Il Milan è andato a vedere due stelline dell’Olympiacos. Chi sono e quanto costano

Un osservatore rossonero era presente alla partita di Europa League contro il Bodo Glimt e segue i greci da vicino: nel mirino Mouzakitis, un centrocampista del 2006, e Kostoulas, centravanti del 2007. Per entrambi c’è concorrenza, ma…

Che faceva uno scout del Milan a Olympiacos-Bodo Glimt di Europa League? La domanda rimbalza dal Partenone al Duomo e una risposta c’è: il Milan segue i due giovani più interessanti dell’Olympiacos, Christos Mouzakitis e Charalampos Kostoulas. Sono due dei giocatori chiave della squadra che un anno fa ha battuto il Milan di Ignazio Abate in finale di Youth League.

Mouzakitis è un centrocampista mancino nato il giorno di Natale del 2006. Ha tecnica e visione di gioco, con una faccia tonda da bambino che nasconde un giovane uomo senza paura di giocare con gli adulti. In stagione ha già 30 presenze in prima squadra (e il campionato greco non è così semplice), mentre in Europa League è stato titolare contro Porto, Braga, Rangers e altri. Quel giorno di aprile 2024, contro il Milan, segnò il primo gol.

Kostoulas è un attaccante centrale del 2007 che calcia bene con il destro e gioca con una certa eleganza. Dicono somigli a Batistuta – lo chiamano Babis, da cui il nomignolo Babistuta – ma sembra più della famiglia dei Firmino, degli Schick: attaccanti eleganti, che possono giocare anche in altre zone d’attacco. Attivo, energico, grintoso, ha sempre giocato con ragazzi di due-tre anni più grandi ed è stato il più giovane di sempre in campo e in gol a livello pro con l’Olympiacos. Non ha ancora compiuto 18 anni e ha già segnato 6 gol nel campionato greco e giocato 8 volte in Europa League. La settimana scorsa, contro il Bodo, non era disponibile ma il Milan ha preso abbondanti appunti già nei mesi scorsi.

Prendibili? Non semplice. L’Olympiacos ha tutta l’aria di voler costruire su di loro il mercato in uscita dei prossimi anni e in Grecia si parla di valutazioni da 20 milioni. Molte squadre europee li seguono da vicino e in Inghilterra sono stati spesi articoli per Arsenal, Aston Villa e altre squadre con potere di spesa XL.

Nico fischiato, Vlahovic umiliato e sfottuto: Firenze non perdona

Accoglienza dura per due ex che, anche per colpe non loro, non hanno fatto nulla per farsi rimpiangere

Quella di Fiorentina-Juventus 3-0 è una serata da dimenticare per il mondo che fa il tifo per la Signora, ma probabilmente per Nico Gonzalez e Vlahovic di più. Sono loro i calciatori che escono peggio degli altri dal naufragio in bianco e nero di una squadra che al Franchi ha confermato le lacune dello Stadium contro l’Atalanta aggravando in un colpo solo la posizione in classifica e la situazione di Thiago Motta in panchina.

Ai fischi erano preparati entrambi: Dusan Vlahovic non era la prima volta che tornava a Firenze da avversario e l’argentino poteva facilmente immaginare un’accoglienza non proprio col tappeto rosso. Ma in un ambiente del genere, con bordate di fischi assordanti a ogni tocco di palla (e, ricordiamo, il Franchi è ancora a mezzo servizio per i lavori di restyling), un giocatore già in difficoltà, e che veniva da mesi di partite al di sotto delle aspettative, era complicato potesse dare il suo meglio. E infatti per lui Fiorentina-Juve è stata tutto tranne che la partita della svolta. Anzi, c’è chi si chiede come si possa riabilitare un attaccante crollato così da un club a un altro, e se sia possibile rivederlo ai suoi livelli viola.

