Ecco come la Juve ha chiuso i conti con la giustizia italiana.

Il patteggiamento pone fine a due anni di battaglia legale e a eventuali ricorsi. Ora però il caso si sposta in Europa

Le 24 ore che hanno cambiato i due anni della lunga vicenda plusvalenze e manovre stipendi (insieme con i rapporti irregolari con gli agenti sportivi e le partnership sospette) con al centro la Juve, si sono chiuse. Questa volta i pronostici della vigilia sono stati rispettati: Juve e procura federale hanno patteggiato come previsto dal Codice di giustizia sportiva, e il Tribunale Federale Nazionale ha dato il via libera.

La Juve, e i suoi dirigenti o ex dirigenti incolpati, tutti meno Andrea Agnelli, hanno rinunciato ai ricorsi dentro e fuori il sistema, sia alla giustizia sportiva (il meno 10 sulle plusvalenze al Collegio di garanzia) sia a quella amministrativa (il Tar e nel caso il Consiglio di Stato). Di contro la procura federale ha accettato una sanzione solo pecuniaria: per la Juve si tratta di un’ammenda di 718mila euro, complessivamente considerando tutti gli incolpati si arriva al milione di euro. Agnelli, invece, che pure si era detto a quanto sembra disponibile al patteggiamento, non ha voluto rinunciare alla possibilità dei ricorsi. E quindi la sua posizione è stata stralciata: andrà a processo il 15 giugno.

A questo punto resta naturalmente il punto interrogativo chiamato Uefa. Ovviamente la Federcalcio non può garantire una mano morbida in sede internazionale, ma è chiaro che la conclusione dell’ostilità italiana non potrà essere ignorata. Il massimo del rischio dovrebbe essere quello di una squalifica europea per una sola stagione. Alla Juve nel caso potrebbe essere tolto il diritto di partecipare alla prossima Conference League (o nel caso, Europa League). Si allontana il fantasma di una sanzione pluriennale. Anche se forse è troppo presto in questo caso per azzardare su questo fronte un pronostico definitivo.

C’eravamo poco amati: i brutti titoli di coda della storia tra la Juve e Di Maria

I fischi hanno salutato l’ultima a Torino del Fideo, che in bianconero ha giocato solo due mesi alla sua altezza. Facendo cambiare idea al club sul futuro

Finiscono tra i fischi al 19′ del secondo tempo della quinta sconfitta interna stagionale della Juventus, ore 22.09 del meridiano della Continassa, i dieci mesi dell’avventura a Torino del campione del mondo Angel Di Maria. L’ultima partita casalinga del Fideo in bianconero ha la storia degli ultimi tre mesi, con la differenza che sui titoli di coda arrivano anche forti le opinioni del “loggione” dello Stadium. Con l’argentino a fare la faccia, quasi stupita.

La prova dell’occhio nudo per una volta coincide con quella dei numeri, e bastano i numeri grossolani, non quelli delle statistiche avanzate, che hanno visto Di Maria battere l’ultimo colpo in maglia Juve con il gol dell’1-0 nell’andata col Friburgo del 9 marzo, curiosamente di testa, a chiudere il paio di mesi scarsi in cui si è visto all’altezza della sua fama, e del suo talento, e del suo palmares fresco di Mondiale. Con l’highlight della tripletta a Nantes, ha messo insieme sette gol e tre assist nelle sue prime 14 partite giocate dopo essere stato l’uomo decisivo della finale con la Francia in Qatar, a pavimentare una strada che pareva portarlo dritto verso il prolungamento della sua esperienza a Torino. Che invece finisce qui.

Il computo su base stagionale racconta 8 gol e 7 assist in 39 partite stagionali, sulle 55 stagionali, con un numero di stop per ragioni fisiche (almeno sei) che non aveva mai avuto in carriera. A volte ha stupito con guizzi che lo hanno fatto brillare perfino dal punto di vista fisico. A volte ha illuminato anche solo giocando da fermo. A un certo punto pareva aver cancellato le cicatrici del contestato pre-Mondiale, in cui per quattro mesi è sembrato agli occhi (non solo) dei tifosi tenere le energie buone per il Qatar, compreso il giorno nero di Monza con tanto di espulsione. Avanti per un altro anno, la situazione che si stava materializzando in primavera, raccogliendo anche i benefici del Decreto Crescita che sarebbero arrivati con un rapporto biennale, per arrivare pronti alla Coppa America 2024… perché poi gira e rigira le motivazioni vanno sempre a battere là.

