Serbowie i Chorwaci nie chcą kolorowych opasek kapitańskich. Nie wszyscy akceptują ich decyzję

Serbowie i Chorwaci nie zamierzają iść w ślady kilku reprezentacji, których kapitanowi podczas mistrzostw świata w Katarze będą nosili kolorowe opaski kapitańskie na znak wsparcia dla osób nieheteroseksualnych. Chorwaci wymyślili więc, co zrobią podczas mundialu.

Chorwacki Związek Piłki Nożnej podjął taką samą decyzję jak jego serbski odpowiednik. Postanowił, że kapitan nie będzie nosił opaski w kolorach tęczy na meczach podczas mundialu w Katarze. Jeśli jednak FIFA zatwierdzi możliwość noszenia opasek w niestandardowe wzory, to Chorwaci złożą wniosek o zgodę, by Luka Modrić miał na ramieniu opaskę w barwach chorwackiej flagi.

— Jeśli to możliwe, kapitan Chorwacji będzie nosił opaskę, która najlepiej symbolizuje wartości reprezentowane przez naszą drużynę narodową, jaką jest chorwacka flaga. Dla nas jest ona symbolem patriotyzmu, dumy, pasji, miłości do ojczyzny i rodziny, a wierzymy, że symbolizuje znacznie większą wartość niż jakakolwiek kampania – ogłosił HNS (chorwacka federacja).

W Katarze zabrania się podkreślania jakichkolwiek symboli społeczności LGBT, w Holandii ruszyła kampania “One Love”. Następnie pojawiła się propozycja, aby kapitanowie krajowych reprezentacji na mistrzostwach świata nosili opaski w kolorach tęczy, z 13 europejskich drużyn, które wystąpią w Katarze, pomysł ten poparły Francja, Niemcy, Szwajcaria, Anglia, Walia, Belgia i Dania.

Obok Serbów i Chorwatów z takiej możliwości zrezygnowali też Portugalczycy i Duńczycy, a kapitan Polaków będzie miał opaskę w barwach flagi Ukrainy.

Po zakończeniu meczu pomiędzy Norwegią a Serbią zawodnicy skandynawskiej reprezentacji dużo mówili o pozapiłkarskich sprawach, gdy krytykowali Serbski Związek Piłki Nożnej za brak dołączenia do inicjatywy wspierającej osoby nieheteroseksualne. Kapitan zespołu, Dusan Tadić nie założył kolorowej opaski na ramię.

Na ten temat jako pierwszy zabrał głos kapitan Norwegów Martin Odegaard, który uważa, że ​​jego wybór stanowił przykład innych.

— Myślę, że to szczególna rzecz, ale cieszę się, że jesteśmy zaangażowani w projekt. Cieszę się, że robimy to z innymi krajami i wysyłamy wiadomość – powiedział Odegard.

Milan, che fai senza Theo? Tentazione Dest, ma a Empoli è favorito Ballo-Touré

L’infortunio di Hernandez fa riflettere Pioli: il sostituto naturale è il senegalese (che intanto ha estimatori in Turchia), ma l’impiego dell’americano offre una doppia soluzione tattica

Ci vorrebbe Serginho, in una situazione così. Il “Concorde” sì che ci sapeva fare sulla fascia sinistra, dalla difesa fino all’altro lato del campo. Non essendoci più Serginho, chissà che a Empoli non tocchi a Sergiño, inteso come Dest: l’assenza di Theo Hernandez per infortunio potrebbe dargli una chance nel match del Castellani, fondamentale per un Milan che deve ripartire immediatamente dopo lo scivolone col Napoli. Al momento, però, Dest parte in seconda fila: il favorito per quel posto è ancora Fode Ballo-Touré.

Lo stiramento all’adduttore destro rimediato da Theo nell’ultima gara di campionato ha impedito al francese di giocare le due partite di Nations League della sua nazionale. In questi giorni, le condizioni di Hernandez verranno rivalutate e sarà diffuso verosimilmente un aggiornamento più preciso sui tempi di recupero. Lui, Theo, ha in mente Chelsea (più il match dell’11 ottobre che quello del 5) e Juve (8 ottobre). Intanto, Stefano Pioli è obbligato a fare a meno del suo numero 19, che aveva iniziato la stagione in grande spolvero.

