Lautaro, la doppietta del ritorno: “Gol importanti per me, ma l’Inter deve crescere”

Il capitano nerazzurro era ancora a secco: “Dopo il derby abbiamo parlato meno e lavorato di più”

Dopo 5 giornate di campionato, leggere il numero zero vicino alla voce “gol segnati” da Lautaro Martinez faceva strano. L’argentino ha vissuto un avvio di stagione complicato, ma pure il tramonto di quella passata non era stato al suo livello: ultimo gol il 10 maggio scorso a Frosinone, da lì in poi, in nerazzurro, il buio. Eppure, di scusanti il Toro ne ha parecchie. Alla fine dello scorso campionato dominato dalla squadra di Inzaghi, Lautaro è partito per gli Stati Uniti, dove con la sua Argentina ha vinto – da protagonista e capocannoniere – la Coppa America. Migliaia di km percorsi, enorme stanchezza fisica e mentale. Ha pagato questo e un conseguente piccolo infortunio muscolare, Martinez, che oggi però è tornato alla grande.

L’avvio difficile di Lautaro è stato anche amplificato dal primo derby sugli ultimi 7 perso dall’Inter. Una gara in cui il Toro ha comunque regalato un assist a Dimarco, ma è ugualmente rimasto a secco. “Dopo il derby abbiamo parlato meno e lavorato di più – ha confessato l’argentino a seguito della vittoria di Udine -, ma credo che in campo si sia visto. Il gol sicuramente è importante per me, è chiaro che un attaccante lo cerchi. Io però faccio sempre il contrario: lavoro per la squadra e se riesco a segnare meglio ancora. Bisogna continuare a lavorare e portare l’Inter sempre più in alto. Ci vuole l’atteggiamento giusto, lavorare di più, restare umili e alzare il livello ogni giorno. Perché l’Inter deve crescere”. Parole come sempre di grande responsabilità, che confermano quanto Lautaro – da capitano – si senta al centro del progetto nerazzurro. Come di enorme responsabilità erano state le immediate dichiarazioni post derby.

La strana partita di Miretti: domani contro la Juve, ma Motta ha un progetto per lui

Cresciuto nel vivaio bianconero da quando aveva 8 anni, è stato uno dei primi frutti del progetto Next Gen. Ora è in prestito secco al Genoa, ma.

Per la prima volta Fabio Miretti si ritrova ad affrontare la Juve, la squadra in cui ha trascorso tutta la sua vita calcistica. Arrivò sulla sponda bianconera a 8 anni preferendola al Torino perché, in quel periodo, la Juve gli metteva a disposizione un servizio navetta più comodo alle sue esigenze: da quel momento, il classe 2003 è cresciuto passo dopo passo fino a raggiungere la prima squadra. Solo qualche settimana fa, sul finale del mercato, il centrocampista ha chiesto la cessione per andare al Genoa: con l’obiettivo di giocare con maggiore continuità rispetto a quella che avrebbe avuto rimanendo alla Continassa, specie dopo il reintegro in rosa di McKennie.

Per Fabio Miretti sarà molto strano ritrovarsi con colori diversi da quelli bianconeri. Spesso nella sua trafila giovanile si è ritrovato a guidare la sua squadra con la fascia di capitano, in quasi tutte le categorie da sotto età senza far mancare la personalità in campo e fuori. È uno dei primissimi frutti del progetto Next Gen, che ha consentito a diversi ragazzi della Juve negli ultimi anni di vivere un passaggio intermedio fra il settore giovanile e la prima squadra. Miretti si è ritrovato con Allegri dopo aver messo nelle gambe 2 mila e 500 minuti in Serie C, utili a superare ogni tipo di pressione fra gli adulti. Le basi erano solide da prima, evidentemente, ma nella fase più delicata e strategica del passaggio di crescita il giocatore ha avuto il supporto necessario per rimanere in pianta stabile la prima squadra. L’impiego da aggregato del primo anno però non si è evoluto e, dopo l’ultima stagione a minutaggio ridotto, esisteva il rischio di rallentare troppo il percorso quest’anno.

Tra Frattesi e Zielinski, così lo sostituirà Inzaghi

Il centrocampista tornerà soltanto dopo la sosta di ottobre. A Udine ci sarà l’altro azzurro, che però quest’anno da subentrato fa fatica.