Dal k.o. col Monza alla dominante Inter di oggi: le 6 settimane in cui è cambiato tutto

Il 15 aprile la sconfitta che sembrava aver compromesso la stagione, poi la rinascita: sei successi in 7 partite, la conquista della finale di Istanbul in Champions e della Coppa Italia. Ecco che cosa è successo

Vedendo il rendimento della formazione di Inzaghi da metà aprile viene da chiedersi come mai una rosa con questo potenziale non abbia impensierito gli azzurri di Spalletti nella corsa verso lo scudetto.

Un mese e mezzo fa, con il ritorno dei quarti di Champions alle porte, l’Inter era una squadra sull’orlo di una crisi di nervi, una formazione che aveva collezionato 11 sconfitte in campionato e che sembrava destinata a non entrare nelle prime quattro in campionato.

Adesso, invece, ha messo in bacheca la Coppa Italia, eliminando la Juventus in semifinale e poi battendo la Fiorentina mercoledì all’Olimpico, ha centrato la qualificazione all’ultimo atto della Champions estromettendo il Benfica e poi il Milan, mentre in campionato ha vinto 6 delle ultime 7 gare e si è assicurata anche il prossimo anno la partecipazione alla coppa europea più prestigiosa. E più remunerativa, aggiungiamo, con i 45-50 milioni garantiti per il solo ingresso al group stage. Una bella boccata d’ossigeno per il club di viale della Liberazione, che sogna la quarta Champions-Coppa dei Campioni della sua storia, ma che è anche sereno per avere messo al sicuro un bonifico importante proveniente da Nyon nel 2023-24.

Ma torniamo al 15 aprile e a tutto quello che è venuto dopo. In questo mese e mezzo scarso i nerazzurri hanno giocato 12 incontri ufficiali: 7 in Serie A, 3 in Champions e 2 in Coppa Italia portando a casa 10 successi, 1 pari e 1 ko. Nota a margine: il 3-3 contro il Benfica (3-1 all’ 86’…) è stato come una vittoria alla luce del 2-0 dell’andata a Lisbona; il 3-1 di domenica scorsa al Maradona è stato ininfluente ai fini del raggiungimento dell’obiettivo minimo fissato in estate dalla società, ovvero l’ingresso tra le prime quattro.

Roma si mobilita per la finale col Siviglia: Olimpico aperto. In 20mila saranno a Budapest

Dopo un tira e molla durato una settimana, il popolo giallorosso potrà assistere alla finale di Europa League nell’impianto del Foro Italico

Adesso anche i più scaramantici possono tirare un sospiro di sollievo. Dopo un tira e molla durato una settimana, i romanisti che non sono riusciti ad accaparrarsi un biglietto per la finale di Europa League a Budapest, potranno assistere alla sfida con il Siviglia allo stadio Olimpico.

Proprio come era successo il 25 maggio 2022 in occasione della vittoria in Conference League, anche stavolta il popolo giallorosso si ritroverà nell’impianto del Foro Italico per spingere a distanza la Roma di José Mourinho nella “battaglia” che potrebbe regalare a Pellegrini e compagni il secondo trofeo consecutivo.

La Questura ha appena firmato l’ordinanza che autorizza l’apertura dello stadio dopo la richiesta della Roma a Sport e Salute, che gestisce l’impianto e che è già al lavoro con i suoi esperti per preservare il manto erboso in vista della sfida di domenica 4 giugno contro lo Spezia. Tutte le precedenti ipotesi – piazza del Popolo, Circo Massimo, piazza San Giovanni – sono state scartate con il passare dei giorni perché ritenute dal Comune troppo impattanti sulla cittadinanza.

Nel frattempo sono migliaia i romanisti che continuano a cercare un modo per raggiungere l’Ungheria ed assistere alla partita alla Puskas Arena. I voli diretti sono finiti ormai da tempo, i tifosi lavorano sugli scali in ogni parte d’Europa, su viaggi a metà tra treni e aerei e in tanti hanno scelto di spostarsi con un minivan direttamente da Roma. I biglietti messi a disposizione del club erano 15.500 e sono andati esauriti in una manciata di ore. Per questo in tanti sono a caccia di un tagliando, anche a costo di pagarlo cifre da capogiro. Non manca chi, a prescindere dal titolo d’accesso allo stadio, ha già deciso di partire. Al biglietto si penserà a Budapest. Quello che conta è esserci e rimanere il più vicino possibile alla squadra.