Mancano ancora molti giorni alla ripresa del campionato, ma a oggi il candidato principale a partire titolare in Toscana è Ballo-Touré. Estromettere il senegalese senza avergli dato nemmeno una chance dal primo minuto sarebbe singolare, anche perché la sua presenza nel Milan si giustifica soprattutto per situazioni come questa, essendo l’unico vero “vice Theo” in rosa. A meno che non si consideri Ballo-Touré come probabile partente nel mercato di gennaio, e quindi sacrificabile: piace in Turchia, il Galatasaray ci pensa, il futuro è incerto.

Dest è un valido piano B. Lo statunitense deve lasciarsi alle spalle i 45 minuti da incubo vissuti col Napoli, che però è avversario di ben altro spessore rispetto all’Empoli. Pioli ha fiducia nelle sue qualità, pur sapendo che occorrerà del tempo prima che il 21enne di proprietà del Barça acquisisca ritmi e meccanismi di gioco da Milan. Dest in genere gioca a destra, ma può essere anche dirottato sul lato opposto. Come Kalulu, vero “all around” difensivo del Milan. E come Calabria: se fosse proprio il capitano a giocare a sinistra, Sergiño avrebbe modo di esibirsi nella sua posizione naturale.

Inter, perdere Skriniar a zero sarebbe folle. I motivi per cui il mercato è continua sofferenza

l club non ha accettato l’offerta estiva del Psg: una scelta che può costargli 30 milioni. E ora, dopo il mancato affare Dybala, il tifoso non sa più cosa aspettarsi

Il mercato dell’Inter è una sofferenza continua, e non da oggi. Il tifoso nerazzurro non sa mai cosa aspettarsi, quale novità possa andare a turbare la sua serenità: e stavolta chi è che parte, o che rischia di andarsene? La cronaca delle ultime due stagioni è ricca di addii eccellenti e di rinunce dolorose, da Lukaku ad Hakimi, da Perisic fino a Dybala e Bremer. Campioni venduti per esigenze di bilancio, grandi calciatori sedotti e abbandonati perché giudicati troppo costosi. Se finora la squadra è rimasta competitiva, e ancora adesso è una delle favorite nella corsa allo scudetto, lo deve soprattutto ad alcune intuizioni dei dirigenti. Marotta e Ausilio hanno pescato Dumfries a costo ridotto, preso Chalanoglu e Mkhitaryan a costo zero, riportato Romelu a Milano per una manciata di milioni (almeno per un anno). Ma la sensazione di insicurezza, di debolezza che accompagna il club ogni volta che deve sedersi al tavolo di una trattativa, quella è evidente e – alla lunga – inquietante. Forse anche per i calciatori.

Il nuovo/vecchio problema riguarda Skriniar, per il quale l’Inter ha rifiutato un’offerta di 55 milioni da parte del Psg nella sessione estiva del mercato. L’auspicio della società era quello di trattenere il difensore, rinnovandogli il contratto in scadenza a giugno 2023. Un azzardo, un rischio, su questo non c’è dubbio. Se il club nerazzurro dovesse accettare la proposta, la squadra di Inzaghi ne subirebbe inevitabilmente le conseguenze sul piano tecnico, perché rimpiazzare lo slovacco – nonostante le incertezze di questo avvio di stagione, forse dovute anche alle pressioni arrivate dal mercato – sarebbe impossibile.

Brozovic, parziale lesione muscolare: rischia un mese di stop

Il centrocampista croato si è sottoposto agli accertamenti dello staff della nazionale biancorossa, ma lo staff nerazzurro capirà meglio i tempi di recupero al suo ritorno a Milano. A serio rischio la doppia sfida con il Barcellona

Dopo diverse ore di ansia in casa Inter, da Zagabria arrivano gli esiti della risonanza a cui si è sottoposto Marcelo Brozovic dopo l’infortunio muscolare che ieri ha patito con la Croazia, nella trasferta vinta 3-1 in casa dell’Austria. Lo staff medico della nazionale biancorossa ha comunicato oggi l’esito degli accertamenti, poi da domani la palla passerà all’Inter. “La risonanza ha mostrato una parziale lesione muscolare. Buona fortuna per la guarigione!”. In attesa di ulteriori accertamenti dell’Inter, previsti da domani, la diagnosi sembra così avvicinarsi alle previsione anticipate dal selezionatore Zlatko Dalic, che aveva parlato di tre o quattro settimane di stop. Proprio sul sito della federazione croata, infatti, si parla di “diverse settimane di riposo” all’orizzonte per il calciatore.