I guai, si sa, spesso arrivano tutti insieme. E l’Inter non è esente. La conferma è Nicolò Barella: derby perso e infortunio, distrazione al retto femorale della coscia destra che lo terrà fuori poco meno di un mesetto, fino al rientro dalla sosta nazionali, quando il 20 ottobre i nerazzurri andranno all’Olimpico per la gara contro la Roma. Fino ad allora, quindi con Udinese, Stella Rossa e Torino, niente Nicolò.

Barella, Calhanoglu, Mkhitaryan. Fino a ora, negli anni di Simone Inzaghi sulla panchina dell’Inter, il centrocampo nerazzurro è stato una costante. Sempre loro in campo, con licenza di intervenire dalla panchina per altri. Ma raramente dal 1′ il tecnico piacentino ha rinunciato ai suoi uomini, se non per situazioni di estremo turn-over. Oggi la situazione è ben diversa, perché Barella non c’è e Mkhitaryan (trasferta dell’Etihad contro il City a parte) in questo avvio di stagione è stato tra i peggiori nell’Inter. Soprattutto nel derby. Dalla panchina scalpitano Zielinski e Frattesi, e c’è un dato che incoraggia soprattutto sull’impiego del polacco: a Manchester, nell’unica partita giocata da titolare, l’ex Napoli ha superato brillantemente la prova Champions. Da subentrato, invece, ha spesso faticato: poco apporto contro il Milan, nullo a Monza. Così Zielinski potrebbe far rifiatare Mkhitaryan. Non Barella, perché, per ruolo e posizione in campo, il sostituto naturale di Nicolò è Frattesi. L’ex Sassuolo si è spesso reso decisivo subentrando dalla panchina, con gli inserimenti che lo hanno reso tra i centrocampisti più incisivi della stagione scorsa in rapporto al minutaggio: 1 gol ogni 156′ in campo. Tra cui proprio quello del Bluenergy Stadium della stagione scorsa, che di fatto mise lo scudetto nelle mani dell’Inter.

Allenamenti doppi e turnover: il piano di Inzaghi per far tornare Lautaro al top

L’argentino aumenta i carichi ed è pronto a gestire l’impiego: sono giorni decisivi per salire di forma in vista di Stella Rossa e Torino

Se tra il dire e il fare c’è di mezzo Lautaro, allora c’è da fidarsi. Eccolo qui, allora, il piano dell’Inter e del suo totem: il Toro vuole tornare se stesso nel più breve tempo possibile e per farlo è pronto a tutto. 

A partire ovviamente dagli straordinari ad Appiano. In fondo, questa annata è cominciata così, con una telefonata dall’altre parte del mondo per tendere la mano alla sua Inter in apprensione per un infortunio muscolare di Taremi a pochi giorni dal debutto in campionato. Lautaro, fresco campione di Sudamerica con l’Argentina e con il piede ancora caldo dopo i gol che avevano griffato la coppa (compreso quello decisivo in finale con la Colombia), si era tagliato le vacanze per presentarsi in soccorso di Inzaghi: era il 6 agosto, l’Inter aveva bisogno della sua presenza e lui si è materializzato all’improvviso, come i supereroi dei fumetti.

Due mesi e sei partite dopo, la sola presenza non basta: l’Inter ha bisogno anche dei suoi gol e Lautaro logicamente la pensa allo stesso modo. Sa benissimo che il suo ritardo di condizione – e di conseguenza quello sottoporta – incide sul rendimento di tutto il gruppo, lo ha ammesso dopo il ko con il Milan e per questo ha messo a punto insieme a Inzaghi e allo staff tecnico un programma per recuperare terreno in fretta: le sue sedute aumenteranno, come aumenteranno le ore trascorse alla Pinetina. Tutto il lavoro specifico che l’argentino porterà avanti in questi giorni sarà finalizzato a colmare il gap di condizione. Primo obiettivo, salire di livello già sabato a Udine e rompere il ghiaccio tornando a segnare. Il resto verrà da sé: dopo la trasferta in Friuli, l’Inter tornerà a giocare una gara dopo l’altra fino alla sosta di metà ottobre.

Juve a secco, pochi tiri e pochi gol. Motta cerca nuove vie per tornare a vincere in campionato

Dopo 5 giornate i bianconeri sono tra i peggiori in Serie A per palloni calciati nello specchio e tocchi in area avversaria.

