Lautaro si è ritrovato, Thuram resta il compagno preferito: Inter, è l’ora della vera ThuLa

Ci siamo, manca poco. E c’è un’immagine che lo dimostra: a Udine Lautaro segna il suo secondo gol, Thuram si inginocchia e fa l’esultanza del Toro. È un antipasto, è la voglia di mangiarsi tutto quel che c’è da mangiare. La ThuLa si riaffaccia sul campionato, dopo la panchina iniziale d’Europa. Con un obiettivo: viaggiare veloce, viaggiare coordinati, in definitiva correre e vincere.

Perché fin qui è andata così: Thuram che volava e Lautaro che sputava veleno per un gol che non arrivava. Ora che si è sbloccato l’argentino, il francese si è inceppato. In soldoni: la coppia non ha ancora festeggiato insieme, non c’è ancora stata una partita con tutti e due a segno.

Ed è un inedito, perché la scorsa stagione l’Inter s’era abituata troppo bene con tutti e due. Ma la curva è in crescendo, del resto non c’era miglior momento per aspettarsi una svolta positiva. Ottobre è un mese chiave per Inzaghi, tra campionato e coppe. È un mese che serve per entrare fisicamente nel G8 in Champions League e per dare uno strappo al campionato. Lautaro c’è, in tutti i sensi. Fisicamente è tornato lui: la settimana che dal derby ha portato a Udine gli ha consentito di guadagnare numeri decisivi, che lo staff di Inzaghi ha apprezzato. Il rendimento dell’argentino è schizzato e non solo per il gol. Qualche piccolo segnale fisico, per la verità, s’era intravisto anche durante la serata negativa del derby. Adesso Lautaro sta come non è mai stato dal 22 aprile, il giorno della seconda stella, neppure durante la Coppa America. E, quel che più conta, sta bene con se stesso. Il gesto di lasciare il rigore a Taremi è il segnale di un giocatore che ha “risolto” la questione con il gol e non sente più il peso addosso di una gioia che non arrivava.

Lautaro, la doppietta del ritorno: “Gol importanti per me, ma l’Inter deve crescere”

Il capitano nerazzurro era ancora a secco: “Dopo il derby abbiamo parlato meno e lavorato di più”

Dopo 5 giornate di campionato, leggere il numero zero vicino alla voce “gol segnati” da Lautaro Martinez faceva strano. L’argentino ha vissuto un avvio di stagione complicato, ma pure il tramonto di quella passata non era stato al suo livello: ultimo gol il 10 maggio scorso a Frosinone, da lì in poi, in nerazzurro, il buio. Eppure, di scusanti il Toro ne ha parecchie. Alla fine dello scorso campionato dominato dalla squadra di Inzaghi, Lautaro è partito per gli Stati Uniti, dove con la sua Argentina ha vinto – da protagonista e capocannoniere – la Coppa America. Migliaia di km percorsi, enorme stanchezza fisica e mentale. Ha pagato questo e un conseguente piccolo infortunio muscolare, Martinez, che oggi però è tornato alla grande.

L’avvio difficile di Lautaro è stato anche amplificato dal primo derby sugli ultimi 7 perso dall’Inter. Una gara in cui il Toro ha comunque regalato un assist a Dimarco, ma è ugualmente rimasto a secco. “Dopo il derby abbiamo parlato meno e lavorato di più – ha confessato l’argentino a seguito della vittoria di Udine -, ma credo che in campo si sia visto. Il gol sicuramente è importante per me, è chiaro che un attaccante lo cerchi. Io però faccio sempre il contrario: lavoro per la squadra e se riesco a segnare meglio ancora. Bisogna continuare a lavorare e portare l’Inter sempre più in alto. Ci vuole l’atteggiamento giusto, lavorare di più, restare umili e alzare il livello ogni giorno. Perché l’Inter deve crescere”. Parole come sempre di grande responsabilità, che confermano quanto Lautaro – da capitano – si senta al centro del progetto nerazzurro. Come di enorme responsabilità erano state le immediate dichiarazioni post derby.