A ogni modo l’Inter si riserva la possibilità di valutare in prima persona la prospettiva del rientro, con gli accertamenti che cominceranno già domani. Al di là delle tempistiche tecniche di recupero – ancora un’incognita -, va anche considerato che questo stop diventa anche un fattore anche la prospettiva del Mondiale in Qatar. Brozovic potrebbe ipoteticamente tornare disponibile nella seconda metà di ottobre, ma è probabile che lui stesso non abbia intenzione di accelerare i tempi con il rischio di mettere a repentaglio la Coppa del Mondo. Toccherà quindi a Simone Inzaghi trovare le contromisure in campo a questo sfortunato imprevisto.

La Nazionale verso l’Ungheria: Immobile non ci sarà

Dopo aver battuto l’Inghilterra, l’Italia si prepara alla sfida contro l’Ungheria. Ciro Immobile, che ha lasciato l’hotel Melia di Milano insieme alla squadra, ha deciso di non partire per Budapest e di tornare a Roma, in accordo con lo staff azzurro.

Ciro Immobile costretto a dare forfait per la trasferta di Budapest di lunedì, quando l’Italia del Ct Roberto Mancini si gioca la possibilità di chiudere il girone 3 al primo posto battendo l’Ungheria. L’attaccante della Lazio – indisponibile anche nel match vinto contro l’Inghilterra – nella mattinata di domenica si è sottoposto a Milano ad accertamenti clinici e strumentali che ne hanno confermato l’indisponibilità per la gara contro l’Ungheria.

mmobile ha comunque raggiunto con la squadra l’aeroporto di Malpensa, dove sul volo arrivato da Roma il gruppo si è riunito al Commissario tecnico Mancini, che ieri sera era rientrato nella capitale per poter votare questa mattina. Il Ct, pur apprezzando la disponibilità di Immobile, constatato quanto emerso dagli accertamenti strumentali, ha scelto di lasciar tornare il centravanti azzurro – che inizialmente era certo di partire con i compagni per Budapest – al proprio club di appartenenza, per proseguire le cure del caso. Una decisione presa in extremis ma di comune accordo tra lo staff medico della Nazionale e quello Lazio, così da evitare di far correre rischi all’attaccante.

Ranocchia lascia il calcio: “Si è spento qualcosa, non ho più la passione”

In un lungo video su Instagram il difensore spiega la rescissione consensuale con il Monza: “Non volevo prendere in giro nessuno, non ho più niente da dare in questo momento”

Endgame. Questo l’unico commento al lungo video con cui Andrea Ranocchia sui suoi social ha deciso di annunciare il ritiro. Dopo la risoluzione consensuale con il Monza, il difensore – 34 anni – ha infatti fatto sapere di aver deciso di dire addio al calcio per motivi personali.

Il mio ultimo anno e mezzo non è stato facilissimo – dice nel video dalla sua Bastia Umbra -, piano piano anche la passione che ho sempre provato per questo gioco è venuta meno. A maggio dell’anno scorso, quando ero ancora all’Inter, sentivo che qualcosa non mi tornava ma non capivo cosa fosse. Con il club abbiamo deciso di separarci perché volevo trovare nuovi stimoli e nuove emozioni e ho avuto la fortuna di trovare il Monza che mi ha dato un’opportunità e grande fiducia, offrendomi un ottimo contratto e la possibilità di rimettermi in gioco e di capire cosa mi stesse succedendo. Purtroppo all’inizio della stagione le sensazioni non erano migliorate e andando avanti è come se mi si fosse spento un interruttore, non c’era più passione. All’inizio non volevo accettarlo, sono andato avanti con impegno, ma sentivo che non c’era più niente dentro di me. Poi c’è stato questo brutto infortunio a Napoli che mi avrebbe tenuto lontano per mesi: senza la passione e la determinazione necessarie per tornare ho ritenuto giusto non prendere in giro nessuno, a partire da me stesso. Ho sentito Galliani e gli ho espresso il mio malessere e la mia decisione, lui ha capito e ci siamo lasciati da amici e con grande rispetto. Non ho più niente da dare in questo momento. Adesso mi prendo un po’ di tempo per rimettere in ordine tutte queste emozioni e i miei pensieri per il futuro. Non credo proprio che tornerò a giocare a calcio, non è quello che voglio”.

Fiducia a tempo? Ottobre amico: Juve, le partite per rimettere in piedi la stagione

Alla ripresa, di fronte un mese in cui il Milan è l’unica squadra in lotta scudetto sul cammino bianconero. In mezzo all’urgenza di provare a rimettersi in corsa in Champions

Fiducia a tempo, ha sancito la telefonata di Agnelli ad Allegri all’indomani del naufragio di Monza. Tempo significa partite, da capire quante: il quante dipenderà dal come ma un nuovo check point è evidentemente la sosta per il Mondiale di novembre. Da qui ad allora la Juventus è attesa da 12 partite in 40 giorni circa di apnea. Un calendario che per la Signora nei suoi abiti, quelli disegnati sulla carta, permetterebbe di considerare ancora la stagione aperta.