La classifica dice quarto posto, un punto in più di Inter e Milan e uno in meno rispetto al Napoli, contro cui è arrivato l’ultimo pareggio. Non sappiamo se Thiago Motta avrebbe firmato per trovarsi in questa posizione dopo 5 giornate, di sicuro è soddisfatto di come il gruppo abbia recepito la sua filosofia ed è convinto di essere sulla strada giusta. Nel calcio i numeri non sono tutto, però aiutano a capire in che direzione bisogna andare e dove bisogna migliorare. Quelli del nuovo corso raccontano che i bianconeri fanno una gran fatica a segnare perché tirano poco in porta e toccano poco il pallone dentro l’area avversaria. Sono numeri non da Juventus che la collocano nella parte bassa della classifica e che tutti insieme evidenziano il perché dei tre zero a zero consecutivi in campionato.

No tiri, non party, direbbe George Clooney, perché meno si calcia in direzione della porta più diventa difficile fare gol. Dopo 5 giornate la Juventus è al quattordicesimo posto per tiri totali (53) e al tredicesimo per tiri in porta (17). La situazione peggiora se andiamo ad analizzare i tocchi nell’area avversaria (81, diciassettesimo posto) i cross su azione (54, sedicesimo posto) e i tiri da fuori area (15, diciassettesimo posto). Tutto questo spiega perché i bianconeri finora hanno fatto solo 6 reti, tra l’altro concentrate nelle prime 2 gare con Como e Verona: con una produzione offensiva così limitata ci sta che la squadra fatichi a buttarla dentro.

Di sicuro il momento no di Dusan Vlahovic, a secco da 4 match tra campionato e Champions, non aiuta però in fondo il serbo è l’unico del pacchetto avanzato, a parte Weah, ad aver fatto centro: zero reti per Yildiz in Serie A, idem per Nico Gonzalez e Teun Koopmeiners: i primi due si sono sbloccati in Europa, nella gara d’esordio contro il Psv, l’olandese invece insegue la prima esultanza in maglia bianconera.

Gialli, condizione, gerarchie: cosa c’è dietro i tre cambi a centrocampo di Inzaghi

Per la prima volta l’allenatore ha cambiato la mediana chiudendo con Zielinski, Asllani e Frattesi. Ma non ha portato alla svolta

La vecchia regola è tornata d’attualità. “Sei ammonito? Allora ti cambio”. Inzaghi ragiona più o meno così, con questo dogma sviluppato durante gli anni della Lazio e continuato all’Inter attraverso sole e pioggia, cielo azzurro e burrasca. Nel derby è stato riproposto ancora: l’allenatore nerazzurro ha tolto dal campo Mkhitaryan e Calhanoglu, entrambi griffati di giallo, per far entrare Zielinski e Frattesi. L’unico rimasto in gara è stato Dimarco, ammonito a un pugno di minuti dal termine con tutti i cambi già effettuati. Il solito mantra, insomma.

Il cambio è stato giusto, soprattutto perché l’armeno – di solito impeccabile – si era fatto soffiare il pallone da Pulisic in occasione del vantaggio. Una gara da 5 senza appello, condita da un errore difensivo e da diversi appoggi sbagliati. Il turco invece, fulcro e faro del gioco, ha lasciato il campo imbronciato dopo un’ora. Anche lui in ritardo di condizione rispetto alla bella prova contro il Manchester City. Fin qui l’Inter si è vista sventolare cinque cartellini gialli: Mkhitaryan a Genova, Pavard a Monza, Dimarco, Calhanoglu e ancora Mkhitaryan contro il Milan. L’armeno è stato sostituito due volte, mentre i difensori sono stati ammoniti quando le sostituzioni erano già finite, il primo al 90′ e il secondo all’88’.

Per la prima da quando allena l’Inter l’allenatore nerazzurro ha sostituito tutti e tre i mediani. Nell’ultimo quarto d’ora i nerazzurri avevano Zielinski, Asllani e Frattesi. Un inedito. Un tentativo di dare una scossa che invece non è arrivata. Risultato scontato, infine: l’arrembaggio verso la porta di Maignan ha creato un vuoto a centrocampo colmato solo dai rossoneri. Da rivedere. L’ultimo appunto sono le gerarchie. Inzaghi ha sei mediani di livello, tre titolari e tre riserve, ma Zielinski e Frattesi hanno dimostrato di poter stare in mezzo agli altri nove.

Lautaro e Inter, che occasione: ora il Milan è spalle al muro.