Tra Frattesi e Zielinski, così lo sostituirà Inzaghi

Il centrocampista tornerà soltanto dopo la sosta di ottobre. A Udine ci sarà l’altro azzurro, che però quest’anno da subentrato fa fatica.

I guai, si sa, spesso arrivano tutti insieme. E l’Inter non è esente. La conferma è Nicolò Barella: derby perso e infortunio, distrazione al retto femorale della coscia destra che lo terrà fuori poco meno di un mesetto, fino al rientro dalla sosta nazionali, quando il 20 ottobre i nerazzurri andranno all’Olimpico per la gara contro la Roma. Fino ad allora, quindi con Udinese, Stella Rossa e Torino, niente Nicolò.

Barella, Calhanoglu, Mkhitaryan. Fino a ora, negli anni di Simone Inzaghi sulla panchina dell’Inter, il centrocampo nerazzurro è stato una costante. Sempre loro in campo, con licenza di intervenire dalla panchina per altri. Ma raramente dal 1′ il tecnico piacentino ha rinunciato ai suoi uomini, se non per situazioni di estremo turn-over. Oggi la situazione è ben diversa, perché Barella non c’è e Mkhitaryan (trasferta dell’Etihad contro il City a parte) in questo avvio di stagione è stato tra i peggiori nell’Inter. Soprattutto nel derby. Dalla panchina scalpitano Zielinski e Frattesi, e c’è un dato che incoraggia soprattutto sull’impiego del polacco: a Manchester, nell’unica partita giocata da titolare, l’ex Napoli ha superato brillantemente la prova Champions. Da subentrato, invece, ha spesso faticato: poco apporto contro il Milan, nullo a Monza. Così Zielinski potrebbe far rifiatare Mkhitaryan. Non Barella, perché, per ruolo e posizione in campo, il sostituto naturale di Nicolò è Frattesi. L’ex Sassuolo si è spesso reso decisivo subentrando dalla panchina, con gli inserimenti che lo hanno reso tra i centrocampisti più incisivi della stagione scorsa in rapporto al minutaggio: 1 gol ogni 156′ in campo. Tra cui proprio quello del Bluenergy Stadium della stagione scorsa, che di fatto mise lo scudetto nelle mani dell’Inter.

Allenamenti doppi e turnover: il piano di Inzaghi per far tornare Lautaro al top

L’argentino aumenta i carichi ed è pronto a gestire l’impiego: sono giorni decisivi per salire di forma in vista di Stella Rossa e Torino

Se tra il dire e il fare c’è di mezzo Lautaro, allora c’è da fidarsi. Eccolo qui, allora, il piano dell’Inter e del suo totem: il Toro vuole tornare se stesso nel più breve tempo possibile e per farlo è pronto a tutto. 

A partire ovviamente dagli straordinari ad Appiano. In fondo, questa annata è cominciata così, con una telefonata dall’altre parte del mondo per tendere la mano alla sua Inter in apprensione per un infortunio muscolare di Taremi a pochi giorni dal debutto in campionato. Lautaro, fresco campione di Sudamerica con l’Argentina e con il piede ancora caldo dopo i gol che avevano griffato la coppa (compreso quello decisivo in finale con la Colombia), si era tagliato le vacanze per presentarsi in soccorso di Inzaghi: era il 6 agosto, l’Inter aveva bisogno della sua presenza e lui si è materializzato all’improvviso, come i supereroi dei fumetti.

Due mesi e sei partite dopo, la sola presenza non basta: l’Inter ha bisogno anche dei suoi gol e Lautaro logicamente la pensa allo stesso modo. Sa benissimo che il suo ritardo di condizione – e di conseguenza quello sottoporta – incide sul rendimento di tutto il gruppo, lo ha ammesso dopo il ko con il Milan e per questo ha messo a punto insieme a Inzaghi e allo staff tecnico un programma per recuperare terreno in fretta: le sue sedute aumenteranno, come aumenteranno le ore trascorse alla Pinetina. Tutto il lavoro specifico che l’argentino porterà avanti in questi giorni sarà finalizzato a colmare il gap di condizione. Primo obiettivo, salire di livello già sabato a Udine e rompere il ghiaccio tornando a segnare. Il resto verrà da sé: dopo la trasferta in Friuli, l’Inter tornerà a giocare una gara dopo l’altra fino alla sosta di metà ottobre.