Lui non è un valore aggiunto per la Juve, che l’estate scorsa ha speso 33 milioni per strapparlo proprio ai rivali fiorentini, e la Juventus non sembra essere la dimensione adatta a lui. Riflessioni che rischiano di alimentare le perplessità su una sua permanenza a Torino, al di là dell’investimento grosso e del fatto che non sia proprio questa una delle priorità di cui discutere in casa Juve. Mentre il momento di pensare a una Signora senza Vlahovic, di contro, si avvicina sempre più. Il suo Fiorentina-Juve ha assunto i tratti di un congedo quasi umiliante secondo chi prende le difese del giocatore più costoso, più pagato e allo stesso tempo meno considerato della attuale rosa juventina. Dusan è rimasto in panchina per tutti e 90 i minuti di gara, si è alzato per andarsi a scaldare mentre i suoi ex tifosi inveivano contro di lui (da appurare l’eventuale natura razzista di alcuni improperi) e ha sentito il suo nome nel ritornello di cori di scherno che hanno reso ancora più amara una partita che non ha nemmeno potuto giocare.

Juve, l’incompiuta: panchine girevoli con zero scudetti. E alle porte una nuova rivoluzione

Motta non è più al sicuro: il club rischia ancora una volta di ricominciare daccapo

Un lustro senza lustro: gli ultimi cinque anni saranno archiviati dalla Juve con il timbro “zero scudetti”. I campionati a stecchetto arrivano dopo il periodo di tirannia bianconera in Italia, con i nove titoli di fila. Il digiuno dopo l’abbuffata: non è la prima volta che accade alla Signora. Nel Dopoguerra, basta ricordare le carestie senza tricolori dal 1986 al 1995 e dal 2003 al 2012: i precedenti esistono, però non possono funzionare come consolazione. Con Thiago Motta in panchina, sono arrivate a stretto giro le eliminazioni in Champions League con il Psv e in Coppa Italia con l’Empoli, non proprio due corazzate. Poi la disfatta con l’Atalanta in campionato. Il termine “annata fallimentare” può sembrare cattivello, ma soltanto per il fatto che la Juve adesso in A occupa il quarto posto. A Motta non si chiedeva la conquista dello scudetto a tutti i costi, anche se gli è stato consegnato un organico rinforzato con Koopmeiners, costato 51,3 milioni, Douglas Luiz, 50, e Nico Gonzalez, 33.

I tre colpi finora hanno deluso, non soltanto se si considerano i loro prezzi d’acquisto, ma in termini assoluti. Non banali nemmeno gli investimenti da doppia cifra su Khephren Thuram (20 milioni), Di Gregorio (18), Cabal (11), più gli innesti invernali Kelly (17,5) e Alberto Costa (12,5). Una campagna che per ora ha prodotto un quarto posto a 52 punti, nemmeno tanto blindato, con la Lazio a quota 51 e il Bologna a 50. Motta avrebbe tra le attenuanti il ko a inizio stagione del totem Bremer, ma fa bene a non citarlo. Il quinquennio di latta sta per concludersi, Thiago vacilla: è probabile che per restare non gli basti nemmeno il pass per la Champions. Rispuntano inesorabili i candidati alla successione: stavolta la rosa è formata da Gasperini, Conte e Pioli. Il tratto comune è che sono tutti, in epoche diverse, ex bianconeri. Si tornerebbe sul luogo del misfatto: altro cambio di guida tecnica. 

Tre difensori da schierare al fantacalcio nella 29ª giornata

I tre giocatori consigliati per la difesa in questo turno di Fantacampionato

Archiviati gli impegni infrasettimanali con le coppe europee, la Serie A è pronta a ripartire con la 29ª giornata. Ad aprire le danze del Fantacampionato Gazzetta saranno Genoa e Lecce, impegnate nell’anticipo del venerdì sera. Per i fantallenatori, quindi, si avvicina il momento della formazione. Dopo aver analizzato i migliori portieri, i migliori centrocampisti e migliori attaccanti da schierare, ecco i tre difensori consigliati per questo turno.