È il derby dei due mondi. L’argentino campione d’America contro lo spagnolo re d’Europa. Una sfida nella sfida

Per l’Inter vale molto, per il Milan vale tutto. Alla quinta giornata, quando il campionato è ancora nella culla, il derby di Milano ha già motivazioni torride, soprattutto per il Milan che ha vinto una sola partita, contro il Venezia allora ultimo in classifica, ed è stato spianato dal Liverpool a San Siro nel debutto di Champions, mostrando una fragilità tattica, atletica e caratteriale sconcertante.

Alla testa dell’Inter, Lautaro Martinez che con 5 gol, uno in finale alla Colombia, ha guidato l’Argentina alla conquista della Coppa America. Alla testa del Milan, Alvaro Morata, che da capitano della Spagna, ha sollevato il trofeo di campione d’Europa. Il duello tra i due numero 9 senza il 9 sulla schiena (un 10 e un 7) è anche il summit tra due sovrani, affratellati da una bella estate, ma anche da un inizio di stagione sofferto. Rientrato tardi al lavoro, per gli impegni con la Nazionale, il Toro ha sofferto un infortunio che ha rallentato la preparazione. Non ha brillato nelle tre partite di campionato, soprattutto nell’ultima di Monza che ha convinto Inzaghi a escluderlo dagli undici di Manchester. Deve ancora trovare il primo gol stagionale. L’ultimo in campionato lo ha segnato il 10 maggio scorso a Frosinone. Per trovare quello precedente dobbiamo rinculare fino al 28 febbraio contro l’Atalanta. Significa che da marzo Lautaro ha segnato solo un gol. Facile intuire la voglia di sbloccarsi nel derby che è territorio amico: 8 reti segnate al Milan. Ma lo è anche per Morata che porta nel sangue le stracittadine: le ha vissute a Madrid, vestendo le maglie di Real e Atletico, poi ha conosciuto i derby di Torino e Londra con le casacche di Juve e Chelsea.

Taremi, Zielinski, Bisseck: l’Inter ha tre titolari in più

I tre hanno giocato una grande partita a Manchester e con loro anche Carlos Augusto.

Non c’è interista che non abbia tremato, davanti alle scelte iniziali. Non c’è interista che non abbia applaudito, alla fine. Perché Zielinski ha dimostrato il motivo per cui l’Inter l’ha inseguito spingendolo a rinunciare anche ai soldi arabi. Bisseck ha spiegato una volta ancora perché la scorsa estate il West Ham era arrivato a mettere sul piatto per lui 25 milioni di euro. E Taremi è entrato in campo con il patentino di chi aveva 26 partite in Champions League da mettere in mostra.

L’Inter ha tre titolari in più. Zielinski ha fatto sedere in panchina Mkhitaryan, una specie di miracolo calcistico conoscendo la considerazione che Inzaghi ha dell’armeno. Il salto di qualità rispetto alla scorsa stagione è evidente, un anno fa il tecnico nerazzurro non aveva questo tipo di possibilità.

L’altro colpo del mercato, Taremi, si è mosso senza tremare. E ha trovato subito la posizione, un passo dietro Thuram, bravo a leggere anche i momenti della partita. Inzaghi lo ha più volte applaudito, l’iraniano all’Etihad ha fatto vedere che il suo standard di prestazione è elevato. Gli manca il gol, arriverà presto. Ma Mehdi è un ricostituente, anche per la ThuLa. Perché con Sanchez e Arnautovic, un anno fa, né Marcus né il Toro avrebbero potuto riposare in una serata così.

E poi c’è Bisseck. Che s’è scrollato di dosso quel ricordo un po’ così della prima giornata di campionato, il rigore concesso per ingenuità contro il Genoa. Il tedesco è in volo, ogni partita che passa mette potenzialmente la freccia per sorpassare Pavard, verso una maglia stabile da titolare. Per Inzaghi è un bell’andare.

Juve, Nico Gonzalez: “Voglio segnare più dello scorso anno. Motta mi lascia libero”

L’attaccante argentino entusiasta dopo la rete in Champions League: “Ho realizzato un sogno. Qui mi trovo bene”

“Mi ispiro a Di Maria, è il mio idolo. Spero di segnare più dello scorso anno e di servire tanti assist a Vlahovic”. Firmato Nico Gonzalez, fresco di timbro in Champions League nel 3-1 contro il Psv.