Gialli, condizione, gerarchie: cosa c’è dietro i tre cambi a centrocampo di Inzaghi

Per la prima volta l’allenatore ha cambiato la mediana chiudendo con Zielinski, Asllani e Frattesi. Ma non ha portato alla svolta

La vecchia regola è tornata d’attualità. “Sei ammonito? Allora ti cambio”. Inzaghi ragiona più o meno così, con questo dogma sviluppato durante gli anni della Lazio e continuato all’Inter attraverso sole e pioggia, cielo azzurro e burrasca. Nel derby è stato riproposto ancora: l’allenatore nerazzurro ha tolto dal campo Mkhitaryan e Calhanoglu, entrambi griffati di giallo, per far entrare Zielinski e Frattesi. L’unico rimasto in gara è stato Dimarco, ammonito a un pugno di minuti dal termine con tutti i cambi già effettuati. Il solito mantra, insomma.

Il cambio è stato giusto, soprattutto perché l’armeno – di solito impeccabile – si era fatto soffiare il pallone da Pulisic in occasione del vantaggio. Una gara da 5 senza appello, condita da un errore difensivo e da diversi appoggi sbagliati. Il turco invece, fulcro e faro del gioco, ha lasciato il campo imbronciato dopo un’ora. Anche lui in ritardo di condizione rispetto alla bella prova contro il Manchester City. Fin qui l’Inter si è vista sventolare cinque cartellini gialli: Mkhitaryan a Genova, Pavard a Monza, Dimarco, Calhanoglu e ancora Mkhitaryan contro il Milan. L’armeno è stato sostituito due volte, mentre i difensori sono stati ammoniti quando le sostituzioni erano già finite, il primo al 90′ e il secondo all’88’.

Per la prima da quando allena l’Inter l’allenatore nerazzurro ha sostituito tutti e tre i mediani. Nell’ultimo quarto d’ora i nerazzurri avevano Zielinski, Asllani e Frattesi. Un inedito. Un tentativo di dare una scossa che invece non è arrivata. Risultato scontato, infine: l’arrembaggio verso la porta di Maignan ha creato un vuoto a centrocampo colmato solo dai rossoneri. Da rivedere. L’ultimo appunto sono le gerarchie. Inzaghi ha sei mediani di livello, tre titolari e tre riserve, ma Zielinski e Frattesi hanno dimostrato di poter stare in mezzo agli altri nove.

Lautaro e Inter, che occasione: ora il Milan è spalle al muro.

È il derby dei due mondi. L’argentino campione d’America contro lo spagnolo re d’Europa. Una sfida nella sfida

Per l’Inter vale molto, per il Milan vale tutto. Alla quinta giornata, quando il campionato è ancora nella culla, il derby di Milano ha già motivazioni torride, soprattutto per il Milan che ha vinto una sola partita, contro il Venezia allora ultimo in classifica, ed è stato spianato dal Liverpool a San Siro nel debutto di Champions, mostrando una fragilità tattica, atletica e caratteriale sconcertante.

Alla testa dell’Inter, Lautaro Martinez che con 5 gol, uno in finale alla Colombia, ha guidato l’Argentina alla conquista della Coppa America. Alla testa del Milan, Alvaro Morata, che da capitano della Spagna, ha sollevato il trofeo di campione d’Europa. Il duello tra i due numero 9 senza il 9 sulla schiena (un 10 e un 7) è anche il summit tra due sovrani, affratellati da una bella estate, ma anche da un inizio di stagione sofferto. Rientrato tardi al lavoro, per gli impegni con la Nazionale, il Toro ha sofferto un infortunio che ha rallentato la preparazione. Non ha brillato nelle tre partite di campionato, soprattutto nell’ultima di Monza che ha convinto Inzaghi a escluderlo dagli undici di Manchester. Deve ancora trovare il primo gol stagionale. L’ultimo in campionato lo ha segnato il 10 maggio scorso a Frosinone. Per trovare quello precedente dobbiamo rinculare fino al 28 febbraio contro l’Atalanta. Significa che da marzo Lautaro ha segnato solo un gol. Facile intuire la voglia di sbloccarsi nel derby che è territorio amico: 8 reti segnate al Milan. Ma lo è anche per Morata che porta nel sangue le stracittadine: le ha vissute a Madrid, vestendo le maglie di Real e Atletico, poi ha conosciuto i derby di Torino e Londra con le casacche di Juve e Chelsea.