Già, sulla carta, perché la realtà dei fatti dice che fin qui la Juventus ha buttato via l’assist di un calendario di inizio stagione alla portata. In parte per le avversarie, perché Samp e Monza (1 punto in due partite!) sono due delle ultime tre squadre in classifica, Spezia e Salernitana erano a loro volta partite con l’obiettivo salvezza e le partite sulla carta più impegnative dovevano essere quelle con la classe media di Fiorentina e Sassuolo col picco di difficoltà della Roma (attualmente sesta). Per cui ogni disquisizione sulla difficoltà dei prossimi impegni vale fino a un certo punto, ma è oggettivo che in campionato nel mese di ottobre l’unica pretendente allo scudetto da sfidare è il Milan, sabato 8 a San Siro, in mezzo alle partite con Bologna, Torino, Empoli e Lecce fino a fine mese. Una sequenza che, con un paio di scogli sicuramente più a rischio, in altri tempi sarebbe sembrata amica per una risalita.

Immobile: “Avevo pensato di lasciare la Nazionale. Ma finché ci sarà bisogno di me, io ci sarò”

Il centravanti azzurro dal ritiro di Coverciano: “Sono l’attaccante della non qualificazione al Mondiale, non quello della Nazionale che ha vinto l’Europeo”

Sognare si può, anzi si deve, ha sempre detto. E Ciro Immobile, ad anni 32, ha sogni alti: giocare il prossimo Mondiale con l’Italia e vincere lo scudetto con la Lazio.

“Nella mia carriera non mi sono mai dato limiti: sono state fiducia e positività a farmi andare oltre le mie qualità tecniche”. Se la Lazio dovesse vincere lo scudetto andrebbe molto oltre, “e infatti da capitano non posso mettermi a urlare nello spogliatoio “Vinciamo lo scudetto” e non lo sto facendo. Però è quello il mio pensiero fisso a ogni inizio ritiro. Mi piace poter raggiungere il massimo, siamo una squadra in crescita, se poi arriva la Champions non ci resto male. Siamo partiti bene, facendo errori in Europa e perdendo male due punti a Genova, però abbiamo raggiunto un buon equilibrio in difesa, come dicono i numeri, ed è quello che ci chiedeva Sarri. Segniamo meno, ma abbiamo più punti dell’anno scorso con la difesa messa a posto. Ora dobbiamo mettere a posto l’Europa League dopo l’ultima figuraccia”.

La Lazio è sempre stata la sua comfort zone, un regno conquistato e governato a forza di gol, tanti, ogni anno. Il contrario di quello che gli succede in Nazionale, “e me lo chiedo quasi ogni giorno: perché con la maglia azzurra io segno meno? Forse alla Lazio ho più margini d’errore, qui c’è più pressione e strafare a volte ti porta a fare cavolate. Certo che fa rosicare: ho vinto quattro volte la classifica marcatori e qui faccio fatica”. Fa rosicare e anche pensare, e Immobile non ha problemi ad ammetterlo: ha pensato seriamente di lasciare la Nazionale. Per due motivi, sostanzialmente. Il primo: “La delusione per la mancata qualificazione al Mondiale mi ha fatto venire molti dubbi, poi tornando a giocare con la Lazio piano piano mi sono reso conto di avere ancora qualcosa da dare a questa maglia: rappresenta tutto per chi gioca a calcio e deve essere così per chi vuole fare questo mestiere. Finché ci sarà bisogno di me, io ci sarò: mi sento un leader nello spogliatoio e soprattutto mi sento in dovere di dare qualcosa al gruppo, dentro e fuori dal campo. E anche se l’età avanza, se sto come adesso potrò dare ancora qualcosa, anche nel 2026. È uno degli obiettivi che mi sono posto”. Mancini, dice Immobile, non ha avuto bisogno di insistere più di tanto per toglierli ogni incertezza: “Credo non abbia mai avuto il dubbio che potessi davvero lasciare. Sono state più importanti le mie riflessioni, fatte assieme alla mia famiglia”.

Il vero Lukaku è la luce in fondo al tunnel: da oggi torna in campo

Dalla prossima settimana lavorerà con la squadra. Senza il gigante belga i nerazzurri hanno perso leadership

Non basterà Romelu, anche se grande e grosso com’è, a fermare da solo il vento che soffia sull’Inter.