Alessandro Bastoni è uno degli uomini simbolo dell’Inter di Simone Inzaghi. Il difensore italiano sta disputando un’altra stagione di grande livello, confermandosi uno dei migliori interpreti del suo ruolo nel panorama europeo. I nerazzurri nel prossimo turno saranno impegnati nello scontro scudetto contro l’Atalanta. La squadra di Gasperini arriverà galvanizzata dal trionfo dell’Allianz Stadium, in cui ha messo in mostra il suo grande potenziale offensivo. Bastoni ha però più volte dimostrato di essere in grado di gestire anche gli avversari più ingombranti, come fatto per esempio a Napoli, in cui si è reso protagonista di una prestazione solidissima, che gli ha permesso di portare a casa un 7. Per chi volesse puntare su di lui, la sua quotazione è di 48 crediti. 

Johan Vasquez è reduce da sette sufficienze al Fantacampionato consecutive. In questa serie di partite, il difensore del Genoa ha anche segnato due gol. Il messicano rappresenta dunque una sicurezza per Patrick Vieira, allenatore che fa della solidità difensiva uno dei suoi punti di forza della sua squadra. I rossoblù, che hanno vinto una sola delle ultime cinque partite, ospiteranno nel prossimo turno il Lecce. La squadra di Giampaolo, reduce dalla rimonta subita contro il Milan, ha il peggior attacco del campionato, con appena 20 gol segnati. Dato lo stato di forma di Vasquez, il consiglio è quello di puntare su di lui nella prossima giornata al fantacalcio, soprattutto in ottica modificatore. La sua quotazione al Fantacampionato Gazzetta è di 31 crediti. 

Ci sono buone notizie per l’Inter: anche il Real Madrid è “giocabile”

Contro l’Atletico, i nuovi galattici di Ancelotti sono passati per l’inezia di un rigore. Con la nuova formula del torneo non ci sono favoritissime

Il Real Madrid ai quarti di Champions, ma per l’inezia di un rigore e forse meritava di più l’Atletico Madrid di Diego Simeone, bravo a declassare la dominanza tecnica dei bianchi, a far scendere di livello Mbappé, Bellingham e compagnia lussureggiante, ad annullare il 2-1 dell’andata al Bernabeu e a trascinare gli arci-nemici fino ai rigori. C’erano stati segnali di una certa difficoltà, il Real era finito undicesimo nel mischione della classifica unica, piazzamento imbarazzante per la squadra che ha in pancia Bellingham, Vinicius e Mbappé.

Lo spareggio vinto contro il City – un errore considerarla una finale anticipata, era un dentro o fuori tra due grandi in difficoltà – aveva illuso il Real Madrid sulla riconquista del potere assoluto. L’Atletico dei “tupamaros” di Diego Simeone è quasi riuscito nel golpe. Non ci sono mammasantissima nella nuova Champions extra-large e questa per l’Inter è una buona notizia. Non è detto che una qualificazione tanto risicata liberi il Real dalle difficoltà e ne spiani il cammino in Champions. L’Atletico ha umanizzato il Madrid dei nuovi galattici. Sono “giocabili”, è questo il messaggio. 

Ce l’hanno fatta Arsenal e Aston Villa, Real Madrid e Barcellona, Bayern Monaco e Borussia Dortmund, Inter e Paris Saint Germain. Delle prime otto della classifica unica, delle magnifiche otto qualificate agli ottavi senza passare per i playoff, ne sono rimaste quattro: Barcellona, Arsenal, Inter e Aston Villa, dimostrazione di come le 8 partite tra settembre e gennaio abbiano espresso una verità modificabile, per niente assoluta. La scure degli ottavi si è abbattuta sul Liverpool capolista pigliatutto della prima fase, sette vittorie su otto. Il Liverpool sembrava inarrestabile, lanciatissimo verso il “double” Premier League-Champions, ma si è infranto ad Anfield sui guantoni di Gigio Donnarumma, portiere del Psg. Il Manchester City, sconfitto dal Real agli spareggi, è l’altra grande inglese mancante.