Morata, questa è strana: “Milan, ho visto due derby di nascosto. Voglio battere l’Inter”

Il nuovo attaccante rossonero racconta a Sky di essere stato due volte a San Siro in incognito: “Avevo cappellino e occhiali neri, non mi hanno riconosciuto”. E sul presente: “Ho davanti i 4-5 anni più importanti”. Col Venezia al massimo in panchina, può essere pronto per il Liverpool

Alvaro Morata in incognito, con occhiali scuri e cappellino, che entra a San Siro e va a vedere il derby. Non è spionaggio, è passione. Morata ha raccontato a Sky che quello del 22 settembre non sarà il suo primo Inter-Milan visto dal vivo: “Non vedo l’ora di giocare il derby. Adesso posso dirlo per la prima volta: sono venuto a San Siro per vedere un paio di derby da tifoso, con il mio cappellino e gli occhiali neri, nessuno si è reso conto di me. Volevo respirare quella atmosfera. Anche da fuori ti rendi conto di quanto valga questa partita, non vedo l’ora di provare l’esperienza di segnare in un derby e vincerlo, per fare sentire i milanisti orgogliosi”. Tra le storie della pausa, questa è una delle migliori.

La partita certo è complessa e Morata lo sa. Dopo l’esordio col Torino aveva rimproverato i compagni e, a due settimane dal derby, già prende l’evidenziatore e sottolinea l’impegno, il cuore, come prima caratteristica necessaria: “L’Inter è molto competitiva, ha una grande squadra, bisogna giocare con il cuore. Tecnicamente puoi anche sbagliare un passaggio o un’occasione, ma devi dare tutto, devi avere fame, questo non si può sbagliare”.

Inter, c’è ancora fame: è ossessione scudetto. La rosa è forte, ma occhio alla Juve

Ecco, sulle potenzialità dell’Inter non ci sono mai stati dubbi: quel gruppo indistruttibile che già ad aprile ha mandato la maglia in sartoria per aggiungere scudetto e stella ha attraversato il mercato indenne, senza cedere big, e ha accolto in casa nuovi campioni, logico immaginarlo in grado di ripetersi in cima al campionato. Il 2-0 dell’altra sera al Lecce, in un San Siro che ribolliva di passione come fossimo ancora alla scorsa primavera, ha fugato ogni dubbio: sì, questa Inter ha ancora fame.

E sì, questa Inter conserva un vantaggio che le altre non hanno: Inzaghi e i suoi conoscono bene la strada per arrivare lassù e restarci. Da qui si riparte, con le vecchie certezze ritrovate alla prima uscita interna – la solidità difensiva, lo spirito di sacrificio, la qualità a centrocampo e la spinta sugli esterni – e un paio di differenze che possono… alimentare l’ossessione per il bis scudetto. 

L’acquisto di Palacios, sbarcato ieri mattina dall’Argentina, ha aggiunto l’ultimo pezzo del puzzle al mercato dei campioni d’Italia. La rosa che Inzaghi maneggia, ora, è profonda e ricca di qualità: il presidente Marotta e il d.s. Ausilio l’hanno ritoccata sfogliando l’agenda, mai così fitta di impegni come in questa stagione, e allora anche il turnover cambierà significato: era una eventualità, diventa una necessità sostenibile. Ruotare gli uomini si può fare, e soprattutto si può fare ad alto livello. L’esempio corre per il campo con il 99 stampato sulla schiena: dopo aver partecipato alla costruzione del secondo gol di Thuram a Genova da subentrato, Taremi si è confermato uomo d’area di esperienza e qualità alla prima da titolare contro il Lecce. Lautaro è rimasto ai box, ma l’attacco nerazzurro non ha perso in pericolosità e l’Inter ha ricominciato a vincere. Zielinski è il prossimo della lista: «Sta bene, ha qualità, esperienza e ci darà una grande mano», ha garantito Inzaghi.