Juve: Di Maria, Rabiot e… se saltano le coppe ingaggi da tagliare

Il club dovrà liberarsi degli stipendi più pesanti. Via Paredes, Vlahovic in bilico, dei top resta Pogba.

Altro ingaggio pesante è quello di Angel Di Maria, che ha firmato un annuale a 6 milioni. La Juve, inizialmente intenzionata a proporgli il rinnovo di un anno (approfittando del Decreto Crescita) ha cambiato idea dopo le ultime prove opache del Fideo. Senza Coppa meglio ripartire dai giovani e da stipendi più sostenibili.

Champions o non Champions, questo è il dilemma. Se la Juventus parteciperà o meno alla competizione più importante anche l’anno prossimo influirà inevitabilmente sul mercato.

Senza Champions Vlahovic rischia di diventare un sacrificio indispensabile. Lo stipendio di Dusan è lo stesso di Adrien Rabiot, che è arrivato 4 estati fa a zero e, salvo clamorose sorprese, se ne andrà da svincolato a fine giugno.

Ecco perché Dusan Vlahovic pare il giocatore più a rischio: guadagna tanto (7 milioni) ed è stato pagato parecchio appena un anno e mezzo fa, però è giovane e quotato, nonostante l’ultima stagione sia stata deludente, e le pretendenti non mancano. Piace a Manchester United, Chelsea e Bayern Monaco ed è ipotizzabile che le big straniere ci facciano un pensierino, avendo anche la possibilità di garantirgli lo stesso ingaggio, se non addirittura più alto. Il suo procuratore Darko Ristic aveva già fatto a gennaio un giro di sondaggi e probabilmente si è già rimesso al lavoro.

Di sicuro la Signora si libererà dei 7 milioni che guadagna Leandro Paredes, in prestito dal Psg: l’obbligo di riscatto è decaduto con la mancata qualificazione agli ottavi di Champions e la Juventus aveva già deciso di non acquistarlo (troppi 22 milioni, visto anche il rendimento non soddisfacente), a maggior ragione non cambierà idea ora, anzi ne approfitterà per alleggerire il monte ingaggi. Lo stipendio più pesante in assoluto però è quello di Paul Pogba, 8 milioni netti a stagione più 2 di bonus: il contratto è lungo (altri 3 anni) oltre che oneroso e dopo la stagione fantasma del Polpo difficile che qualcuno si faccia avanti per acquistarlo.

Lautaro-Gonzalez: gol, staffette e incroci, il derby argentino per la Coppa Italia

Con Correa e Martinez Quarta, la finale dell’Olimpico diventa una sfida tutta sudamericana. Argentini dai destini diversi avversari stasera nella finale di Coppa Italia.

Lautaro sente che questa deve essere la sua partita. Un altro trofeo, il quinto in nerazzurro ai quali si aggiungono i 3 con la nazionale, sarebbe un bel regalo in vista della festa (lunedì) per il suo matrimonio con Agustina, già celebrato negli scorsi giorni in Comune.

Gonzalez, che tutti chiamavano Speedy per la sua velocità, a gennaio sembrava destinato ad andarsene per i continui infortuni. Il Leicester lo avrebbe accolto a braccia aperte, raddoppiandogli l’ingaggio da 2 milioni di euro che attualmente percepisce, ma Commisso ha detto no alla cessione dell’acquisto più caro della storia del club viola (27 milioni). Nico è rimasto in riva all’Arno, si è curato, ha risolto una volta per tutte i problemi muscolari della prima parte del 2022-23, e da marzo in poi ha iniziato lentamente a carburare. Il meglio lo ha lasciato per questo finale: sua la doppietta a Basilea che ha permesso la qualificazione alla finale di Conferenze League, ma ha segnato anche nella semifinale d’andata di Coppa Italia contro la Cremonese. Insomma, è tornato a essere un giocatore decisivo. Con 12 gol è, insieme a Jovic, il secondo marcatore della squadra dietro Cabral e stasera sarà titolare, mentre Martinez Quarta, che era stato soprannominato El Chino per la somiglianza con l’ex interista Recoba, non è ancora certo del posto perché in ballottaggio con Ranieri.

Il Toro stasera non avrà la fascia di capitano al braccio perché in campo dal primo minuto ci saranno sia Handanovic sia Brozovic, che hanno più anzianità nerazzurra di lui, ma è ancora carico al massimo dopo aver risolto l’euro-derby di martedì scorso, con una botta che non ha lasciato scampo a Maignan. Ha già eguagliato il record personale di reti stagionali (25) stabilito lo scorso anno e stasera cercherà il numero 26 anche per tagliare il traguardo dei 100 gol con la maglia dell’Inter.