Non solo gli “ex” Pavard e Sommer, mezza squadra ha giocato in Germania: Bayern, l’Inter ti conosce

Tra ex bavaresi e giocatori passati per la Bundesliga, tanti degli attuali protagonisti nerazzurri conoscono bene la squadra di Kompany

Yann Sommer e Benjamin Pavard hanno vissuto a lungo proprio lì, in quell’Allianz Arena dove tra meno di un mese l’Inter si giocherà l’andata dei quarti di finale di Champions League contro il Bayern Monaco. Tanti altri degli attuali protagonisti nerazzurri, invece, il Bayern lo conoscono da avversari: Martinez, Bisseck, Calhanoglu. Poi Mkhitaryan, Arnautovic, Thuram. La lista è lunga. Qualcuno ha colpito, altri sono rimasti colpiti.

Oggi la squadra di Kompany ha rotto col passato ritrovando quella compattezza leggermente persa nelle ultime stagioni, ma il filo che lega i bavaresi all’Inter è ancora forte. Non solo per l’ultimo precedente che riporta i tifosi indietro di quattordici anni (il 3-2 firmato da Pandev all’ultimo secondo degli ottavi nel marzo del 2011), ma anche – appunto – per i membri attuali della rosa di Inzaghi.

Acquistandoli nell’estate del 2023, l’Inter aveva mandato un segnale molto forte. Anzi, due. Perché in una ventina di giorni ad agosto di due anni fa la dirigenza nerazzurra chiuse il doppio colpo: prima Sommer, al termine di un lungo tira e molla con i vertici bavaresi (che alla fine ottennero ciò che volevano), poi Pavard. Una trattativa altrettanto estenuante per uno degli investimenti più pesanti degli ultimi anni in casa Inter. Sommer in Germania ha vinto un solo campionato, più ricco è il palmares di Pavard: 4 Bundesliga, una coppa di Germania, 2 Supercoppe nazionali, poi una Champions, il Mondiale per Club e una Supercoppa Uefa. Ma entrambi hanno conosciuto direttamente mentalità, metodo e storia del Bayern. Ed entrambi, sempre due anni fa, spinsero con forza per approdare a Milano. Chissà che non possa rappresentare un buon presagio, che Yann e “Benji l’interista” non ci avessero visto lungo già tempo fa.

Juve, devi decidere presto su Motta (al di là della Champions)

L’umiliazione contro l’Atalanta, i dissidi con i giocatori, la confusione tattica… Con il Mondiale alle porte la Juve deve esprimersi sul tecnico.

Non è questione di un 4-0 più o meno umiliante, sebbene sconfitte così lascino una cicatrice che non se ne va più. È che il re è definitivamente nudo. Se anche fosse finita con un risultato meno avvilente, contro l’Atalanta si vedrebbe che la Juve ancora una volta non sa cosa fare se ha la palla, e se la palla ce l’hanno gli altri si difende con grinta ma poca strategia e senza personalità. I problemi intravisti a settembre, dopo l’illusoria partenza veloce, sono rimasti gli stessi, anzi si sono radicati, allontanando la soluzione. Pensavamo che il tempo sarebbe stato un alleato di Motta, perché il suo calcio cerebrale è di tempo che ha bisogno. Ma dopo Psv, Empoli e Atalanta, le tre gare fallite che avrebbero dato un senso a tre tornei, il discorso cambia. Insinuando il dubbio che il Motta del Bologna fosse un’allucinazione collettiva. 

Non può essere così: una stagione da Champions come l’ultima non può essere cancellata, ma la vecchia regola per cui le maglie hanno paesi diversi, e quella della Juve è heavy metal, si adatta anche ai tecnici. Dire che non è da Juve licenziare l’allenatore a metà stagione è una frase fuori dal tempo, più che altro non esiste alternativa credibile, altrimenti chissà. Le dinamiche sono diverse: fino agli Anni 90 una stagione si poteva “perdere”, ma oggi è impossibile non calcolare gli effetti sul bilancio, vero regolatore delle scelte. La Juve è in una situazione complicata con il fair play finanziario, da CR7 in poi è in deficit, ha ricapitalizzato più volte ma ora ha bisogno dei milioni Champions. Non qualificarsi per la prossima stagione, dopo aver interrotto questa contro il Psv già sconfitto due volte, sarebbe grave: non potendo spendere, il ridimensionamento tecnico sarebbe inevitabile. 