L’argentino, dopo il primo gol nell’Europa che conta e con la Juventus, ha messo nel mirino il Napoli. “Stiamo lavorando per ottenere un risultato positivo sabato”. Molto dipenderà da lui e Vlahovic, già compagni per sei mesi alla Fiorentina nel 2021: “Vlahovic è migliorato tanto e l’ho detto anche lui, è veramente forte e sempre positivo: si merita il massimo. Se posso fare assist per lui, è perfetto. E se li serve lui a me va bene uguale. Mi piacerebbe segnare più della passata stagione, ma sono qui per aiutare la squadra e i compagni: io sono un ragazzo positivo. Scudetto? Noi siamo la Juventus, dobbiamo ragionare partita dopo partita. Il calendario denso di impegni è bellissimo. L’importante, come dice Thiago Motta, è riposare bene, mangiare bene e dormire bene”, assicura Nico, uno che con l’Argentina ha alzato al cielo due volte la Coppa America, l’ultima nei mesi scorsi. 

Gonzalez è ancora emozionato per la rete di martedì al Psv: “Ho avverato un sogno, soprattutto perché abbiamo vinto. Sono molto contento alla Juventus. Quando ti chiama un club così non pensi a nulla, dici subito sì. Prima di arrivare a Torino ho parlato della Juve con Di Maria, Paredes, Dybala, ma questo club mi ha impressionato comunque. Sono contento, anche perché fin dal primo giorno tutti qui mi stanno facendo sentire come a casa”. 

A partire da Thiago Motta, che ha voluto fortemente l’ex Fiorentina per la sua nuova Juventus: “Thiago ci fa prendere responsabilità in campo. Le sue idee sono chiare: vogliamo giocare palla a terra, uniti e compatti per arrivare a dei risultati positivi. Motta mi concede la libertà di cui ho bisogno in campo e anche per questo lo ringrazio”. 

Taremi titolare col City al posto di Lautaro, Inzaghi scioglie il dubbio

Il capitano lontano dalla forma migliore sarà usato come arma a gara in corso, in campo dall’inizio l’attaccante iraniano

Che Taremi sia. Alla fine Simone Inzaghi ha sciolto il più grande dubbio della vigilia dando una maglia da titolare all’iraniano, al suo debutto nerazzurro in Champions. Lautaro Martinez, lontano dal suo miglior livello e ancora a caccia della giusta forma, è pronto invece a entrare a gara in corso: con un po’ più di allenamento nelle gambe, dovrebbe riprendere il “suo” posto nel derby con il Milan di domenica. 

La decisione, decisamente rumorosa, di mettere in panchina il capitano e uomo-simbolo nella gara più nobile di Champions, si era intuita già ieri: nel segreto di Appiano, Inzaghi aveva provato Taremi accanto a Thuram, e la gara di Monza suggeriva poi la necessità di un po’ di meritato riposo per lo spremutissimo argentino. Visto lo status di Lautaro, però, un ritorno alle vecchie gerarchie era sempre possibile, e invece ecco la decisione finale. Decisive le ultime sensazioni in hotel, dove la squadra ha continuato a preparare fino all’ultimo la sfida a Guardiola di stasera. 

Per questo rendez-vous dopo la finale del 2023, Simone è tentato dal cambiare parte della geografia della squadra in un’ottica di turnover rivolta al campionato. Al netto di cambi dell’ultimo minuto, niente centrocampo di titolarissimi perché accanto a Barella e Calhanoglu, non ci sarà per la prima volta Mkhitaryan. Un piccolo evento vista l’imprescindibilità che sempre ha avuto Micki per Simone. In contemporanea, sarebbe il debutto assoluto dall’inizio per Zielinski, in una gara ad altissimo tasso di difficoltà. Tra l’altro, l’armeno non era riuscito a partire dall’inizio contro il City neanche 15 mesi fa a Istanbul causa infortunio. A sorpresa, prevista panchina anche per Pavard, che lascia il posto nel ruolo di difensore di centro-destra a Bisseck: anche per il tedescone, sparito dopo il rigore regalato a Genova, una bella responsabilità. Sulla fascia destra, invece, il duello Darmian-Dumfries è stato invece vinto in extremis dall’azzurro. Per il resto, Sommer tra i pali, Acerbi e Bastoni a completare la linea difensiva, e Carlos Augusto laterale di sinistra al posto dell’infortunato Dimarco.