Inter, le contromosse di Inzaghi: fasce nuove, la testa, condizione e… Lautaro

Pavard, Dumfries e Carlos Augusto in rampa di lancio. E il tecnico, che chiede più attenzione e concentrazione, ha un piano per il capitano

La rabbia mica era sbollita, il giorno dopo. Ed è una buona notizia, perché è sinonimo di fame, di voglia di riscatto. Voglia di cancellare, di correggere, di raddrizzare qualcosa che è andato storto e che l’Inter si era piacevolmente abituata a vedere filare dritto. La palla ce l’ha Simone Inzaghi, che non ha nascosto pubblicamente e privatamente con la squadra la sua amarezza. Ed è chiaro che qualcosa di diverso contro il Lecce si vedrà, in tema di scelte, di condizione fisica e – spera l’allenatore – anche nella gestione di quei dettagli che a Genova sono andati tutti nella direzione opposta a quella sperata.

Le scelte, innanzitutto. C’è una settimana quasi piena di lavoro davanti e molto da decidere, da scegliere, da capire. Inzaghi non ha avuto risposte positive da alcuni big. Bastoni e Dimarco, per esempio, sono lontani dalla forma dello scorso campionato, forse più di quel che si immaginava. Al contrario. Carlos Augusto è stato uno dei più positivi dell’estate. E potrebbe avere maggiore spazio, al posto di uno dei due azzurri. Qui il discorso è filosofico: meglio dare spazio a chi è più in forma oppure dare minuti a chi deve guadagnarli per crescere di condizione? Un ragionamento, poi, Inzaghi lo farà anche sull’altra fascia. Dove Darmian può lasciare il posto a Dumfries. L’olandese ha necessità di migliorare, certo, ma garantisce all’Inter un maggiore peso offensivo. Sempre a destra, altro sorpasso da valutare: Pavard, con una settimana in più di lavoro sulle gambe, è pronto a riprendersi il posto di Bisseck, protagonista del fallo di mano che è costato il pareggio.

Inter, Lautaro torna prima: atteso per martedì, poi subito in campo

A Milano con due giorni di anticipo e col nuovo contratto fino al 2029: Taremi è infortunato e all’attacco di Inzaghi serve l’argentino titolare col Genoa

Giusto un attimo per capire che quello di Taremi era più di un dolorino e poi è partita la chiamata intercontinentale: tranquilla Inter, torno in anticipo.

Martedì, due giorni prima rispetto all’8 agosto segnato in rosso sul calendario come data di rientro ufficiale. Le vacanze da campione d’America di Lautaro Martinez si sono accorciate in contemporanea al guaio muscolare del collega iraniano: Mehdi avrebbe potuto prendere il suo posto alla prima di campionato col Genoa, ma dovrà pazientare un altro po’. Al Toro non è arrivata un’esplicita richiesta dall’alto, ma è stato lo stesso argentino a muoversi: arrivare 48 ore prima alla Pinetina aumenta la possibilità di entrare in forma presto perché dal 17 a Marassi inizia la difesa del tricolore. Quel giorno Lautaro dovrà piantare la bandierina al solito posto, nel mezzo dell’attacco di Inzaghi: titolare come sempre, più di sempre. E pazienza se, almeno in teoria, l’atterraggio in nerazzurro sarebbe dovuto essere più morbido degli altri anni, visto che la Coppa America è stata sbaciucchiata appena il 15 luglio. Accanto a lui Marcus Thuram per ricomporre subito quella strana creatura chiamata ThuLa, decisiva per salire sulla seconda stella. Al netto della beffa muscolare giusto prima del via, la tentazione Taremi sarà comunque forte in stagione, ma quei due riescono pure a respingere il vento caldo che soffia da Oriente. In fondo, si torna sempre alle vecchie certezze di attacco.