Cosa fare allora con Motta? Anche un quarto posto — lasciamo stare il quinto, salvo harakiri spagnolo — forse non sarà sufficiente. Non deciderà soltanto la classifica: meglio non dimenticare che Allegri e Sarri sono andati via da campioni. Per la nuova Juve vincere non è più tutto. Questione di rapporti, di essere “da” Juve.

Inoffensiva e piena di errori: i numeri (horror) del tracollo della Juve contro l’Atalanta

La miglior difesa del campionato si è sbriciolata così sotto i colpi del miglior attacco

Due tiri in porta (solo nel compromesso finale), una serie di errori tecnici che hanno originato la metà dei gol avversari (7 giocatori juventini sono andati in doppia cifra di palle perse) e una produzione offensiva praticamente inesistente. In due parole, una pochezza disarmante.

Il risultato di Juve-Atalanta, pur pesantissimo e storico (nessuno aveva mai vinto con 4 gol di scarto all’Allianz Stadium e i bianconeri non uscivano battuti per 0-4 in casa dal 1967), è la fotografia soltanto parziale di quello che si è visto sul campo. Se non ci fosse stato il palo e una miracolosa parata di Di Gregorio al primo minuto di recupero del primo tempo, lo score per la squadra di Gasperini sarebbe stato ancora più ampio. Mentre Carnesecchi non si è quasi nemmeno dovuto sporcare i guanti.

Rispetto a due mesi fa, quando le due squadre si erano affrontate al Gewiss Stadium, i Juve hanno deciso di non lasciare il pallino del gioco agli avversari, ma di provare a fare la partita. Per la Juve, però, che pure veniva da 5 vittorie consecutive, è parso un bruschissimo ritorno alle origini. Sembrava di rivedere le gare di inizio campionato contro Roma, Empoli o Napoli (tutte finite 0-0), quando la squadra di Motta teneva moltissimo il possesso palla, ma non riusciva mai a rendersi pericolosa. La differenza, però, è che stavolta di fronte c’era una squadra spietata. E che la miglior difesa del campionato si è sbriciolata sotto i colpi del miglior attacco. Ma, soprattutto, che la Juve più verticale che Motta ha plasmato da febbraio, ha molto meno equilibrio di un tempo: se prima pareggiava troppe partite (17 nelle prime 30 gare stagionali), questa non conosce mezze misure. Alla fine, dunque, la Juve avrà tenuto quasi il doppio del tempo il pallone rispetto all’Atalanta (63,3% contro 36,7%), ma senza nessuna utilità: appena 2 i tiri in porta contro i 9 degli avversari, divario che diminuisce un po’ nelle dimensioni se si considerano le conclusioni totali (9 juventine contro le 19 atalantine).

Torino, Adams torna al gol e rilancia: “La doppia cifra è il mio obiettivo”

Ottava gioia per lo scozzese: “Sto segnando con continuità, nella squadra sono stati fatti degli innesti importanti”

Otto volte Adams. E fin quasi all’ultimo soffio, fino a quegli ultimi otto sfortunatissimi minuti, l’ottava volta stava per regalare una vittoria ai granata. Il Toro che ritorna da Parma con l’amaro in bocca per un successo sfumato nel finale ritrova il suo attaccante principe. Si era preso una piccolissima pausa, il Che granata, perché non segnava dal 24 gennaio. All’epoca aveva piazzato la doppietta che mise al tappeto il Cagliari. Ieri con una bella botta nel cuore della ripresa è tornato a spalancare il gas proprio lungo la via Emilia, la terra dei motori. Per lui sono otto gol in campionato, bottino al quale va aggiunto il centro in Coppa Italia. La doppia cifra è a un passo, traguardo pregevole per un attaccante al suo primo anno nel calcio italiano.