Non potrà mai Lukaku in solitudine risollevare da terra una squadra che è piena di problemi dalla testa ai piedi: per risolverli serve uno sforzo collettivo, non la bacchetta magica di un singolo. Ma il rientro del belga nelle sue terre, l’1 ottobre contro la Roma a San Siro, dà comunque un nuovo senso alla ripartenza interista: anche se non vincerà le partite da solo, è il numero 90 la luce da seguire per uscire fuori dal tunnel. Tra l’altro, la squadra stava iniziando a essere disegnata sul centravantone, come un compasso tutto pareva destinato a girare attorno a lui. Romelu era stato ripreso con uno spericolato prestito dal Chelsea per ridare all’attacco una forza sconosciuta l’anno prima. Inzaghi era semplicemente entusiasta all’idea di allenarlo e stava iniziando a usare a modo suo la palla di demolizione per buttar giù le difese avversarie. Il guaio al flessore della coscia sinistra, però, ha completamente cambiato il progetto di inserimento. Si è perso un mese prezioso che sarebbe stato utilizzato per portarlo al top della forma. Adesso si riparte da zero con l’obiettivo di fare più in fretta del previsto perché nel mentre il calendario si è messo a correre, come tante in Italia e in Champions.

Lukaku ha segnato al primo pallone salentino, nell’esordio della sua seconda vita da interista. Poi ha governato senza sussulti la partita contro lo Spezia, la più tenere finora, mentre le terza e ultima presenza l’ha fatta contro la Lazio, nella sconfitta in cui si sono sentiti i primi sinistri scricchiolii. Quando è uscito lui, la squadra si è abbassata e consegnata a Sarri fino alla giusta sconfitta finale. Il giorno dopo Rom si è fatto male e da lì in avanti il tracollo di risultati e gioco è arrivato con lui come semplice spettatore: mentre guariva un po’ alla volta dall’infortunio, vedeva la sua Inter regredire pericolosamente.

Juve, Allegri in discussione: spunta l’idea Montero

La sconfitta col Monza ha indebolito la posizione dell’allenatore: per Arrivabene il cambio di guida tecnica sarebbe una follia, ma nel caso spunta una soluzione interna.

Maurizio Arrivabene ha associato alla “follia” l’idea di un esonero di Max Allegri a questo punto della stagione. Ma certo né lui né i tifosi avrebbero immaginato un crollo della Juve così evidente a Monza, in un contesto quasi ideale per riscattare la brutta serata di Champions contro il Benfica. L’ultima sconfitta (la prima in Serie A, la terza stagionale) allontana la squadra dalla vetta (di 7 punti) e – dopo sette partite – regge in negativo (-1) il confronto con il campionato scorso, in cui la falsa partenza finì per pesare nella corsa scudetto. Tutto ciò indebolisce ulteriormente la posizione del tecnico.

Le ultime riflessioni sulla condizione fisica della squadra, che dura a certi ritmi non più di venti minuti a partita e poi crolla, oltre ad aver contato già numerosi infortuni muscolari (undici, in due mesi), consegnano una maggiore centralità nella gestione a Giovanni Andreini, un ex collaboratore di Roberto Donadoni che è stato ingaggiato dal club la scorsa estate per supervisionare il lavoro atletico e dell’intero settore performance. Max Allegri per adesso non è in discussione, ma non è più intoccabile. Il tema esonero, insomma, resta sullo sfondo e potenzialmente attuale in assenza di una svolta che possa rimettere la Juve in corsa su tutti i fronti. Certo, sostenere un allontanamento dell’allenatore significherebbe affrontare un’altra spesa non prevista, in una fase in cui la Juve sta cercando di far quadrare i conti e rendere più sostenibile il proprio progetto.

La soluzione interna, che porta dritta al nome di Paolo Montero, resterebbe insomma la più realistica ma anche credibile. Per il suo senso di appartenenza al club (aspetto che pare stia venendo a mancare un po’ troppo – alla squadra – nelle ultime settimane) e, di conseguenza, per come lo accoglierebbero i tifosi in questo momento di crisi. L’ambiente Juve in questo momento vuole riconoscersi, ha fame di quella identità che l’ha sempre contraddistinta di fronte alle difficoltà. L’ex difensore, ora alla guida della formazione Primavera, viene riconosciuto come uno degli uomini Juve più rappresentativi del Dna bianconero. Ma resta pur sempre un’ipotesi d’emergenza, da attuare eventualmente più avanti: significherebbe, insomma, non trovare più soluzioni ai problemi, e aver compromesso ulteriormente la stagione.