure per Inzaghi, che piazza la mossa a sorpresa, di sicuro inedita. Bastoni e Mkhitaryan, ammoniti, vengono sostituiti al 30′ da Gagliardini e Dimarco, subito dopo il tiro potente dello stesso Bastoni – parato – con una conclusione di sinistro su sponda di Dzeko. Il pallino del gioco resta in mano all’Udinese, che pressa fin dentro l’area avversaria oscurando la costruzione di Brozovic. L’Inter concede campo per poi guadagnarlo in ripartenza. Al 33′ la chance è per Dzeko, che manda alto un cross di Dumfries dopo un ottimo lavoro di Lautaro sulla trequarti ed è l’ultima vera azione segnalabile del primo tempo, tra un paio di mischie irrisolte nell’area nerazzurra e un buon contropiede sprecato malamente da Dumfries al momento del cross.

Roma, Camara: “Qui c’è un ambiente familiare. Mou è tra i più grandi della storia”

Le parole del centrocampista che i giallorossi hanno preso subito dopo l’infortunio di Wijnaldum: “Diversi club si erano interessati a me, quando la Roma si è fatta viva però non ho avuto dubbi”

Ultimo giorno di presentazioni a Trigoria per il mercato estivo: è il turno di Mady Camara, centrocampista che la Roma ha preso in prestito dall’Olympiacos subito dopo l’infortunio di Wijnaldum. Non è un titolare, ma sembra avere le idee chiare sui suoi obiettivi: “Mi trovo bene qui – le sue parole – e la cosa che mi è piaciuta di più finora è l’ambiente familiare che si respira. Mi hanno accolto tutti come un fratello. Per me è un orgoglio essere al servizio di uno dei più grandi allenatori della storia del calcio, se non il migliore”.

Sulla trattativa che lo ha portato in pochi giorni a Trigoria, Camara spiega: “Diversi club si erano interessati a me, quando la Roma si è fatta viva però non ho avuto dubbi, anche quando ho parlato con Mou ho capito subito che volevo venire. Sono qui per dare tutto e aiutare la Roma a raggiungere gli obiettivi, non ho ancora i 90’, ma non mi pongo limiti”.

Camara racconta anche delle conversazioni avute con Manolas prima di accettare la Roma: “Ho parlato con Kostas, mi ha detto cose bellissime, anche dei tifosi, ho potuto riscontrare subito quello che diceva. I tifosi dell’Olympiacos sono molto caldi, quelli della Roma non sono da meno”. Sulla concorrenza, visto che sulla carta non è un titolare, Camara ammette: “Cercherò di lavorare per restare qui a lungo. Condividere lo spogliatoio con giocatori che spesso prendevo alla PlayStation, e ora invece mi ci alleno, è un sogno”.

A presentare Camara il gm Tiago Pinto: “Ci siamo dati subito da fare per trovare la miglior soluzione possibile per squadra e allenatore dopo l’infortunio di Wijnaldum. Camara ci aiuterà molto dentro e fuori dal campo, visto anche il suo atteggiamento”.

Juve mai partita così male in Champions: ora rischia di doverle vincere tutte

Nel caso peggiore la quota per il passaggio del turno potrebbe salire a 12 punti. Ma in ogni caso i bonus sono finiti e servirà fare risultato al ritorno col Psg e in casa col Benfica con cui si è appena perso

Aver perso le prime due partite stagionali di Champions League, un evento unico nella storia del club secondo le rilevazioni Opta, mette oggi la Juventus nella complessa situazione di trovarsi a -6 dal passaggio del turno. Ovvero sei punti di distanza da entrambe le rivali dirette, Psg e Benfica, con in più lo scontro diretto al momento a sfavore e da ribaltare. Se Allegri aveva detto sin dal sorteggio che sarebbe stato col Benfica che si sarebbe giocato il passaggio del turno, adesso averci perso, e oltretutto averlo fatto in casa, cambia le carte in gioco, complicando evidentemente la situazione.