“Oh, ottanta milioni!”: lo humour scozzese di Henderson abbatte Vlahovic

Il centrocampista sfotte l’attaccante nei minuti di recupero di Empoli-Juve: non bastasse il 4-1.

Di scene così, in campo, ne abbiamo viste a centinaia. L’ultimo esempio arriva direttamente dal posticipo di Serie A: l’empolese Liam Henderson sbeffeggia Dusan Vlahovic, lo guarda dritto negli occhi e gli ricorda ironicamente il prezzo del suo cartellino. “Oh, ottanta milioni!”. La risposta dello juventino non la conosciamo, però si porta la mano alla bocca e ribatte a tono.

Prima della debacle dei bianconeri in Toscana, Henderson e Vlahovic si erano incrociati soltanto due volte: entrambe risalgono alla scorsa stagione e Dusan – prima con la Fiorentina, poi con la Juventus – ha segnato complessivamente tre gol. C’è da scommettere, però, che Liam non abbia fatto tutti questi calcoli. Zanetti l’ha mandato in campo a dieci minuti dalla fine e lui, come sempre, aveva il compito di alzare una diga davanti alla difesa. Corsa e contrasti sono le sue specialità, però Henderson ha anche un bel caratterino che, in certi contesti, risulta prezioso. Per loro dovrei essere un mezzo alcolizzato, sempre pronto a litigare”. Non è così, ci mancherebbe, ma magari la scintilla di Henderson s’accende un attimo prima rispetto a quella degli altri. Quest’anno ha rimediato nove cartellini gialli ed è stato utilizzato per poco più di 900 minuti.

Arrivato dal Lecce per due milioni nell’estate 2021, Liam vive in Italia da cinque anni. E’ cresciuto nel Celtic insieme a Van Dijk, poi è passato da Bari, Verona, Empoli, Lecce e di nuovo Empoli. A centrocampo può giocare in tutti i ruoli: mezzala o mediano, all’occorrenza regista o trequartista alla Nainggolan. Pressa gli avversari, s’inserisce negli spazi, lotta su ogni pallone ed è apprezzato dai tifosi. Nella sua famiglia sono tutti calciatori. Il fratello Ewan, quattro anni più giovane, è un centrocampista offensivo dell’Hibernian. Liam è un mix tra lui e papà Nicky, medianaccio vecchio stampo, che giocava nelle serie minori.

Fiorentina-Inter, Olimpico tutto esaurito e diviso in due per la finale

Saranno oltre 60.000 gli spettatori allo stadio, con tifosi della Fiorentina e dell’Inter a metà strada. Ancora top secret le scenografie organizzate dalle due curve

Ancora poche ore d’attesa, poi all’Olimpico inizieranno ufficialmente i preparativi in vista della finale di Coppa Italia in programma mercoledì sera. Dalle 20.30 di oggi infatti – dopo il fischio finale di Roma-Salernitana – l’impianto del Foro Italico inizierà a cambiare pelle in vista della sfida tra Inter e Fiorentina. Panchine e spalti saranno arricchiti dai classici pannelli con il brand del torneo nazionale. Tanti anche i rappresentanti delle istituzioni attesi in tribuna: dal numero uno del Coni Giovanni Malagó, ai presidenti di FIGC e Lega Serie A Gabriele Gravina e Lorenzo Casini fino al sindaco di Roma, Roberto Gualtieri.

Tra curve e tribune è atteso il tutto esaurito. Saranno oltre 60mila gli spettatori presenti allo stadio, divisi equamente tra sostenitori nerazzurri e quelli della Viola. Circa 30mila biglietti sono stati messi a disposizione di ciascuno dei due club, con l’Olimpico che verrà “spezzato in due” all’altezza della linea del centro: la parte Nord dell’impianto – curva, distinti e metà delle due tribune – è stata riservata agli interisti, il lato Sud invece accoglierà i tifosi della Fiorentina. Rimangono top secret invece le scenografie organizzate dalle due curve: entrambe però sembrano avere in serbo uno spettacolo mozzafiato.

Argentina, vittoria in rimonta nel segno di Carboni. La Slovacchia travolge Figi

I padroni di casa scherzano col fuoco e rischiano grosso, ma alla fine riescono ad avere la meglio su un Uzbekistan che la mette sul piano fisico e resta in partita fino alla fine.