Mentre parla spunta il sorriso, poi di tanto in tanto il volto si incupisce. “Perché, d’accordo, sono felice per essere tornato a segnare, ma mi dispiace tantissimo che non siamo riusciti a vincere questa partita. Volevamo vincere. Peccato non esserci riusciti”. Prima della partita, ci sono i numeri. Otto gol in campionato nel primo anno “italiano” raccontano tante cose. “Guardate, il mio obiettivo è arrivare in doppia cifra – racconta, mentre accenna un bilancio della sua stagione -: per essere stata la mia prima annata in Italia mi ritengo soddisfatto e sono molto felice. Sto segnando con una certa continuità, questo è molto buono. Però, devo ammettere che la Serie A è più difficile di quanto pensassi: è molto più dura sul piano tattico e difensivo”.

A proposito di numeri, ieri Adams ha timbrato la sua centocinquantesima presenza in carriera tra i cinque principali campionati europei. C’è chi gli fa notare come il suo record di gol in una stagione sia ormai molto vicino, lui risponde: “Non è lontano, devo ancora segnare tanto di più ma mi sto avvicinando”. In realtà, il primato personale di gol in un campionato dista soltanto una rete: il suo record è di nove gol in Premier League con il Southampton nella stagione 2020- 2021.

Roma e Lazio, due vittorie d’oro. E anche il ranking sorride

Bel gioco dei giallorossi, biancocelesti di carattere. Shomurodov e Isaksen super

Il calcio è davvero un mistero straordinario e bellissimo. Perché quasi in contemporanea, alla fine di due storie però molto diverse, Roma e Lazio hanno brindato al successo europeo, mandando al tappeto Athletic Bilbao e Viktoria Plzen. La copertina va a Shomurodov e Isaksen, con le loro prodezze che servono anche in chiave ranking per il calcio italiano. Vale doppio, anzi, la vittoria della Roma, arrivata contro gli spagnoli, che rappresentano il nostro primo avversario a livello internazionale. E se l’acuto è arrivato proprio sul filo di lana, non bisogna assolutamente pensare – nel caso della Roma – a un regalo inaspettato quanto gradito. No, la Roma ha meritato e avrebbe meritato anche molto prima di chiudere il conto, giocando meglio del gruppo di Valverde e creando una serie infinita di occasioni.

Una grande opportunità per Dovbyk, una traversa di Dybala: il primo tempo se n’era andato con il rimpianto di non aver ottenuto il giusto. E la rete dell’altro Williams, il fratello maggiore, aveva il gusto e il sapore di una beffa. Anche perché, dall’altra parte, Celik era riuscito a chiudere ogni spazio al giovane Nico. Confermando la bravura del pilota ad ottenere sempre il massimo da ogni singolo calciatore, anche da quelli meno reclamizzati. La Roma – colpita a freddo – ha confermato di essere squadra, di avere qualità tecniche, di avere quell’orgoglio che le ha trasmesso Ranieri, continuando nella sua partita coraggiosa ed elettrica. È andato vicino al gol Baldanzi, poi ci ha pensato Angelino a rimettere in equilibrio il risultato, continuando a macinare gioco ed occasioni. Ma nulla si sarebbe compiuto senza il tocco magico dell’allenatore, che sa quando sganciare gli uomini dalla panchina, magari sorprendendo allo stesso modo con cui aveva mischiato le carte all’inizio. Già, perché nessuno si aspettava che stessero fuori Koné, Pellegrini, Saelemaekers e in pochi credevano che – sostituiti Dovbyk e Dybala – la scintilla sarebbe scoccata ancora una volta con i cambi. È invece successo. E Shomurodov, spinto dai sessantamila dell’Olimpico, si è avvitato nel suo compasso, per poi disegnare un semicerchio ideale per chiudere il due a uno.