Quando si è espresso sull’argomento, Allegri ha fissato la quota qualificazione per il passaggio agli ottavi a 10 punti. Il problema è che per come si sono messe le cose adesso la Signora rischia di aver bisogno di vincere tutte e quattro le partite per rimettersi in corsa. Non impossibile (l’anno scorso ne vinse cinque su sei, per poi uscire agli ottavi…) ma al momento un atto di fede per una squadra che è partita perdendone due su due. In sintesi: lo scenario peggiore è che Psg e Benfica, oltre a battere il Maccabi Haifa, si prendano una vittoria ciascuno nella doppia sfida tra loro. Andrebbero così entrambe a 12 punti, la quota che la Juventus può raggiungere solo vincendo tutte e quattro le rimanenti partite.

Il corollario è che, se anche questo caso peggiore non si materializzasse, e dunque mantenendo l’obiettivo della quota 10 nel caso in cui Psg o Benfica perdessero punti per strada, la Juventus è comunque in una situazione in cui apparentemente non può più permettersi di perdere una sola partita.  L’ultima volta fuori dagli ottavi di Champions fu nel 2013-14, l’ultimo anno con Antonio Conte.

Barça bello e imperfetto: Inter, una sterzata e te la giochi

È presto per dire se l’Inter sia rientrata in sé, ma la vittoria in Repubblica Ceca conferma che la risalita è in corso.

Vincere non è facile in assoluto, figuriamoci in Champions League, e non vale sminuire il Viktoria Plzen. C’è una ricca casistica su trasferte all’Est, facili in apparenza e chiuse con risultati infausti. Lo stadio piccolo e pieno, la gente addosso, gli avversari che corrono come dannati. L’Inter ha fatto valere il calibro tecnico superiore e una fisicità che può reggere molti urti. Il gol spacca 0-0 lo ha segnato Edin Dzeko, dall’alto dei suoi 36 anni e delle 26 reti in Champions. Un tiro preciso, freddo, figlio dell’esperienza. Un gesto memorizzato nel tempo. È rilevante che per la seconda volta di fila non siano stati incassati gol, 1-0 contro il Toro e 2-0 ieri, a portieri alternati: sabato Handanovic, il migliore del match; ieri Onana, quasi inattivo.

Il vituperato Acerbi ha superato il primo esame, la sua è stata una prestazione senza incertezze. Occorreranno altri test, ma nell’immediato la soluzione Acerbi si conferma logica e funzionale. Il difensore centrale ha sostituito De Vrij ed è stato dentro la partita più di tutti, i report lo indicano come l’interista che ha toccato più palloni (126) e che ha effettuato più passaggi (110). Nel primo tempo ha sfiorato il gol con una girata nell’area ceca. Sono i numeri e le tracce di un ambientamento subitaneo. Acerbi ha giocato 135 partite nella Lazio di Simone Inzaghi e tanta comunanza può diventare un valore, se stiamo sul presente e non ci spingiamo nel futuro lontano. La serata di Plzen si presta a un’unica nota critica, l’Inter ci ha messo troppo a segnare il gol della sicurezza. Ha dominato in lungo e in largo, ha goduto della superiorità numerica a partire dal quarto d’ora della ripresa per l’espulsione di Bucha, e in undici contro dieci per qualche minuto ha concesso al Viktoria un paio di opportunità. Un calo di tensione, poi Dumfries ha riattivato la corrente con il 2-0 su assist di Dzeko e tutto si è chiuso lì, ma in un contesto più difficile il momentaneo deficit di mentalità sarebbe stato pagato. Ad ogni modo le due vittorie di fila, contro Torino e Viktoria Plzen, senza subire gol, sono la risposta giusta a un inizio sbagliato. Domenica a Udine la prova del tre, contro un avversario indigesto perché muscolare e rapido.