Gli asiatici colpiscono per primi nella sorpresa generale, complici i numerosi errori di una incerta difesa albiceleste che si fa sorprendere al 24’ da un sinistro di Makhamadjonov sul primo palo. La reazione argentina è veemente e il pari arriva nel giro di una manciata di minuti, merito di un colpo di testa di Veliz favorito da una papera di Boymurodov, che devia la conclusione nella propria porta. Superata la paura, l’albiceleste sale in cattedra sfruttando l’abilità e l’estro degli “italiani” Soulé e Carboni, entrambi titolari e tra i migliori in campo nei primi 45’ insieme ad Aguirre. A lanciare l’Argentina è il trequartista dell’Inter, bravo a firmare il raddoppio al 41’ su un’azione avviata dallo juventino (sostituito dopo un’ora dal laziale Romero) e rifinita dal terzino del Boca Valentin Barco. L’albiceleste soffre comunque la reazione uzbeka, che nella ripresa produce tre grandi occasioni per Kholdorkhonov e Abdurahmatov. La situazione migliora dopo i cambi di Mascherano, che abbassa il baricentro inserendo Redondo e portando a casa il successo che vale il provvisorio primo posto del gruppo A insieme alla Nuova Zelanda.

Tutto facile per la Slovacchia. Al Bicentenario di San Juan pratica risolta prima della mezzora di gioco contro Figi, che si arrende prima a Gazi (a segno di testa al 18’) e poi a Szolgai (raddoppio al 26’ con la complicità del portiere avversario Mustahib). Il trio offensivo formato Jambor, Sauer e Gazi fa il bello e cattivo tempo, con il primo che coglie anche un legno al 32’. Il monologo slovacco è riassunto bene dai 32 tiri effettuati contro i due degli avversari dopo 75’ di gioco, quando la squadra di Ondrik aveva già piazzato il poker con Jambor e un siluro di Gajdos. Decisive almeno quattro parate di Mustahib per evitare a Figi un passivo peggiore. La Slovacchia raggiunge così gli Usa in testa al gruppo B.

Inter, Zanetti incorona Lautaro: “Punto di riferimento, evoluzione impressionante”

Il vicepresidente nerazzurro esalta l’attaccante argentino che a suon di gol ha fatto innamorare il pubblico di San Siro

Lautaro Martinez è sempre più l’uomo imprescindibile per l’Inter di Simone Inzaghi, attaccante di razza che fa di corsa, tecnica e imprevedibilità i suoi punti di forza. Un vero e proprio riferimento per i nerazzurri, con lo stesso Javier Zanetti che ammette l’importanza del “Toro” per il gioco dell’Inter: “Per noi è un attaccante importante, di riferimento non solo per le sue caratteristiche. Da quando è arrivato ha avuto un’evoluzione impressionante”.

Il gol di Lautaro Martinez contro il Milan ha spedito l’Inter in finale di Champions League di Istanbul e Zanetti a Radio La Red ha incoronato l’attaccante: “È una sorpresa positiva per noi, perché oggi ha aggiunto tante alternative al suo modo di giocare.  È importante per noi, un punto di riferimento anche per la sua generosità e la sua dedizione”. “Per un attaccante non è mai facile adattarsi al calcio italiano, ma da quando è arrivato ha avuto un’evoluzione impressionante e ha fatto molto bene” ha detto Pupi Zanetti.

Un calciatore il cui peso in attacco non può di certo passare inosservato alle big per il mercato: “Non so quanto possa valere Lautaro, perché il mercato cambia ogni giorno. Di certo quando hai un giocatore forte come lui possono venirselo a prendere. Ma io sono tranquillo”. L’ex capitano nerazzurro ha anche parlato della sfida col Manchester City, finale di Champions i cui ricavi sono milionari, club in cui gioca anche un altro argentino: “Alvarez è un buon giocatore, oggi l’Argentina deve essere felice di avere due attaccanti come lui e Lautaro. Hanno caratteristiche diverse, ma possono giocare insieme e possono fare molto bene. Martinez può essere un punto di riferimento per noi e per la Seleccion”.

“In finale può succedere di tutto, perché le cose cambiano da un momento all’altro- ha detto a Radio La Red-. Per noi sarà un match importante, contro una grande squadra allenata da un grande allenatore come Guardiola. Incontrare una squadra inglese non fa differenza”. Parole, quelle di Zanetti, che rispondono alle dichiarazioni di Guardiola dopo il match vinto col Real Madrid.